Rivelazione e ispirazione
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Recensione pubblicata su «Studi di teologia», 28 (2002/2) pp. 207-208La riflessione sui concetti di rivelazione e d’ispirazione è il vero fondamento di ogni scuola o corrente teologica. Quest’affermazione si addice perfettamente alla teologia di Benjamin B. Warfield. Le basi del suo pensiero, divulgato di recente in Italia dalla Casa Editrice Alfa & Omega, sono, infatti, da ricercare nel volume Rivelazione e Ispirazione. In altre parole, la cristologia e la soteriologia di Warfield sono costruite su un’affermazione semplice e imprescindibile per tutta la sua teologia: la Scrittura è la sola fonte della rivelazione scritta di Dio. Due dei sette saggi contenuti nel volume sono dunque dedicati al concetto di rivelazione dal punto di vista sistematico, il primo, e biblico, il secondo.Warfield non nega tout court la possibilità di applicare la teoria dei generi letterari allo studio della Scrittura, tuttavia afferma chiaramente che «Non abbiamo nulla nella Scrittura che ci consenta di porre vari tipi di rivelazione in contrasto l’uno con l’altro» (p. 52).Alla dottrina e al concetto biblico d’ispirazione sono dedicati altri quattro saggi. Anche in questo caso l’approccio di Warfield è particolarmente attuale. Il teologo di Princeton definisce l’ispirazione come «quella particolare opera di Dio che si compie nel momento in cui la Scrittura viene scritta». L’originalità della sua tesi sta però nell’interpretazione dell’espressione “viene scritta”: «Quando diciamo “viene scritta”, intendiamo includere tutti i processi che sono parte della produzione del testo sacro: l’analisi dei documenti, la raccolta di fatti, la deduzione di conclusioni, l’adattamento delle esortazioni per raggiungere un certo scopo e altre cose simili» (p. 136).Sono piuttosto ponderosi gli ultimi due articoli contenuti nel volume: “La Scrittura: ispirata da Dio”, dedicato all’analisi filologica del vocabolo theópneustos (II Timoteo 3:16) e “«Dio dice», «essa dice», «la Scrittura dice»”, dedicato all’analisi filologica e teologica delle formule di introduzione delle citazioni dell’Antico Testamento nel Nuovo.Scorgendo le pagine del volume Rivelazione e ispirazione, si ha l’impressione di leggere un libro di testo oppure di seguire un corso di lezioni. Il merito è da attribuire all’editore degli scritti che ha saputo trovare la formula giusta per l’organizzazione del materiale. è opportuno ricordare, inoltre, che il volume contiene gli scritti di Warfield pubblicati in vari luoghi negli anni 1893-1915; le date di pubblicazione dei singoli saggi sono riportate nelle note a piè di pagina. Applicando alla lettura della raccolta il criterio cronologico, si scoprono non pochi indizi utili per ricostruire i percorsi dell’opera di Warfield, iniziata da una ricerca prevalentemente filologica, si trasformasi gradualmente e parallelamente in una riflessione teologica di tipo sistematico.Pawel Gajewski
Producer: Alfa e Omega
Product Code: 1001000002772
Weight: 0,490kg
Binding: Brossura
Language: Italian

Book contents

INDICE

Prefazione

1. Il concetto di rivelazione e le teorie ad essa relative
2. Il concetto biblico di “rivelazione”
3. La dottrina dell’ispirazione secondo la chiesa
4. Il concetto biblico di “ispirazione”
5. L’ispirazione: il vero problema
6. La Scrittura: ispirata da Dio
7. “Dio dice”, “essa dice”, “la Scrittura dice”

Foreword

Benjamin Breckinridge Warfield:
l’uomo e la teologia

I. L’UOMO
Anche se la forza e la capacità di Charles Hodge
non sono in me, la sua teologia lo è…
Oh, che il mantello del mio Elia possa cadere sulle mie spalle
e che il messaggio che gli fu dato possa essere nella mia bocca…
B. B. Warfield
Benjamin Breckinridge Warfield nacque a Grasmere, vicino Lexington nel Kentucky, il 5 novembre 18511 . Suo padre si chiamava William Warfield ed era discendente di Richard Warfield, un puritano inglese che si era stabilito in Virginia nel 1662. William Warfield era un allevatore di bestiame benestante, considerato un’autorità, in virtù di alcuni suoi scritti, sulla teoria e sulla pratica dell’allevamento. Sua madre, Mary Cabell Breckinridge, era figlia del pastore Robert Jefferson Breckinridge. Il nonno materno di Benjamin era una personalità di spicco. Noto predicatore, fu moderatore dell’Assemblea della chiesa Presbiteriana, preside del Jefferson College in Pennsylvania, fondatore e preside del Seminario Teologico di Danville nel Kentucky, ardente avvocato dell’emancipazione degli schiavi, moderatore della “convention” repubblicana del 1864 e autore di una teologia sistematica dal titolo The Knowledge of God Objectively and Subjectively Considered. Ethelbert Warfield, fratello di Benjamin, spiega che, ordinariamente, i membri della famiglia imparavano il Catechismo “minore” di Westminster entro il sesto anno d’età. In seguito, si passava al Catechismo “maggiore”. Warfield era solito narrare ai suoi studenti la storia di un ufficiale per illustrare l’indelebile marchio che lascia lo studio del Catechismo “minore”. L’ufficiale si trovava in una città dov’era scoppiata una rivolta. Un uomo che si trovava nelle sue vicinanze, attirò la sua attenzione per la sua fermezza e calma. Incuriosito, l’ufficiale, che era un cristiano, si rivolse a lui chiedendo: «Qual è lo scopo primario dell’uomo?» L’altro rispose: «Lo scopo primario dell’uomo è glorificare Dio e gioire in lui per sempre». «Ah! Lo sapevo - esclamò l’ufficiale - che eri un fanciullo del Catechismo!» Warfield era solito concludere l’aneddoto affermando: «Vale la pena essere un fanciullo del Catechismo!».1 Questi particolari rendono l’idea di quale fosse il tenore spirituale dell’ambiente in cui crebbe Warfield.
Dopo aver frequentato gli studi inferiori privatamente a Lexington, nell’autunno del 1868 iniziò a frequentare i corsi superiori presso il College di Princeton (oggi Princeton University), nel New Jersey, dove nel 1871, a soli diciannove anni, si laureò con il massimo dei voti. In questo periodo era entusiasta per la scienza, la fisica e la matematica. Collezionava uova di volatili, farfalle, insetti vari e fossili. Inoltre, studiava appassionatamente la flora e la fauna che lo circondavano. Leggeva avidamente tutte le nuove pubblicazioni di Darwin ed era così certo che avrebbe seguito una carriera scientifica, che era risolutamente contrario allo studio del greco.
Nel febbraio del 1872 partì per l’Europa, al fine di approfondire la sua preparazione accademica. Dopo aver trascorso qualche tempo a Edinburgo ed a Heidelberg, scrisse a casa annunciando la sua intenzione di dedicarsi al ministero cristiano. In precedenza, aveva manifestato il proprio assenso alla fede cristiana ed era divenuto membro della “Seconda chiesa Presbiteriana” di Lexington, tuttavia non aveva mai espresso alcun desiderio di prepararsi per svolgere il ministero pastorale, né di studiare teologia. Di carattere introverso come il padre, con questa decisione il giovane Benjamin sorprese un po’ tutti e rallegrò il cuore di sua madre, la quale aveva da tempo il desiderio che i suoi figli facessero una scelta del genere.
Nel settembre 1873 cominciò a seguire un programma di studi teologici presso il celebre Seminario Teologico di Princeton, dove rimase fino al maggio del 1876. Nell’estate di quello stesso anno, sposò Annie Pearce Kinkead e, poco dopo, salpò alla volta di Lipsia dove studiò per tutta la stagione invernale seguente. In Germania, Warfield studiò sotto la guida di Christoph Ernst Luthardt e Franz Delizsch, il cui motto era “attraverso un sentiero antico, nuove verità da imparare”1 .
Un pomeriggio, mentre passeggiavano per Lipsia, Benjamin e Annie furono sorpresi da una tempesta. Per qualche ragione, questa esperienza si rivelò traumatica e devastante per la giovane Annie, la quale non si riprese mai più dallo shock di quel pomeriggio. Annie Warfield visse una vita reclusa e negli ultimi due anni della sua esistenza fu completamente invalida. Benjamin fu un marito a dir poco devoto ed esemplare che protesse, curò e confortò sua moglie, mentre, allo stesso tempo, portò avanti le proprie responsabilità didattiche ed ecclesiastiche. J. Gresham Machen, professore a Princeton e fondatore del Seminario Teologico Westminster di Philadelphia, in una lettera scritta a sua madre in occasione della dipartita di Annie Warfield, racconta: «Posseggo deboli ricordi di lei che camminava, avanti e indietro, sotto il portico della loro dimora, durante i miei primi anni a Princeton. Ma anche quel passatempo, ad un certo punto, le fu negato… Il professor Warfield aveva l’abitudine di leggere per lei ogni giorno, in alcune ore prestabilite. Per molti, molti anni non si è mai allontanato da lei più di due ore alla volta… Eppure, nonostante le cure richieste dal caso, il professor Warfield ha portato avanti un lavoro pari a quello di almeno dieci uomini comuni»1.
Warfield, sebbene fosse impegnato da molti interessi e avesse un’ottima salute, non si lamentò mai, ma servì fedelmente colei che, per volontà di Dio, era a lui legata da un patto indissolubile. L’affetto, la devozione e la dedizione di Warfield per la sua compagna sono evidenziati dal fatto che quando egli fece testamento, provvide affinché nel Seminario di Princeton si tenesse annualmente una conferenza intitolata alla memoria di Annie Kinkead Warfield. Questi particolari sono una dimostrazione di che tempra di cristiano fosse Warfield: abbiamo dinanzi ai nostri occhi una persona che c’insegna cosa sia la fede nella sovranità di Dio, una persona che non solo insegnava da una cattedra “il pensiero fondamentale del governo universale di Dio”1 e che “tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno”, ma che era una dimostrazione vivente, seppur imperfetta, di tale verità.
Dopo aver esercitato il ministero pastorale per un breve periodo, nel settembre 1878 cominciò ad insegnare Lingua e Letteratura del Nuovo Testamento presso il Seminario Teologico “dell’Ovest”, ad Allengheny in Pennsylvania. Dopo aver trascorso nove anni ad Allengheny, nel 1886 ricevette la proposta di occupare la prestigiosa cattedra di teologia a Princeton che, prima di lui, era stata occupata da Archibald Alexander, Charles Hodge e Archibald Alexander Hodge. Considerando la sua specializzazione nel Nuovo Testamento esitò alquanto, ma ricordandosi che Charles Hodge seguì il medesimo sentiero, accettò l’incarico a Princeton. Nel suo discorso inaugurale, Warfield esclamò: «Anche se la forza e la capacità di Charles Hodge non sono in me, la sua teologia lo è… Questa è la teologia che ho nel cuore d’insegnare… Oh, che il mantello del mio Elia possa cadere sulle mie spalle e che il messaggio che gli fu dato possa essere nella mia bocca»2.
Warfield insegnò a Princeton dal 1887 al 1921. Nel principio, essendo stato professore di Nuovo Testamento, si concentrò maggiormente sulla critica testuale e su questioni apologetiche relative al fondamento della rivelazione e dell’ispirazione. Le origini e lo sviluppo storico del cristianesimo, lo interessarono soprattutto nell’ultimo decennio del XIX secolo. Nel principio del XX secolo, quando la teologia liberale si lanciò all’attacco di altre dottrine fondamentali del cristianesimo, dopo quella della Scrittura, Warfield concentrò le proprie forze sulla cristologia e durante l’ultimo decennio della sua vita sulla soteriologia.
è noto che, durante il suo ministero a Princeton, Warfield non abbia realizzato una teologia sistematica. Ciò è indicativo del carattere dell’uomo. Il suo collega Francis L. Patton afferma che ci sono varie ragioni che spiegano questo fatto. Prima di tutto, le sue responsabilità nell’insegnamento gli impedirono di avere a disposizione il tempo necessario da investire in una tale impresa. Poi, la sua vena polemica lo tenne sempre impegnato in prima linea nella lotta contro il liberalismo ed altre deviazioni dal cristianesimo biblico. Warfield era come un generale che, nel difendere i punti vitali delle mura, si sposta di volta in volta proprio laddove infuria la battaglia! Tuttavia, secondo Patton, la ragione fondamentale fu la stima, anzi la “lealtà filiale” che nutriva per il suo predecessore Charles Hodge: «La ragione prevalente è, che essendo stato un alunno del professor Charles Hodge, Warfield adottò la sua Teologia Sistematica quale base del suo insegnamento». Inoltre, come ha osservato recentemente Carl Trueman, “come marito di una donna invalida e costretta a casa, Warfield non poté godere di quella misura di libertà che è la norma per gli accademici”1.
Diverse testimonianze concordano nel descrivere Warfield come un individuo dalla personalità molto forte e notevolmente introversa. A volte, tale portamento poteva far pensare che fosse altezzoso e poco sensibile verso il prossimo, ma Warfield era un uomo molto umile. Sono in molti ad affermare che era sua abitudine parlare pochissimo di se stesso, evitando di attirare l’attenzione sulla sua persona. Egli era anche tenero, soprattutto con i bambini. Molti studenti e professori narrano di episodi che dimostrano l’attenzione dei coniugi Warfield verso i bambini della comunità del Seminario di Princeton. Inoltre, i suoi stessi scritti forniscono una dimostrazione dei suoi sentimenti, in particolare verso i fanciulli1.
Il modo in cui egli morì illustra quale fu il tenore della sua esistenza. Il giorno della sua morte, il 16 febbraio 1921, tenne una lezione pomeridiana. Egli era debole a causa di un attacco di cuore che lo aveva colpito nel mese di dicembre. A causa della spossatezza, guidò la classe in preghiera stando seduto, contrariamente alla sua abitudine. William Childs Robinson, era presente a quella lezione e racconta che Warfield “si immerse in un’appassionata esposizione del terzo capitolo della prima lettera di Giovanni”. La sua discussione giunse prestamente a concentrarsi sul versetto 16: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli». Robinson continua il suo racconto: «Tutta l’eloquenza e il fervore del suo cuore di cristiano e tutta la sapienza della sua matura erudizione, si concentrarono nell’esposizione di quel testo. Egli disse: “Il deporre la sua vita al posto nostro fu una gran cosa, ma la meraviglia è che, il Signore della gloria, essendo tutto ciò che era, depose la sua vita per noi che siamo ciò che siamo delle creature delle sue mani e dei peccatori colpevoli e meritevoli della sua ira. Più realizziamo il nostro peccato alla luce della sua gloria e del suo dono, più profondi divengono la nostra meraviglia dinanzi alla sua grazia e il nostro desiderio di glorificare il suo nome”». Al termine della lezione, Warfield tornò al suo alloggio ormai solitario e lì, dopo alcune fitte di dolore, lasciò l’opera che era stata la sua gioia per essere col suo Signore.
II. LA TEOLOGIA
Colui che ha smesso di credere nella Bibbia di Gesù…
se messo alla prova, paleserà altresì di aver smesso
di credere nel Gesù della Bibbia…
B. B. Warfield
Come abbiamo affermato in precedenza, Warfield insegnò a Princeton dal 1887 al 1921. Durante questo periodo, egli fu l’antesignano della difesa della fede storica della chiesa cristiana contro l’assalto datole dal liberalismo. In virtù di un impegno profondo nello studio e di una lettura di ampio respiro in inglese, tedesco, francese e olandese raramente ottenuti, Benjamin Warfield primeggiò nel campo della conoscenza teologica, fosse essa esegetica, storica o sistematica. Recentemente, Hugh Kerr ha affermato che quando parliamo di Warfield, parliamo “di una paternità teologica dell’ordine di Agostino, Tommaso, Lutero, Calvino e Barth”1.
I cardini dell’analisi teologica warfieldiana, sono indicati dalla traiettoria tratteggiata da Warfield stesso nell’articolo Christian Supernaturalism2. Warfield afferma che “il soprannaturale è l’aria che i polmoni del cristianesimo respirano”, indicando nel suo rigetto il punto di partenza del liberalismo. Egli ritiene che, mentre le onde del pensiero secolare si abbattono violentemente contro la chiesa, il cristiano trova sostegno e ristoro nel ricordare cos’è il cristianesimo. Al fine di semplificare il suo discorso, Warfield pone cinque punti fermi: un fatto soprannaturale (l’esistenza di Dio); un atto soprannaturale (la creazione); una redenzione soprannaturale; una rivelazione soprannaturale; una salvezza soprannaturale (l’applicazione della redenzione). Il teologo di Princeton conclude così le sue riflessioni: «La confessione di un Dio soprannaturale, che può agire e agisce in modo soprannaturale, che agendo in modo soprannaturale ha compiuto per noi una redenzione soprannaturale, che ha poi interpretato mediante una rivelazione soprannaturale ed applicato mediante l’opera soprannaturale del suo Spirito, costituisce il cuore della fede cristiana. Solo chi abbraccia pienamente questa confessione ha diritto di chiamarsi cristiano».
In un’altra occasione, indicò quelli che riteneva “i tre pilastri” del cristianesimo. Discutendo della nascita soprannaturale di Gesù, Warfield domanda: «[Il termine cristianesimo] deve essere inteso in senso soggettivo od oggettivo? Ci chiediamo se è possibile per un uomo affidare la propria vita a Cristo quale Salvatore, senza una chiara conoscenza della nascita verginale del Signore ed una ferma convinzione della sua realtà? Oppure stiamo pensando se una descrizione del cristianesimo possa essere ritenuta completa, pur omettendo o ignorando tale dottrina? O, se si suppone che la questione sia già risolta dall’uso della parola “dottrina”, bisogna ugualmente verificare quale tipo di “cristianesimo” oggettivo si debba concepire? Il cristianesimo del Nuovo Testamento, o qualche frammento del Nuovo Testamento scisso arbitrariamente dal contesto e interpretato in isolamento? Il cristianesimo delle chiese, quello storico espresso dalle confessioni di fede, o quello di una certa scuola della recente critica speculativa? Il cristianesimo di Auguste Sabatier, di Paul Lobstein, di Otto Pfleiderer o di Adolf Harnack?… Se mi si domandasse di identificare i tre pilastri principali sui quali poggia la struttura del cristianesimo, com’è insegnato in tutto il Nuovo Testamento, non potrei fare di meglio che indicare le tre seguenti realtà: il soprannaturale, l’incarnazione e la redenzione… Questi tre fatti costituiscono il cristianesimo del Nuovo Testamento»1. Al fine di focalizzare ancor di più la nostra attenzione, per Warfield “il cardine sul quale ruota tutto il sistema cristiano” è costituito dall’incarnazione del Signore della gloria: «Riflettendo sul fatto che la dottrina delle “due nature” è soltanto un altro modo per affermare la dottrina dell’incarnazione, comprendiamo che la dottrina dell’incarnazione è il cardine sul quale ruota tutto il sistema cristiano. Se in Cristo non ci sono le “due nature” non c’è l’incarnazione, se non c’è l’incarnazione non esiste cristianesimo in senso proprio»2.
Come dimostrano i saggi contenuti nel presente volume, nell’ambito di questa riflessione sulla natura e sulla struttura del vero cristianesimo, un ruolo preponderante è assunto dal discorso sulle dottrine della rivelazione e dell’ispirazione. Delineando il concetto biblico di rivelazione, nel distinguere la rivelazione naturale da quella speciale, la quale è necessaria all’uomo a causa del suo stato di peccato, il teologo di Princeton spiega che la rivelazione speciale di Dio è redentiva, in quanto coincide con quella “serie d’interventi nella storia dell’umanità” mediante i quali l’uomo avrebbe potuto essere salvato, per giungere, nonostante il suo peccato, al fine cui è stato destinato3. La rivelazione non consiste esclusivamente nella produzione delle Scritture, in quanto esse esistono solo per essere parte dell’opera redentiva di Dio: «Tra i molteplici metodi della rivelazione di Dio, quello della rivelazione mediante “ispirazione” va ad occupare il suo posto naturale. Le Scritture, quale prodotto finale di tale “ispirazione”, divengono un’opera di Dio e non solo una parte sostanziale della rivelazione, ma, insieme a tutta la rivelazione, costituiscono un aspetto fondamentale dell’opera di redenzione»1. Anzi, Warfield conclude: «La Scrittura riporta le rivelazioni dirette che Dio ha dato agli uomini nel passato, in quanto quelle rivelazioni dovevano servire permanentemente e universalmente all’uomo. Inoltre, essa è molto di più che una cronaca delle rivelazioni del passato: essa è la rivelazione finale di Dio, data per portare a compimento la manifestazione del suo insondabile amore per dei peccatori perduti e per proclamare i suoi propositi di grazia, mostrando ciò che nella sua misericordia ha provveduto per la loro salvezza»2.
Essendo la Scrittura la rivelazione “finale” di Dio, l’apice della rivelazione, allorché l’intellighenzia europea cercò di negare e obliterare Dio e la sua rivelazione, Warfield unì le proprie forze a quelle di coloro che, in quel periodo, si elevarono a difesa della verità del Vangelo. In particolare, egli spese molta fatica per definire3, difendere4 e collocare storicamente5 il concetto biblico di ispirazione. «Da sempre - afferma Warfield - la chiesa ha riconosciuto che la relazione tra l’autore divino e quelli umani delle Scritture, implica l’estensione della guida dello Spirito alla scelta delle parole usate dagli autori umani (questo è il concetto di ispirazione “verbale”), preservando il prodotto finale da tutte quelle cose inconsistenti con l’autorità divina. Così lo Spirito di Dio ha assicurato, tra l’altro, quella piena attendibilità che è presupposta ovunque dagli scrittori sacri (questo è il concetto di “inerranza”)»6. Questo non significa che il professore di Princeton non fosse disposto a vagliare le proprie convinzioni: «Per noi è importante ricordare che la dottrina dell’ispirazione confessata nella chiesa, è aperta ad ogni critica legittima e deve continuare ad essere sostenuta solo se e nella misura in cui è approvata, dopo essere stata messa alla prova dalla critica»1. Tuttavia, al termine di un serrato confronto con i suoi oppositori, giunge a questa conclusione: «Fino ad oggi, non è stato ancora dimostrato un singolo errore presente nelle Scritture, così come Dio le ha trasmesse alla sua chiesa e ogni studioso sa, com’è stato già puntualizzato, che il progresso dell’investigazione è servito da sempre a rimuovere le difficoltà, tanto che della decrepita lista degli “errori della Bibbia” resta solo qualche brandello, usato per coprire la nudità di questo moribondo spirito di contesa»2.
Un altro rilievo importantissimo riguarda un giudizio che non può essere pronunciato nei confronti di Warfield. è comune che gli eruditi del mondo accusino i teologi cristiani di lacerare l’equilibrio tra esegesi e dogmatica. Secondo loro, l’esigenza confessionale prenderebbe il sopravvento sul rapporto diretto con il testo e il dibattito dottrinale soffocherebbe la ricerca filologica. Orbene, pur trovandosi a combattere strenuamente per la fede contro il liberalismo, Warfield dimostra di non forzare i testi della Scrittura per giustificare certe interpretazioni dottrinali, né, tantomeno, di essere limitato al metodo cosiddetto dei “testi prova”. La lettura degli ultimi due saggi del presente volume, non solo dimostrerà la perizia filologica di Warfield, ma anche che spesso sono i filologi stessi ad esaltare, secondo scelte puramente soggettive e sulla base di un pregiudizio dogmatico, l’indagine storico-critica al punto da annichilire l’enunciazione propositiva della dottrina cristiana. Considerati gli scopi dichiaratamente profani di molti accademici, non c’è da meravigliarsi; anzi tale atteggiamento è stato sempre presente nell’epoca che inizia con la desacralizzazione umanistica della Bibbia e giunge fino al nostro decostruzionismo postmoderno.
In conclusione, la lettura di questi saggi dovrebbe stimolare un ritorno vero al principio biblico “sola Scrittura”. Si badi: non alla Scrittura considerata come una tra le varie fonti della verità all’interno della tradizione cristiana a disposizione dell’umanità, bensì alla sola Scrittura! La perdita della dottrina della rivelazione e dell’ispirazione confessata dalla chiesa cristiana nel corso dei secoli, porterebbe all’obliterazione del cristianesimo stesso. «La perdita – dichiara Warfield con forza, scorgendo in anticipo ciò che sarebbe avvenuto nei decenni a venire - non riguarda solo la dottrina protestante della perspicuità della Scrittura, ma anche tutto ciò che essa esprime e salvaguarda. Si tratta della perdita, per il cristiano comune, della stessa Bibbia, che sarebbe privata di ogni utilità pratica, abbandonando la coscienza dei suoi confusi lettori alla mercé dei loro maestri, ecclesiastici o accademici che siano!»1 E non è questo quello che è successo laddove si sia rigettata la concezione storica della Bibbia? Certo, e ciò è accaduto perché i molteplici tentativi di concepire “una visione nuova della Bibbia e della sua ispirazione”, fornendo “una base nuova per la dottrina”, hanno portato anche ad “una teologia completamente nuova”2 che non è cristiana.

ANDREA FERRARI
Chiesa Cristiana Evangelica “Sola Grazia”
Caltanissetta, settembre 2001

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