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Capitolo 2
Pentitevi dei vostri peccati davanti a Dio
Il pentimento è probabilmente la parte meno discussa delle quattro che costituiscono il processo della conversione; ma proprio per questo è probabilmente la meno considerata ed in pratica la più trascurata.
La parola è più facilmente compresa dagli Ebrei che dai Gentili. Fa parte del tessuto stesso della storia d’Israele, particolarmente durante il periodo che portò poi all’esilio, quando i profeti l’uno dopo l’altro cercavano di evitare l’imminente disastro esortando la nazione a pentirsi. Chi ha familiarità con Amos 4 o Geremia 18 e 19, sa perfettamente che cosa si intendeva per pentimento. Forse perciò raramente si definisce questo termine nel Nuovo Testamento.
è un luogo comune affermare che pentimento non significa semplicemente “dispiacersi”. Un tale sentimento può esprimere infatti vari atteggiamenti. A volte ci rammarichiamo del fatto che le nostre azioni hanno avuto delle conseguenze a nostro danno; e questo è un po’ più dell’autocommiserazione e indica che il cuore è ancora egocentrico (Caino ed Esaù costituiscono due buoni esempi di tale sentimento – Genesi 4:13 e Ebrei 12:17). Più lodevole è invece lo schiacciante rimorso per le conseguenze delle nostre azioni sugli altri, il che è almeno meno egoistico (Paolo deve avere provato tale sentimento quando si riferisce al fatto che aveva perseguitato la Chiesa – si confronti Atti 9:1-2 con Filippesi 3:6). Ma il vero pentimento, comunque, comincia quando ci rendiamo conto delle conseguenze delle nostre azioni nei confronti di Dio (e del Figlio suo); questo significa essere “contristati secondo Dio” – fatto che non costituisce ancora il pentimento, ma può portare ad esso (II Corinzi 7:9). La luce spunta quando ci rendiamo conto del fatto che abbiamo “peccato contro il Cielo”, contro gli altri e, in un certo senso, contro noi stessi (Luca 15:18,21). Soltanto quando siamo capaci di comprendere che ci siamo ribellati contro l’autorità di Dio, che abbiamo violato le sue leggi, inquinato la sua creazione, provocato la sua ira e che quindi meritiamo la sua condanna, allora cominciamo davvero a pentirci. La nostra infelicità allora sarà ben più che avere paura.
Dato questo contesto emotivo, la cui intensità varierà moltissimo a seconda del temperamento dei singoli e delle circostanze dell’illuminazione, consideriamo il vero pentimento a cui tali sentimenti dovrebbero portare.
Secondo le Scritture, il pentimento coinvolge il pensiero, la parola e l’azione. Nel passare attraverso la fase mentale, la fase verbale e la fase pratica, c’è un movimento che va dal cuore alla vita esteriore. Difatti è immorale una manifestazione esteriore senza che vi sia un atteggiamento interiore (“stracciatevi il cuore, non le vesti” è l’ammonimento tipico dei profeti – Gioele 2:13). Dire di pentirsi senza alcuna manifestazione esteriore è ipocrisia. Un esempio può rendere l’idea: un tassista londinese fa fare ad un turista straniero un lungo giro attorno all’aeroporto di Heathrow per guadagnarsi un po’ di soldi in più; preso però da rimorsi per aver approfittato dell’ignoranza dello straniero, si scusa e gli restituisce tutto il danaro – è cambiato quanto a pensiero, parola e azione; s’è pentito del suo peccato.
Pensiero – convinzione di essere peccatore
Il verbo tradotto spesso con “pentirsi” o “ravvedersi” (in greco metanoèô) significa alla lettera “cambiare mente”. Significa insomma “ripensarci”, con particolare riferimento al comportamento tenuto in passato. Un esempio tipico, tratto dal Nuovo Testamento, potrebbe essere l’invito di Pietro ai suoi ascoltatori giudei a riconsiderare la crocifissione di Gesù e rendersi conto che avevano assassinato nientemeno che il Messia, il Figlio di Dio (Atti 2:32-38; 3:13-19).
Pentirsi significa vedere le cose dal punto di vista di Dio, essere d’accordo con la sua analisi della situazione ed accettarne il verdetto. Significa dire “sì” al “sì” di Dio ed essere d’accordo con il suo “no”. Significa imparare a dire “Amen” alla parola di Dio. Significa avere le idee chiare sul peccato dell’umanità, misurato col metro della giustizia divina, considerando l’inevitabile giudizio quando, appunto, peccato e giustizia divina si incontrano (Giovanni 16:8). Significa pervenire alla conoscenza della verità su Dio e su se stesso (II Timoteo 2:25).
Dapprima questa scoperta sarà generica. Poi ci si renderà conto del fatto che Dio è “migliore” di quanto si pensa. Il Signore è assolutamente santo, assolutamente puro, assolutamente giusto. D’altra parte, ci si renderà conto, penosamente, del fatto che si è molto, ma molto “peggiori” di quanto si pensa. Invece di pensare a se stesso come ad una “brava persona”, che solo ogni tanto ha commesso degli errori (il punto di vista dell’umanista), il pentito scopre che è fondamentalmente una persona cattiva, che ogni tanto è riuscita a compiere anche buone azioni (il punto di vista di Gesù sulla natura umana – Luca 11:13; lo si confronti con Giovanni 2:24). Ma quel che è peggio è che perfino le sue buone azioni possono essere dei peccati contro Dio come le cattive, ed anche di esse è necessario pentirsi (Isaia 64:6 afferma che la giustizia umana è come un panno sporco, mentre secondo Filippesi 3:8 è come lo sterco). Ne segue che la scoperta che la giustizia umana – il credersi “a posto” in tutto e per tutto – è, nei confronti di Dio, un’offesa ancor più grave di un peccato qualsiasi, costituisce un trauma per l’orgoglio umano e completa la rivoluzione mentale propria del vero pentimento.
Una volta raggiunto questo stadio, tale nuovo modo di pensare si applica ai particolari. E questo è l’aspetto più importante del pentimento, poiché ha a che fare con “peccati” (plurale) specifici, piuttosto che col “peccato” (singolare) in generale. Finché il concetto alquanto astratto di “peccato” non viene tradotto in termini particolari e concreti, è difficile passare alle ulteriori fasi del pentimento. Infatti Gesù è venuto a salvarci dai nostri peccati, non dal nostro peccato in generale (Matteo 1:21). è quindi vitale sapere quali sono i peccati da cui dobbiamo essere salvati.
Finora abbiamo considerato gli aspetti interiori del pentimento. Ora però bisogna passare a due aspetti esteriori: uno fa sì che il pentimento sia udibile e l’altro fa sì che sia visibile.
Parola – confessione dei peccati commessi in passato
Se si pensa in modo diverso intorno alle azioni del passato, se ne deve anche parlare in mdo diverso e, di solito, la bocca è il mezzo di comunicazione tra l’interno e l’esterno di una persona (Matteo 12:37, Marco 7:18-23; Giacomo 3:9-12).
Il ministero di Giovanni Battista si basava principalmente sul pentimento, che era essenziale all’avvento del regno di Dio. Il battesimo in acqua era il culmine o il completamento del pentimento (Matteo 3:11; si noti l’espressione “in vista del ravvedimento” o “per il ravvedimento”). Il battesimo, però, era accompagnato dall’essenziale confessione dei peccati (plurale; Matteo 3:6). E questa non era una semplice liturgia e nemmeno una generica confessione (è possibile confessare di avere tralasciato di fare ciò che si doveva fare, e di aver fatto ciò che non si doveva fare, senza pensare a nessun peccato in particolare!). Giovanni Battista, invece, si aspettava che ognuno ammettesse pubblicamente di essere colpevole, scendendo però nei particolari. Le opere delle tenebre dovevano essere portate alla luce dinanzi a Dio e agli uomini.
Tale confessione dei peccati ha due grandi vantaggi. Al primo abbiamo già accennato, ma è bene menzionarlo ancora: entrare nei particolari. Se si nominano i peccati uno ad uno, bisogna prima identificarli. Non serve a niente mantenersi sulle generali (“Bene, sono sicuro che qualche volta devo avere peccato da qualche parte; ma, dopo tutto, non peccano tutti?”) Si ammette la realtà dei propri peccati solo quando li si confessa specificamente uno ad uno (“Ho fatto questo… questo… e questo!). Naturalmente tale confessione mette del tutto da parte l’orgoglio, perché non è mai facile ammettere di aver sbagliato. è comunque meglio farlo ora volontariamente che doverlo fare dopo mal volentieri. Ciò che ora viene messo allo scoperto dall’uomo è coperto dalla misericordia di Dio, mentre ciò che ora è mantenuto coperto, nascosto dall’uomo, sarà messo allo scoperto dal giudizio di Dio.
Il secondo vantaggio della confessione orale consiste nell’assumersi le proprie responsabilità. Le scuse non possono far parte di una confessione; non si possono invocare circostanze attenuanti. L’individuo infatti accetta le proprie responsabilità dinanzi a Dio. è relativamente facile riconoscere di aver bisogno di aiuto (o, come oggi si dice, di “guarigione interiore”), perché questo lascia intatta la stima che abbiamo di noi stessi. La vera confessione invece ammette che il vero problema è la colpa volontaria e che quello di cui si ha bisogno è il perdono immeritato. La confessione apre il canale attraverso cui fluisce la grazia di Dio (I Giovanni 1:9).
Può essere spesso inutile aggiungere la rinunzia all’aspetto “verbale” del pentimento, specialmente dove i peccati sono stati di natura ossessiva o hanno avuto a che fare con l’occulto. Può essere quindi una terapia efficace verbalizzare tale rinunzia al peccato. Secondo il dizionario, “rinunziare” significa abbandonare, rifiutare, ripudiare, rifiutare di riconoscere, non volere avere niente a che fare con qualcuno o qualcosa, allontanarsi da qualcuno o qualcosa. Una volta, molto più semplicemente, un ragazzo disse che “rinunziare” significa dispiacersi tanto da farla finita!”
Siamo giunti così al terzo aspetto del pentimento.
Azione – riparazione dei peccati commessi in passato
Le parole che riguardano il pentimento devono essere seguite dalle azioni. Giovanni insisteva sul fatto che i candidati al battesimo dovevano prima “fare frutti degni del ravvedimento” (Luca 3:8).
Quando gli si chiedeva che cosa si aspettava che facessero, era preciso e concreto nella sua risposta: dovevano dare ai poveri i vestiti in più, tenere bene i conti in modo da mostrarli a chi di dovere, non approfittare della propria autorità e non esigere stipendi elevati. è interessate notare che nessuno di questi peccati era di tipo “religioso” o “spirituale”.
Un esempio desunto dal ministero di Gesù (Luca 19:1-10) è il caso di Zaccheo, che promise non solo di “rigare diritto” in futuro, ma anche di risarcire quelli che aveva defraudato nel passato (con interesse e con una somma in più): Gesù annunziò con gioia che con Lui la salvezza era entrata in quella casa.
Anche Paolo si aspettava che il pentimento avesse delle conseguenze pratiche. La “visione celeste”, alla quale non fu disobbediente, era la missione ai Gentili per esortarli a “pentirsi e convertirsi a Dio, facendo opere degne del ravvedimento” (Atti 26:20).
Giovanni Battista, Gesù e Paolo, tutti dimostrano che il pentimento esige che, per quanto sia possibile, si rimedi agli errori del passato.
Tale rimedio può prendere la forma di un’azione negativa. Ad esempio, si può distruggere una fonte di tentazione (gli Efesini bruciarono un numero considerevole di libri di magia – Atti 19:19). Si può mettere fine a cattive amicizie, specialmente quando si tratta di rapporti extra-matrimoniali o omosessuali (“e tali eravate alcuni”, I Corinzi 6:11). Insomma ogni cordone ombelicale che ci tiene legati al passato deve essere tagliato. Bisogna finirla col proprio passato.
Vi sono però, e non poche, azioni positive da compiere per rimediare agli errori del passato, come fece Zaccheo. Usiamo in questo caso la parola risarcimento, che comporta un adeguato compenso a quelli che sono stati imbrogliati. Difatti il perdono restaura la comunione con Dio, come se non si fosse mai interrotta; per quanto gli riguarda, il passato è dimenticato e perdonato (che sorprendente controllo ha Dio sulla Sua stessa memoria!). Ma la ragione per cui troviamo difficile “perdonarci” è che noi siamo capaci di cancellare tali ricordi. Tuttavia, per quanto riguarda le relazioni umane, il perdono da parte di Dio non libera una persona dagli obblighi che ha verso gli altri, siano essi di carattere coniugale, commerciale o anche criminale. Perciò la grazia di Dio ha spinto molti a pagare i loro debiti, a ristabilire rapporti coniugali e perfino a confessare crimini per cui non erano stati mai puniti. In molti casi, la riconciliazione, sia con quelli a cui si sono fatti dei torti, sia con quelli che hanno fatto del male, sarà un altro “frutto” del pentimento (Matteo 5:23-24).
Tutto questo costituisce la parte più difficile del vero pentimento. Anzi alcuni dubitano che un peccatore sia capace di tali azioni appena si converte a Dio e lasciano intendere che tale pentimento verrà solo dopo il processo della conversione e non prima. Costoro però dimenticano che Dio aiuta sempre chiunque desideri pentirsi (si noti a tal proposito che Dio “concesse” il pentimento a Cornelio e alla sua famiglia, e questo li rese capace di “fare ciò che era giusto”, anche prima di essere stati evangelizzati – Atti 10:35; 11:18). Non sarà stato facile per Paolo restituire Onesimo (che significa “utile”) al suo padrone, né per Onesimo andarsene, né per Filemone riprenderlo al suo servizio (si noti che Paolo si offre di risarcire eventuali danni di tasca sua – Filemone 12-14,19).
Eppure, anche se tale risarcimento è la parte più difficile del pentimento, è anche quella che dà più soddisfazioni. è un gran sollievo poter rimediare agli errori del passato (una gioia che provò perfino il Redentore, sebbene non abbia avuto bisogno di farlo per se stesso). La gioia del padre quando il figliuol prodigo ritornò, si rifletteva nella gioia dello stesso figliuol prodigo per aver fatto finalmente una cosa giusta.
Questo cambiamento di rotta dal peccato verso Dio, costituisce, nel Nuovo Testamento, l’essenza del termine “conversione”. Alla lettera, la parola significa girare attorno, cambiare rotta, direzione. Perciò è molto affine alla parola “pentimento”, ma è particolarmente connessa a questo terzo aspetto del pentimento. Un cambiamento di vita è un chiaro segno di pentimento, anche se non è necessariamente segno di rigenerazione (si veda il capitolo 6). Infatti tale prova di un pentimento in atto doveva esserci prima del battesimo, dato che questo rito segnava la rottura finale con la vecchia vita di peccato ed il culmine del perdono purificatore di Dio (Marco 1:4; Atti 2:38).
Perfino disastri naturali possono esser visti come inviti al pentimento, poiché ci ricordano che tutti noi possiamo rovinarci improvvisamente, se non ci pentiamo dei nostri peccati (Luca 13:1-9). L’orrore del futuro giudizio di Dio ben giustifica qualsiasi sacrificio attuale – la rinunzia cose che vorremmo guardare, toccare e a persone o a luoghi dove vorremmo recarci (Matteo 5:29-30). Meglio allontanarci ora dai peccati che aspettare che Dio si allontani allora da noi.
Se ci “voltiamo” ora verso Dio, Dio si “volterà” verso di noi. Anzi la Bibbia osa affermare che quando ci pentiamo davanti a Lui, Egli si pente nei nostri riguardi. è chiaro comunque che nel caso di Dio si tratta di un pentimento mentale e non morale – Egli “ci ripensa”. Quando cambiamo mentalità nei confronti dei peccati, Dio cambia il Suo atteggiamento nei nostri confronti. Ed una delle affermazioni bibliche più chiare a tal proposito è l’osservazione di Geremia sul vasaio e la creta (Geremia 18:1-10). Poche metafore sono state così mal comprese come questa! La maggior parte degli esegeti sostiene che la creta non svolge alcun ruolo nella formazione del prodotto finale (un’idea che è più vicina all’Islam che al Cristianesimo!). In realtà è la creta che sceglie il tipo di vaso che vuol diventare. Quando non corrisponde all’intenzione originaria del vasaio, questi decide di farne un vaso rozzo piuttosto che un vaso elegante. La creta ha un rapporto attivo e dinamico col vasaio; ognuno ha influenza sull’altro, sebbene il vasaio abbia l’ultima parola, dato che il controllo completo della situazione (la creta non può fare nulla senza di lui). E questo rappresenta il popolo di Dio, Israele. Se la nazione si pente, Dio si pentirà e ne farà un bel vaso pieno della sua misericordia; se non si pente, ne farà un vaso brutto, pieno della sua condanna.
è dunque il pentimento che rende possibile il perdono. E questo è vero anche a livello umano. Difatti Gesù disse ai suoi discepoli che quando un fratello pecca, deve essere prima ripreso e poi perdonato – 7 volte al giorno, 49 volte alla settimana, 1470 volte al mese… se si pente (Luca 17:3-4). Nello stesso modo, Dio può “ripensarci” e non dar più corso al giudizio e alla condanna, mostrandosi misericordioso nei nostri riguardi, ma solo se ci pentiamo davvero di quelle cose che meritano la condanna di Dio e che quindi hanno bisogno della sua misericordia. E questo è il motivo più valido che si possa avere per pentirsi dei propri peccati. “Ravvedetevi dunque e convertitevi, onde i vostri peccati siano cancellati, affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di refrigerio e che egli vi mandi il Cristo che vi è stato destinato, cioè Gesù” (Atti 3:19-20, 21).
Fare però del pentimento l’unico o il fattore più importante del processo della conversione, sarebbe cadere nella trappola di una salvezza tipo “fai da te”. Si porrebbe l’accento su ciò che l’uomo fa per Dio piuttosto che su ciò che Dio fa per l’uomo. Si definirebbe il “cristiano” in termini di riforma morale: sarebbe un Cristianesimo ridotto ad un vago “perbenismo”, che è poi una versione del Cristianesimo che si incontra spesso al di fuori della Chiesa e che non è sconosciuta nemmeno al suo interno.
La Bibbia non insegna che si è giustificati dinanzi a Dio mediante il pentimento, ma solo mediante la fede. Ne segue che rinunziare al peccato col pentimento costituisce solo il necessario preludio alla conversione a Cristo mediante la fede – e di questo ora ci occupiamo particolarmente.