Come le coincidenze non intenzionali supportano l’affidabilità dei Vangeli

Come le coincidenze non intenzionali supportano l’affidabilità dei Vangeli

I Vangeli e il libro degli Atti sono storicamente attendibili? I loro autori certamente pensavano di sì.

Ad esempio, Luca affermò che il suo vangelo narrava “fatti… tramandati da quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola” (Luca 1:1-2). Non prendendo affatto per buoni questi testimoni oculari, comunque, “è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine… perché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate” (Luca 1:3-4).

Similmente, il vangelo di Giovanni finisce con queste parole dei suoi editori: “Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Giovanni 21:24). Il discepolo era un testimone oculare e, in altre parole, i suoi innominati editori (“noi”) garantiscono per la sua testimonianza.

Come in Luca, lo scopo della sua testimonianza era la fede: “questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Giovanni 20:31). 

Nell’era moderna, gli scettici critici della Bibbia hanno sfidato l’affidabilità storica dei primi cinque libri del Nuovo Testamento. Essi sostengono che le contraddizioni sia all’interno sia tra i Vangeli e gli Atti – e quanto si conosce del tempo da fonti esterne – mette in discussione la trama del Nuovo Testamento.

La difesa del Nuovo Testamento si è pertanto imperniata sulla dimostrazione che i suoi resoconti della vita di Gesù e della storia della chiesa delle origini sono internamente coerenti ed esternamente avvalorati da fatti noti.

Lydia McGrew offre una terza linea di difesa nel suo libro “Hidden in Plain View” (Nascosto in bella vista, N.d.T.). Secondo lei, “coincidenze non intenzionali” nei Vangeli e negli Atti suggeriscono che gli eventi riportati siano storicamente corretti perché riposano sulla testimonianza di testimoni oculari. Lei definisce le coincidenze non intenzionali in questa maniera:

Una coincidenza non intenzionale è una connessione rilevante tra due o più racconti o testi che non sembra essere stata programmata dalla persona o dalle persone che ne danno il resoconto. Nonostante l’apparente non dipendenza, gli elementi si incastrano come pezzi di un puzzle.

La McGrew delinea 47 coincidenze del genere nel libro. Per brevità, mi soffermerò solo su una. Ognuno dei vangeli sinottici offre un elenco dei dodici apostoli: Matteo 10:2-4; Marco 3:16-19; Luca 6:14-16. Questi elenchi differiscono in alcuni dettagli, specialmente nell’ordine in cui gli scrittori presentano i nomi di Andrea, Matteo e Taddeo. E mentre Matteo e Marco si riferiscono a un discepolo come a Taddeo, Luca si riferisce a lui come Giuda, anche se molto probabilmente si tratta della stessa persona.

La differenza più interessante tra questi elenchi è grammaticale. Marco e Luca connettono ogni nome usando la congiunzione greca kai (“e”). Quindi, “Simone e Giacomo e Giovanni e Andrea, etc.” in Marco, e “Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni etc.” in Luca. Ciò enfatizza i discepoli come individui. D’altro canto, Matteo utilizza kai per connettere sei coppie di nomi. Quindi, “Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, etc.”. Ciò enfatizza i discepoli in coppia.

Matteo non spiega perché elenca i discepoli in coppia, ma Marco 6:7 offre un suggerimento plausibile: “Poi chiamò a sé [Gesù] i dodici e cominciò a mandarli a due a due; e diede loro potere sugli spiriti immondi”. In altre parole, l’elenco di Matteo riflette molto probabilmente le coppie di apostoli che Gesù mandò per un ministero, un’accoppiata che solo Marco menziona in un passaggio non correlato. Abbiamo bisogno di entrambi i vangeli per vedere l’intero quadro.

Bisognerebbe ammettere che questo è un piccolo dettaglio. L’affidabilità storica del Nuovo testamento non dipende da coincidenze non intenzionali. Nondimeno, le coincidenze non premeditate si accumulano, come la McGrew dimostra nel suo libro. Esse si basano su dettagli casuali che suggeriscono non essere il risultato di un imbroglio, in quanto gli imbroglioni non sono così acuti.

E mentre ipoteticamente qualcuno potrebbe sostenere che queste coincidenze sono davvero l’esito di mera fortuna, solo un giocatore d’azzardo incosciente punterebbe del denaro su quel tavolo.

No, le coincidenze non intenzionali, prese cumulativamente, suggeriscono che i resoconti dei fatti nei Vangeli e negli Atti siano credibili. Esse concordano, non perché un prestigiatore abbia fatto in modo che concordassero (imbroglio) o perché si è semplicemente verificato (fortuna), ma perché riflettono la testimonianza di persone che erano lì e i cui resoconti in dettaglio hanno avuto luogo nei racconti pubblicati.

Il dibattito emergente dalle coincidenze non intenzionali aggiunge pertanto una terza linea di discussione a quelle che difendono l’attendibilità storica della Bibbia: coerenza, conferma e coincidenza.

Questa terza linea di dibattito non è nuova, stranamente abbastanza. È stata iniziata nel 19° secolo da apologeti britannici come William Paley e J.J. Blunt. Bisognerebbe congratularsi con Lydia McGrew per averla rispolverata usandola contro le discussioni scettiche dei nostri giorni.

George P. Wood – tratto dalla rivista online Influence Magazine

Lettura consigliata:

Possiamo fidarci dei documenti del Nuovo Testamento?, di Frederick Fyvie Bruce

Gesù e i testimoni oculari, di Richard Bauckham

L’uomo, il Mito, il Messia, di Rice Broocks

Più che un falegname, di Josh e Sean McDowell

La Bibbia non è un mito, di Daniele Salamone

L’ispirazione e l’autorità della bibbia, di René Pache

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