Ho davanti a me un oggetto cartaceo appositamente pensato per essere affisso in un posto ben visibile, facilmente accessibile e quotidianamente fruibile. Strumento di consultazione costante, foglio su cui appuntare impegni, spazio in cui incrociare sguardi, spunto per imbastire il programma settimanale e, più in generale, della vita.Trovo numeri progressivi associati ai giorni, nomi di giorni e di mesi in cicli settimanali, colori diversi (da lunedì a venerdì nero; sabato e domenica rosso). Ad ogni giorno, trovo affiancato un nome di un santo o di una festività religiosa. Occasionalmente, ci sono riferimenti ad eventi simbolicamente importanti per la nazione: festività, giorni memorabili, eventi fondativi. A cicli continui trovo riferimento a segni zodiacali che collegano il tutto al mondo degli astri.Benvenuti nel mondo del calendario!Il calendario è un universo di simboli che è, al tempo stesso, figlio di una cultura e genitore di una cultura. E’ figlio perché nasce da un processo di addomesticamento del tempo in funzione di una ideologia (o più ideologie) di riferimento. E’ genitore perché plasma il nostro stare al mondo orientando i ritmi della vita e dicendoci cosa è importante. Il calendario è uno dei più efficaci frullatori di cultura: in esso si mischiano sedimentazione, accumulazione, giustapposizione, scontri feroci, armistizi temporanei, inciuci permanenti. Lì c’è la religione della maggioranza, ma anche le minoranze ne sono profondamente condizionate. Lì è racchiuso il pantheon di una cultura, apparentemente inclusivo ed aperto, ma fondamentalmente piegato agli interessi di poteri forti.Oggi l’assetto portante del calendario giuliano-gregoriano, frutto della millenaria sintesi imperiale-ecclesiale, non è più messo in discussione da nessuno. Chi ci ha provato è rimasto sconfitto sonoramente dalla storia. Ogni tentativo di una riforma complessiva appare velleitario e praticamente impossibile. Si potrebbero abolire delle festività religiose frutto di uno stato confessionale (si pensi alla festa dell’assunta del 15 agosto)? O inserirne di altre? Si potrebbe cambiare i nomi dei giorni della settimana? E dei mesi? Si potrebbe ripensare anche le scansioni? Insomma, si potrebbe pensare ad una riforma dell’architettura complessiva del calendario che risponda a criteri diversi dall’impasto attuale? E poi, chi ha la forza di proporne uno alternativo? Chi ne ha l’autorità? Le chiese hanno i loro calendari liturgici che riflettono la loro teologia e le loro pratiche, ma che ne è del calendario cosiddetto civile? Quale minoranza creativa ha l’agilità mentale ed il coraggio morale di sfidare il monumento giuliano-gregoriano? C’è uno spazio, uno spiraglio, un interstizio per una trasformazione?La situazione ormai stabilizzata non può dar luogo a pacificazioni del cuore da parte dei cristiani. La pigrizia culturale è sempre sintomo di sonno spirituale. L’accettazione supina dello status quo del calendario rivela un’acquiescenza preoccupante agli idoli domestici. Prendere coscienza della questione è già qualcosa, ma non basta. Occorre che il lievito del regno di Dio spinga ad uno scatto in avanti, provochi una breccia nella coltre dell’assetto del calendario e solleciti il popolo di Dio a sviluppare una teologia della storia, in forme culturalmente adeguate, che onori creativamente il compito di abitarla in modo responsabile.(Leonardo De Chirico)