La persona e l'opera di Cristo
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Non c'è soggetto, più della persona e dell'opera di Cristo, che mostri meglio la profondità di penetrazione della mente acuta di Warfield.
Producer: Alfa e Omega
Product Code: 1001000002789
Weight: 0,770kg
Binding: Brossura
Number of pages: 544
Language: Italian

Book contents

INDICE

Prefazione

1. Il Cristo storico
2. La persona di Cristo secondo il Nuovo Testamento
3. Il Cristo predicato da Paolo
4. La vita emotiva del Signore
5. Cristianesimo senza Cristo
6. La missione di Gesù secondo la sua testimonianza
7. “Redentore” e “redenzione”
8. Cristo nostro sacrificio
9. La terminologia della “redenzione” nel Nuovo Testamento
10. Teorie moderne sull’espiazione
11. L’essenza del cristianesimo e la croce di Cristo

Foreword

Semplificando ma non deformando, si può dire che gli aspetti più caratterizzanti del pensiero di Warfield possono essere considerati la sua teologia della rivelazione, l’impegno profuso nel campo dell’apologetica e lo studio in chiave storica della traiettoria teologica della fede evangelica1. Non che questi siano i campi in cui Warfield abbia maggiormente lavorato2 o che siano stati studiati di più3, ma certamente sono quelli che, forse meglio di altri, ne indicano lo spessore culturale e l’attualità teologica.
Nel primo ambito è sicuramente da annoverare la sua teologia dell’ispirazione e dell’autorità della Scrittura che, ancora oggi, rappresenta un punto alto, tra i più alti, della riflessione evangelica su un tema strategico per delineare e valorizzare la prospettiva teologica dell’evangelicalismo. Solo per questo contributo fondamentale, Warfield meriterebbe di essere studiato e considerato, com’è giusto che sia, tra i più grandi teologi evangelici dell’epoca contemporanea1.
Nel secondo ambito evocato, è da ricordare soprattutto l’incessante e meticoloso confronto critico sostenuto da Warfield nei confronti del liberalismo teologico che, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, aveva assunto una posizione egemonica su entrambe le sponde dell’Atlantico. Non a caso, la cattedra che Warfield ha occupato ed onorato per oltre trent’anni a Princeton è stata quella di “teologia didattica e polemica”, a testimonianza del fatto che l’aspetto “polemico”, nel senso positivo dell’apologetica, è stato preponderante, o comunque significativo, nell’economia generale del suo impegno teologico2. Anche se è difficile etichettare Warfield secondo le classificazioni accademiche attuali, i due riferimenti presenti nella denominazione della cattedra (la “didattica” e la “polemica”), costituiscono una sintesi adeguata del tenore dottorale ed apologetico del lavoro warfieldiano. Comunque sia, la sfida rappresentata dal liberalismo, sia nelle sue matrici ideologiche continentali che nelle sue risultanti tipicamente nordamericane, è stata costantemente tenuta presente nell’opera vasta di questo infaticabile polemista e valente difensore dell’ortodossia evangelica1.
Il terzo ambito in cui è possibile discernere l’apporto più sostanzioso di Warfield, riguarda lo sforzo compiuto nel campo della storia della teologia intesa come percorso storico della riflessione dogmatica. In particolare, non possono essere sottaciuti gl’importanti lavori su Tertulliano, Agostino, Calvino e l’assemblea di Westminster2. Al di là della diversità considerevole di temi, epoche ed autori considerati, il filo conduttore che accompagna le esplorazioni di Warfield nell’ambito della storia è la convinzione che la fede evangelica classica non sia un’invenzione moderna, né un’innovazione introdotta dalla riforma protestante, né ancora una piatta ripetizione di certe sensibilità del passato, ma che sia possibile tracciare, guardandosi però dal pericolo di imboccare pericolose scorciatoie, una linea teologica unitaria che parte dagli scritti biblici e si rispecchia, anche se con accentazioni comprensibilmente diverse, nelle diverse fasi della storia della chiesa. Quelle di Warfield sono vere e proprie monografie di storia del dogma e di storia della teologia incastonate in questa cornice teologica di riferimento, che scommette sulla riconoscibilità storica e confessionale dell’identità evangelica nel corso dei secoli.

La teologia della rivelazione scritturale, l’impegno apologetico e la valorizzazione della storia della teologia evangelica, sono come tre poli intorno ai quali si è imperniato il lavoro teologico di Warfield, anche se la sua opera è così vasta e ricca da non poter essere solamente circoscritta ad essi. Accanto a questi poli, ma si potrebbe più felicemente dire: organicamente innestati a questi, si colloca la riflessione cristologica che rappresenta un altro aspetto consistente, quantitativamente e qualitativamente, della sua opera, anche se non ancora studiato in modo adeguato. Questa non è la sede per una presentazione circostanziata del profilo della cristologia di Warfield ma, molto più modestamente, può essere il luogo in cui iniziare ad inquadrarla dal punto di vista del metodo teologico, della prospettiva dottrinale e del contesto storico in cui è stata elaborata, nella speranza che la valorizzazione degli scritti cristologici di Warfield possa avviare una ricerca più puntuale e matura.
Innanzi tutto, vale la pena soffermarsi sulla questione del metodo teologico. Più sopra, si è fatto riferimento alla difficoltà di classificare Warfield secondo etichette accademiche, la cui tendenza è quella di settorializzare il sapere teologico in ambiti disciplinari aventi ciascuno il proprio statuto. Come si evince facilmente anche dando una scorsa all’elenco delle sue opere, Warfield eccede i particolarismi delle specializzazioni non perché li evita, ma perché ne assorbe una gran quantità con il risultato che i suoi scritti sono caratterizzati da un valore aggiunto rispetto ai canoni delle singole discipline. La sua opera, così ricca di finezze filologiche, argomenti esegetici, respiro storico, ossatura sistematica ed afflato spirituale1, è difficilmente riducibile ad un solo ambito disciplinare, anche se la prospettiva del pensiero è chiaramente quella della teologia sistematica, nel senso più denso e ricco dell’espressione. O meglio, nelle parole del suo collega e contemporaneo Francis Patton, in Warfield si riscontra più il “dogmatico” che il “sistematico”, il teologo che è “meno interessato al sistema di dottrina” rispetto “alle dottrine del sistema”2. Comunque sia, questi tratti si riscontrano pienamente anche nella sua riflessione cristologica. In essa si trova un teologo che è a suo agio nella veste di studioso del Nuovo Testamento, di erede di una tradizione interpretativa che si radica nell’ortodossia evangelica, nonché in quella di interprete critico delle tendenze liberali con cui doveva interagire; il tutto integrato dal profondo coinvolgimento di Warfield nelle vicende legate alla vita delle chiese e dalla capacità di collegare il discorso teologico ai suoi risvolti pratici. In quest’ottica, lo studioso di Princeton non ha scritto un trattato di cristologia ma ha disseminato la sua riflessione cristologica in una serie notevole di saggi ed articoli che, fatte salve le diversità di circostanze, temi e articolazione, sono tuttavia espressione di una cristologia esegeticamente argomentata e teologicamente corposa, ancorché a tratti episodica. La cristologia di Warfield riflette pienamente il suo metodo teologico più generale, che si avvicina molto più a quello dei Riformatori classici che non a quello dei suoi colleghi contemporanei. Per quanto questo possa sembrare anacronistico in certi ambienti della teologia accademica odierna, l’opera di Warfield si dipana all’insegna dell’unità del sapere teologico, persegue l’integrazione delle diverse discipline teologiche in vista della spendibilità ecclesiale e pastorale del lavoro teologico. Questa unità costituisce il punto di partenza, la base di riferimento, la condizione che rende possibile il fare teologia: nell’ottica warfieldiana, la teologia non consiste in un insieme affastellato di frammenti che si relazionano tra loro come se fossero delle variabili indipendenti, ma nella valorizzazione di numerose e variopinte tessere che formano un unico, grandioso mosaico. Inoltre, sempre nell’ottica dell’unità della teologia, la validità dello sforzo teologico si misura in quella delle sue ricadute pratiche dato che si riconosce una continuità tra il profilo della teologia e le sue conseguenze, e viceversa. Nel caso di Warfield, poi, essa, oltre ad essere il presupposto ispiratore della sua opera, ne è anche e per molti versi l’approdo effettivo. Infatti, lo studioso di Princeton è stato uno degli ultimi “giganti” della teologia evangelica che abbia saputo onorare l’unità del sapere teologico in modo credibile. Solo i grandi teologi riescono a stabilire un grado di corrispondenza soddisfacente tra l’unità del programma teologico e quella che si rispecchia nelle realizzazioni della teologia. Warfield è stato uno di questi “giganti” ed i suoi scritti cristologici testimoniano una sapienza teologica la cui intera struttura di plausibilità, sta in piedi o cade proprio sul valore attribuito all’unità del sapere teologico. Dopo Warfield, gran parte della teologia evangelica si è progressivamente settorializzata, seguendo in questo le tendenze alla specializzazione del mondo accademico, perdendo, di conseguenza, la robustezza e l’integrità di una teologia che sappia tenere insieme i fili di un discorso unitario.
A proposito dell’unità del sapere teologico, c’è un altro aspetto che merita di essere approfondito, se non altro perché indica in concreto uno degli obbiettivi prioritari perseguiti da Warfield e una delle motivazioni trainanti della sua intera opera. Da teologo accademico qual è stato, Warfield, anche in questo caso in linea con i grandi protagonisti della Riforma protestante, ritiene che la predicazione sia il luogo in cui lo studio della teologia debba trovare il suo sbocco principale. Questa non è un’idea originale in quanto la consequenzialità del rapporto tra teologia e predicazione è un comune denominatore di tutti coloro che si sono mossi all’insegna dell’unità del sapere teologico ed in vista della vita della chiesa. è anche vero che tale consequenzialità è stata ed è tuttora messa in discussione dall’eccessiva settorializzazione della teologia e dal progressivo sganciamento del lavoro teologico dal contesto ecclesiale. Senza pretese di originalità, quindi, anzi innestandosi su un filone consolidato che va da Calvino a Jonathan Edwards, da Pietro Martire Vermigli a John Owen ed in controtendenza rispetto agli orientamenti dominanti, anche Warfield ha concepito il proprio lavoro di studioso quale supporto offerto alla vita della chiesa nella fattispecie della predicazione. Nell’ottica dello studioso di Princeton, la teologia non è un sapere finalizzato a se stesso, né una disciplina cifrata solo per iniziati, ma deve costituire il laboratorio della predicazione, il luogo in cui si predispongono i materiali e si affinano gli strumenti impiegati per l’annuncio della Parola di Dio. Del tutto in linea con il pensiero di Warfield, la valutazione della forza, della ricchezza e del valore della teologia si misura in ragione del contributo che essa può dare al ministero pastorale ed alla predicazione del Vangelo. In quest’ottica, oltre all’impegno pluridecennale nel campo della formazione dei pastori alla facoltà teologica di Princeton, Warfield ha pubblicato numerosi saggi in riviste di taglio omiletico quali la Homiletic Review o The Expositor, a testimonianza non solo della versatilità del teologo che è in grado di scrivere su riviste accademiche come la Harvard Theological Review e la Princeton Theological Review con la stessa disinvoltura con cui interviene su altre di teologia pratica, ma anche della compattezza della sua teologia che prevede un nesso imprescindibile tra la cattedra ed il pulpito.
Quanto alla prospettiva dottrinale della cristologia, Warfield si colloca senza ombra di dubbio nella linea dell’ortodossia confessionale del protestantesimo storico. In piena continuità con l’orientamento di quel bastione dell’ortodossia evangelica che è stato il “vecchio Princeton”, Warfield ha svolto la sua riflessione riconoscendo la cristologia biblica espressa nei concili di Nicea e Calcedonia, in seguito riaffermata in modo convinto ed inequivocabile nella tradizione protestante ortodossa, quale verità di fede da confessare e quale spazio teologico da esplorare. La creatività teologica di Warfield si è espressa particolarmente in due campi, apparentemente distanti tra loro, eppure, a ben guardare, intimamente connessi l’uno all’altro, soprattutto se si tiene presente il contesto storico in cui Warfield ha vissuto. Il primo fuoco è da ricercare nello studio puntuale, anche se in linea con il carattere composito del resto della sua opera, delle basi bibliche della dottrina di Cristo. Convinto assertore dell’unità dei testamenti, Warfield ha approfondito temi di cristologia anticotestamentaria così come aspetti legati al magistero del Nuovo Testamento, rispettando la particolarità testuale e storica dei riferimenti ma sempre sottolineando il loro rimandarsi a vicenda all’interno dell’unico mosaico della storia della salvezza centrata su Gesù Cristo ed attestata dall’intera Scrittura. Il secondo fuoco è rappresentato dal confronto serrato che Warfield ha intrattenuto con la cristologia liberale di Ritschl, Harnack, Wrede e altri. Rileggendo il testo biblico avendone spezzato l’unità, soffocato l’ispirazione e polverizzato l’origine soprannaturale, i liberali giungevano ad un abbandono sostanziale della cornice dottrinale che per Warfield costituiva un elemento non negoziabile della fede evangelica in generale e della cristologia in particolare. Dato che il cristianesimo antico emergente dagli scritti del Nuovo Testamento è stato uno dei campi più investigati della scuola critica, è inevitabile che la cristologia rientri tra quegli ambiti in cui il liberalismo teologico entra in rotta di collisione con la prospettiva dell’ortodossia evangelica di Warfield. Quest’ultimo non ha elaborato la sua critica al liberalismo sotto la spinta di un istinto di conservazione tradizionalista o per un prurito reazionario ma in nome dell’unità del sapere teologico sopra evocata e della necessità di conformare il pensiero alle categorie della rivelazione biblica. L’aver citato lo scontro teologico col liberalismo permette di soffermarsi sul terzo ordine di considerazioni preliminari sulla cristologia dello studioso di Princeton.
Quanto detto, ci ha introdotto all’argomento del contesto storico in cui Warfield deve essere collocato. L’esistenza teologica di Warfield si svolge a cavallo tra la fine dell’Ottocento ed i primi due decenni del Novecento. Comprensibilmente, la sua opera è profondamente condizionata dal clima culturale che si respirava soprattutto nel contesto accademico ed ecclesiastico degli Stati Uniti, dove le tesi del liberalismo avevano determinato un radicale ripensamento dei riferimenti culturali e dei pilastri della fede. Con tutto il suo straordinario talento, Warfield si getta a capofitto nell’agone teologico e, dalla facoltà teologica di Princeton, che dopo la sua scomparsa avrebbe anch’essa capitolato al liberalismo, partecipa a pieno titolo ed in prima linea al tentativo di resistenza e di contrattacco nel segno dell’ortodossia evangelica fedele alla tradizione del protestantesimo storico. Il dibattito non riguarda questioni speculative ma la stessa ragion d’essere del cristianesimo: nell’ottica di Warfield, il liberalismo altro non è che un “cristianesimo senza Cristo”, dai presupposti problematici e dalle conseguenze devastanti. La riflessione cristologica di Warfield risente di questa temperie apologetica e prolunga nello specifico della dottrina di Cristo il confronto che impegna i teologi evangelici e liberali. Insieme a teologi dello spessore di Gresham Machen e James Orr, contribuisce alla stesura dei dodici volumetti intitolati The Fundamentals, usciti a Chicago dal 1912 al 1915, il cui nome verrà esteso al movimento trasversale che si oppose al liberalismo teologico nelle prime decadi del XX secolo. Non a caso, il saggio di Warfield pubblicato sui Fundamentals è di carattere cristologico e, più precisamente, ha come tema la deità di Cristo. In questo articolo divulgativo, Warfield prende lo spunto dalla critica di Harnack e Von Dobschütz e ribadisce, in modo semplice ma persuasivo, il radicamento biblico della confessione della divinità di Gesù Cristo1. In tutto l’ardore polemico, Warfield non si accontenta di rappresentazioni caricaturali e di seconda o terza mano del liberalismo ma dà sfoggio di una frequentazione assidua ed approfondita dei teologi tedeschi in particolare. Una delle forze argomentative di Warfield risiede proprio nella serietà metodologica della sua apologetica che, pur mantenendo fortemente il senso della radicale diversità della fede evangelica rispetto alle devianze liberali, non fa scadere il tono della discussione ad un mero scambio polemico privo di un preliminare e serio lavoro sulle fonti. La teologia di Warfield ricorda che nessun lavoro teologico è avulso rispetto ad un contesto culturale e che i meriti di una teologia stanno proprio nella sua capacità d’interagire con la cultura in cui è inserita, senza subirla acriticamente ma senza evitarla surrettiziamente. Warfield è stato un teologo profondamente attento alle dinamiche della cultura, come solo i veri teologi sanno fare. Quanto allo specifico dell’apologetica cristologica di Warfield, è difficile dire che la sua lezione sia superata pur essendosi trasformato il liberalismo che lui ha combattuto. La sua lezione dev’essere valorizzata in presenza delle sempre redivive propaggini di un sistema di pensiero che pretende, in nome di una qualche autorità autoreferenzialmente costituita, di ergersi a giudice insindacabile della rivelazione biblica.
Warfield è, senza ombra di dubbio, un “architetto” del pensiero evangelico contemporaneo o, per cambiare metafora, una delle sue principali “fonti”1. Insieme al suo grande contemporaneo Abraham Kuyper, egli rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per una seria ricognizione sui percorsi del pensiero evangelico nel XX secolo e per delinearne la prospettiva anche nel secolo che non è più il suo. Il mondo è cambiato ma le questioni sul tappeto sono, in fondo, sempre le stesse. Warfield le aveva affrontate a partire dalla Scrittura, in compagnia di Agostino e di Calvino, interloquendo con la cultura del suo tempo ed in vista della difesa e della conferma del Vangelo. Per guardare avanti, bisogna rimettersi sulle spalle di questi “giganti”, Warfield compreso.

LEONARDO DE CHIRICO
Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione
Padova, maggio 2001

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