Foreword
Da un punto di vista biologico, l’embrione è il risultato dell’unione del gamete femminile (cellula uovo) con il gamete maschile (spermatozoo) da cui, in seguito ad una serie di passaggi, si sviluppa il feto fino ad arrivare alla nascita del bambino. Se l’identità biologica dell’embrione è un dato acquisito, diverso è il discorso riguardante la sua identità antropologica. Il dibattito sullo statuto dell’embrione è accesissimo, non solo in sede filosofica, ma soprattutto in ambito bioetico. La questione è alquanto delicata in quanto riguarda la possibilità o meno di disporre dell’embrione per tutta una serie di pratiche legate alla fecondazione assistita o alla ricerca genetica, tra cui: le tecniche di diagnosi pre- impiantatoria, la ricerca sulle cellule staminali embrionali, la sorte degli embrioni soprannumerari, la clonazione embrionale, ecc. Lo statuto che viene accordato all’embrione legittima o meno la sua trattabilità in quanto definisce la sfera morale dei suoi diritti e della sua tutela.
Il dibattito sullo statuto morale dell'embrione si è sviluppato negli ultimi trent'anni, incalzato soprattutto da questi fattori:
- la discussione sull'aborto (vi può essere un conflitto d’interessi tra adulto e feto); - la diffusione della procreazione medicalmente assistita (la fecondazione può seguire vie artificiali);
- il perfezionamento delle tecniche di clonazione (la riproduzione è possibile senza la fecondazione);
- la ricerca sulle cellule staminali embrionali (la necessità di materiale per la ricerca genetica).
Ognuno di questi sviluppi chiama in causa l'embrione e obbliga a riflettere pubblicamente . La discussione non è affatto speculativa, ma eminentemente pratica e implica un intreccio di questioni. Si tratta di descrivere la realtà biologica dell’embrione (come si forma?); coglierne il profilo etico (quale valore e dignità?); riconoscerne lo statuto antropologico (è persona?); deciderne la tutela giuridica (quali diritti?); stabilire le modalità della sua trattabilità scientifica (quale utilizzo?). Le opinioni sullo statuto dell’embrione divergono sensibilmente. Tra le posizioni espresse, si possono individuare due poli di riferimento che, anche in questo caso, riflettono gli orientamenti dell’etica cattolica, da un lato, e di quella laica, dall’altro. La prima sostiene a gran voce una posizione di tipo ‘sostanzialista’, mentre la seconda difende generalmente una concezione di tipo ‘funzionalista’. Anche in questo caso, la polarizzazione tra sostanzialisti e funzionalismi non esaurisce il dibattito sulla questione. Al contrario, in un certo senso, lo appiattisce a due posizioni che, per quanto individuino aspetti importanti da tenere presenti, li estremizzano in chiave ontologica o gradualista. Se il sostanzialismo postula un rigido quadro metafisico e non tiene conto della dimensione dinamica dello sviluppo dell’embrione, né dei diversi contesti in cui esso può trovarsi (utero, laboratorio, in celle frigorifere, ecc.), il funzionalismo eleva criteri del tutto soggettivi a elementi determinanti la dignità della vita umana in formazione. Invece di divaricare l’aspetto normativo (lo statuto ontologico) e quello situazionale (il divenire dell’embrione), è necessario tenerli insieme per trovare una pista di riflessione che rispetti l’uno e l’altro. L’essere umano non è solo un dato biologico-ontologico, né semplicemente un divenire funzionale. È anche questo, ma ci si deve interrogare se non sia l’elemento relazionale a collegare lo status e la storia dell’uomo, il suo essere e divenire. Egli è tale in quanto non possiede proprietà ontologiche o svolge funzioni complesse, ma in quanto intrattiene relazioni significative e coinvolgenti con sé, con gli altri, con il mondo, ecc. Dove porta la sottolineatura dello statuto relazionale dell’embrione? Innanzi tutto, permette di considerare legittima la ricerca sugli embrioni prima dell’impianto, fatta salva la cautela scientifica e la prudenza morale di tale pratica. La trattabilità degli embrioni pre-impianto non significa però l’avallo di un loro utilizzo moralmente scriteriato. C’è la possibilità di individuare criteri condivisi per una ricerca scientifica responsabile. In secondo luogo, lo statuto relazionale dell’embrione impedisce di considerare gli embrioni soprannumerari come essere umani dal momento che si trovano in un contesto extra-uterino, privi di progetto vitale e senza alcuna possibilità di sviluppare relazioni. Di qui, la loro eliminazione non rappresenta un problema morale insormontabile. Dopo l’annidamento, invece, l’embrione deve essere tutelato come se si trattasse di un essere umano ancora in formazione, ma dotato della capacità fondamentale di stabilire delle relazioni antropologicamente significative.
L’approccio relazionale corregge quello sostanzialista in quanto non confonde il dato biologico dell’embrione con il suo statuto ontologico di essere umano. Esso corregge anche quello funzionalista in quanto individua un criterio scientificamente non arbitrario ed antropologicamente plausibile per riconoscere responsabilmente la sua identità. È ora che il dibattito bioetico si arricchisca di una voce diversa dal sostanzialismo religioso e dal funzionalismo laico.
Leonardo De Chirico