L'odio contro Israele - Il conflitto arabo - israeliano alla luce della Bibbia
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Il conflitto arabo - israeliano, alla luce della Bibbia, va oltre la situazione attuale. Nella seconda guerra mondiale Hitler cercò di distruggere completamente la razza giudaica e mediante l'olocausto raggiunse il triste e tragico traguardo di sei milioni di vittime. Quello che è accaduto a New York l'11 Settembre 2001 non è solamente il più grande attentato terroristico di tutti i tempi; è l'atto più eclatante di un conflitto che prende origini da tempi amtichissimi, un odio inesauribile che coinvolge Musulmani ed Ebrei. Perchè tanto odio? Giuseppe Di Biagio illustra, con dovizia di particolari storici e riferimenti biblici, l'origine della lotta inflessibile dei popoli arabi contro Israele. L'autore dimostra incontrovertibilmente perchè Israele ha diritto di vivere nella Terra Promessa e perchè è necessario sostenere lo Stato d'Israele.
ISBN: 9788880772729
Producer: Editrice Uomini Nuovi
Product Code: 9788880772729
Dimensions: 148 x 208 x 4 mm
Weight: 0,090kg
Binding: Brossura
Number of pages: 47
Language: Italian

Book contents

Dedica; America: 11 Settembre 2001 (La contesa territoriale; La contesa religiosa; Gerusalemme; Il pomo della discordia; Perchè sostenere Israele; Ma chi è il vero nemico?); Lettera aperta all'America

Sample chapter

Capitolo 1

AMERICA: 11 SETTEMBRE 2001

Dopo alcuni giorni dall’attacco terroristico al cuore finanziario, economico, commerciale e militare degli Stati Uniti, in cui tutto il mondo si è domandato e cercato di capire la ragione dell’orrendo massacro perpetrato ai danni di esseri innocenti ho letto, con sorpresa, una frase riportata dal giornale “La Repubblica” il 15 settembre 2001, in cui l’autore diceva: “contro di loro e di noi (ossia degli USA e degli alleati europei) c’è un fanatismo religioso cieco e violento in cui fine ultimo, sia chiaro, è la distruzione d’Israele”.
Questa frase oltre che a colpirmi per la veridicità che contiene, ha richiamato alla mia mente un’altra frase detta da Saddam Hussein durante la guerra del Golfo. Egli disse: “Se gli Americani ci chiedono di spiegare dapprima il conflitto nel Golfo e poi la questione palestinese, allora risponderemo: Sì, per loro è più importante il petrolio, ma per noi è ancora più importante Gerusalemme”. Cioè: la presa della città, la cacciata degli Ebrei e la distruzione dello Stato d’Israele.
Nella seconda guerra mondiale (1939-45) Adolf Hitler inventò, malignamente, la soluzione finale del problema ebraico mediante l’olocausto per distruggere completamente la razza giudaica.
Allora viene spontanea la domanda: ma perché tanto odio?
Per capire questo odio, questa realtà cruenta, bisogna riconoscere che lo spirito che ha prodotto, infiammato gli eventi contemporanei ed attuali ha profonde radici storiche. Il presente è il prodotto del passato e, pertanto, la storia rende comprensibile la situazione attuale.
I conflitti odierni d’Israele con i palestinesi, arabi e musulmani, sono alimentati da pregiudizi, rancori, liti e fraintendimenti che hanno caratterizzato quasi 4000 anni di storia. Soltanto sullo sfondo del passato è possibile ottenere una comprensione profonda degli avvenimenti che hanno sconvolto il mondo l’11 settembre 2001.
Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 sono la conseguenza di una contesa territoriale e religiosa. La contesa territoriale trova origine nella Bibbia ebraico-cristiana e la contesa religiosa nel Corano Islamico.
E tutto ciò in un arco di tempo di quasi quattromila anni. Sono tanti, ma noi li trattiamo brevemente cominciando con le origini delle razze ebraica ed araba presentate nel seguente prospetto:

Da questo prospetto si vede e si comprende che Abramo è il capostipite delle due razze ebraica ed araba.
Abramo era un semita anche se viveva a Ur dei Caldei in Mesopotamia. Un semita perché discendente dal figlio di Noè, Sem, che insieme agli altri due figli di Noè Iafet e Cam, ripopolarono la terra dopo il diluvio.
Abramo all’età di 75 anni obbedì alla chiamata di Dio che lo mandò nel paese di Canaan, popolato dai cananei discendenti di Cam, figlio di Noè. Non appena arrivato nella terra di Canaan Iddio gli parlò dicendo:

“Il Signore disse ad Abramo, dopo che Lot si fu separato da lui: Alza ora gli occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; in modo che, se qualcuno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. àlzati, percorri il paese quant’è lungo e quant’è largo, perché io lo darò a te” (Genesi 13:14-17).

Dopo questa promessa, Abramo all’età di 85 anni ebbe un figlio non da sua moglie Sara che era sterile, ma dalla serva di Sara, una egiziana di nome Agar. Il figlio che nacque fu chiamato Ismaele (Genesi 16:15).
Dopo la nascita di Ismaele, Dio rinnova la promessa ad Abramo dicendo: “A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò loro Dio” (Genesi 17:8).
è evidente, sin qui, che nella mente di Abramo, di Agar e dell’ormai giovane Ismaele, l’erede a possedere la terra di Canaan – che diventò poi Israele ed infine Palestina – fosse la discendenza di Ismaele, appunto gli arabi.
Ma i pensieri degli uomini non sono i pensieri di Dio. Infatti avvenne che Dio pur benedicendo Ismaele in quanto figlio di Abramo, annunciò che Sara, la sterile, avrebbe partorito un bambino.
Ecco l’annuncio:

“No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e tu gli metterai il nome di Isacco. Io stabilirò il mio patto con lui, un patto eterno per la sua discendenza dopo di lui” (Genesi 17:19).

Abramo e Sara ebbero Isacco all’età di 100 anni per lui e di 99 anni per lei.
Il giorno che Isacco fu svezzato, sua madre Sara vide che Ismaele rideva ed allora disse ad Abramo: “Caccia via questa serva e suo figlio; perché il figlio di questa serva non dev’essere erede con mio figlio, con Isacco” (Genesi 21:10).
La cosa dispiacque ad Abramo ma Dio gli disse: “Non addolorarti per il ragazzo, né per la tua serva; acconsenti a tutto quello che Sara ti dirà, perché da Isacco uscirà la discendenza che porterà il tuo nome” (Genesi 21:12).
E così Agar e Ismaele se ne andarono, anzi furono cacciati. Se ne andarono con disprezzo, amareggiati, innanzi tutto convinti di essere stati frodati del diritto di possedere la Terra Promessa. Questa convinzione è rimasta, per millenni, radicata nei cuori dei loro discendenti arabi i quali hanno sempre desiderato di saldare, in modo malevolo, il conto del supposto torto subito.
Intanto Ismaele cresceva ed abitò nel deserto di Paran che si trova a sud della penisola del Sinai, divenne un tiratore d’arco e incominciò a prendere mogli. Ne ebbe dieci, tutte egiziane: un buon inizio per popolare la terra d’Arabia ad oriente di Canaan con la sua discendenza. Del resto Dio aveva promesso che la discendenza di Ismaele sarebbe diventata una nazione (Genesi 21:13), anzi una grande nazione se vediamo come è grande, oggi, la nazione araba nel mondo.
Ma, come abbiamo detto, il patto di Dio con Abramo non solo fu confermato ad Isacco, ma fu anche riconfermato a Giacobbe, figlio di Isacco e nipote di Abramo.
è una riconferma importantissima che toglie ogni dubbio, chiarendo una volta per tutte a chi appartiene la Terra Promessa, la terra di Canaan.
Dalla Scrittura:

“Dio gli disse: Il tuo nome è Giacobbe. Tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele. E lo chiamò Israele. Dio gli disse: Io sono il Dio onnipotente; sii fecondo e moltìplicati; una nazione, anzi una moltitudine di nazioni discenderà da te, dei re usciranno dai tuoi lombi; darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese che diedi ad Abraamo e ad Isacco” (Genesi 35:10-12).

Israele è, dunque, il nuovo nome di Giacobbe. Diventerà anche il nuovo nome della Terra Promessa quando fu conquistata dagli israeliti discendenti di Giacobbe figlio di Isacco e nipote di Abraamo.
Giacobbe fu padre di dodici figli i cui nomi furono dati alle dodici tribù d’Israele. Egli nacque e visse nel Negev, poi emigrò in Egitto con tutta la sua famiglia per stare vicino al figlio Giuseppe che era diventato primo ministro di Faraone. In Egitto la stirpe di Giacobbe crebbe e gli israeliti divennero molto numerosi, tanto è vero che Faraone li considerò una minaccia per la nazione. Quindi li soggiogò e li rese schiavi per quattrocento anni.
Ma Dio suscitò un liberatore, Mosè, che guidò il popolo fuori dall’Egitto per fargli raggiungere la Terra Promessa, Canaan. Mosè morì poco prima che l’impresa fosse compiuta e così toccò a Giosuè il compito di condurre il popolo alla conquista e al possesso reale della Terra Promessa.
Ma perché Dio ci teneva tanto a dare quel paese agli Israeliti? La ragione è che Dio voleva avere un popolo che abbracciasse i suoi precetti e che lo adorasse. Voleva una razza libera dall’idolatria diffusissima nel mondo di allora. Dio voleva un popolo particolare dal cui seno sarebbe nato il Messia, il Salvatore del mondo. Il Messia ebraico portante la luce divina in un mondo tenebroso a causa del peccato. E appena Gesù, il Messia, arrivò fu detto di lui: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo” (Giovanni 1:29).
Questo è molto importante per capire perché Dio diede ad Israele il possesso della Terra Promessa.
Ma possedere quella terra è una cosa, goderla con la benedizione divina è un’altra; perché per goderla era necessaria l’ubbidienza a Dio. Ecco perché Israele, durante la sua storia millenaria, non ha sempre goduto la Terra Promessa donatagli da Dio.
Infatti, dopo che Israele conquistò la Terra Promessa ci fu pace, ma quando cominciava a disobbedire a Dio, i conflitti con i popoli vicini si sviluppavano e così Israele, invece di godere, soffriva.
Anche durante il regno di Salomone, alla dedicazione del Tempio, Dio ancora una volta avvertì il suo popolo dicendogli: “Ma se vi allontanate da me e abbandonate le mie leggi e i miei comandamenti, che vi ho posti davanti, e andate invece a servire altri dèi e a prostrarvi davanti a loro, io vi sradicherò dal mio paese che vi ho dato; e respingerò dalla mia presenza la casa che ho consacrata al mio nome, e la farò diventare la favola e lo zimbello di tutti i popoli” (2 Cronache 7:19-20).
Anche il profeta Isaia avvertì duramente il popolo d’Israele: “Se siete disposti a ubbidire, mangerete i frutti migliori del paese; ma se rifiutate e siete ribelli, sarete divorati dalla spada; poiché la bocca del Signore ha parlato” (Isaia 1:19-20).
Ma Israele non tenne conto di questi avvertimenti e disubbidì e fece cose spiacevoli agli occhi di Dio.
Anche re Salomone, finché restò ubbidiente, saggio e sapiente davanti a Dio prosperò sino ad avere un regno, un dominio dal fiume Eufrate sino al fiume d’Egitto, ma quando incominciò ad essere avido di sesso – ebbe settecento mogli e trecento concubine, donne bellissime ma pagane provenienti da nazioni vicine – Iddio cessò di benedirlo.
Infatti Salomone, sposando e convivendo con donne pagane, presto cadde nell’idolatria. Eppure sapeva che il Signore aveva detto ad Israele: “Non andate da loro e non vengano essi da voi, poiché essi certo pervertirebbero il vostro cuore per farvi seguire i loro dèi” (1 Re 11:2).
Settecento mogli e trecento concubine fecero pervertire il cuore di Salomone facendolo impazzire. è pericoloso disubbidire al consiglio di Dio.
La conseguenza più grave fu che presto il regno di Salomone fu diviso in due parti. La parte del nord fu chiamata Regno d’Israele che poi fu distrutto dagli Assiri; la parte del sud fu chiamata Regno di Giuda che fu invece distrutto dai Babilonesi, i quali portarono i giudei in cattività a Babilonia per settanta anni.
Che tragedia! Per settanta anni il paese dato da Dio ad Abraamo, Isacco e Giacobbe non è stato goduto da Israele a causa della sua disubbidienza.
Per la stessa ragione Gerusalemme, la città del Gran Re, è stata, nella sua storia, assediata 96 volte; parzialmente distrutta 13 volte e completamente 17 volte; è stata occupata dallo straniero 25 volte.
Quando Nabucodonosor distrusse Gerusalemme nell’anno 587 avanti Cristo, voleva, in realtà, la fine della razza ebraica. Ma Dio non poteva permettergli di compiere quell’atto perché dalla razza ebraica doveva venire il Messia. Perciò ispirò Ciro, il re di Persia, a conquistare Babilonia in modo da far ritornare gli Ebrei nella loro terra, dove restarono sino alla conquista Romana. Periodo durante il quale nacque, a Betleem, il Messia, annunciato da un angelo che disse ai pastori: “Oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore” (Luca 2:11).
Ma la nazione d’Israele tragicamente rigettò il piano di Dio della salvezza in Gesù Cristo. Rigettò il suo Salvatore perché vide in Lui solo la corona di spine e non la corona di gloria. La nazione d’Israele voleva sì un Salvatore, ma che fosse un condottiero, che cacciasse i romani dalla Terra Promessa affinché potesse tornare a goderla con la benedizione di Dio. In breve: la nazione d’Israele voleva continuare a possedere la terra che Dio aveva dato, ma senza la dovuta obbedienza.
Quando Gesù cominciò il suo ministero in Galilea, predicò dicendo: “Ravvedetevi, perchè il regno dei cieli è vicino” (Matteo 4:17). Ma la nazione d’Israele non si ravvide ed infine crocifisse il Salvatore, così ancora una volta, invece di godersi la Terra Promessa tanto desiderata, ne fu espropriata proprio dal nemico romano tanto odiato.
L’espropriazione accadde nel 70 dopo Cristo, quando Israele si ribellò all’Impero Romano provocando l’intervento delle armate del generale romano Tito, il quale assediò Gerusalemme per quattro mesi. Di conseguenza: le condizioni della città diventarono disperate mentre i morti insepolti imputridivano per le strade diffondendo germi di malattie pestilenziali. Molti Ebrei per non morire di fame mangiarono i loro figli. I soldati romani, abbattute le mura di Gerusalemme, cominciarono a distruggere e ad uccidere senza pietà, mentre le fiamme avvolgevano il Tempio e la città. Allora soldati e sciacalli cominciarono a saccheggiare il Tempio per tirare fuori l’oro fuso e solidificato tra le pietre, affinché non restasse pietra su pietra come Gesù aveva profetizzato (Matteo 24:2).
Un milione di Giudei perirono e altri due milioni furono portati a Roma per essere schiavi da un capo all’altro dell’Impero Romano.
I romani, per rimuovere ogni traccia d’ebraismo nella terra già di Canaan e poi d’Israele, ararono la città distrutta di Gerusalemme e ne costruirono un’altra chiamata Aelia Capitolina, eressero un tempio a Giove sul luogo dove prima si ergeva il Tempio ebraico e chiamarono Palestina la terra che Dio diede ad Abraamo, Isacco e Giacobbe e alla loro progenie.
Allorché l’imperatore Costantino riconobbe il cristianesimo religione di stato, nuove e positive attenzioni furono rivolte verso la Palestina. I templi pagani furono sostituiti con le chiese cristiane e la città di Gerusalemme divenne mèta di pellegrini, ma ciò durò sino a che il musulmano Califfo Omar conquistò la città nell’anno 638 dopo Cristo.
Nell’anno 691 dopo Cristo un altro Califfo, Abdul Malik, della dinastia Ummayyad, costruì e dedicò una moschea sulle rovine dell’antico Tempio distrutto di Salomone. La costruì sulla roccia dove Abraamo doveva offrire suo figlio Isacco. I musulmani dicono Ismaele, da ciò il nome della moschea: Duomo della Roccia. Secondo la tradizione islamica questo fu il luogo dal quale il profeta Maometto ascese al cielo. Perciò i musulmani considerano Gerusalemme come loro terza città santa dopo La Mecca e Medina.
Dopo alterne vicende in Palestina giunsero i crociati, gli egiziani ed infine, nell’anno 1517 arrivarono i turchi.
Nel 1917 gli inglesi conquistarono la città di Gerusalemme e l’amministrarono sino al mese di maggio del 1948. Allora la Transgiordania prese possesso della città sino a quando, finalmente, il nuovo Stato d’Israele ormai risorto la conquistò definitivamente durante la guerra dei sei giorni del 1967, liberandola dal dominio straniero durato 1832 anni.
Nel luglio del 1980 la Knesset, il parlamento israeliano, promulgò una legge con la quale proclamava la città di Gerusalemme unica e indivisibile capitale eterna di Israele.
Straordinario! Ma come è potuto accadere tutto ciò?
è accaduto perché Dio aveva promesso, lo ripetiamo, la terra di Canaan alla progenie di Abraamo, Isacco e Giacobbe per sempre. Solamente, e lo diciamo ancora, quella progenie non l’avrebbe goduta qualora avesse disobbedito a Dio. Tutto qui. Se oggi c’è di nuovo lo Stato d’Israele è perché Dio ha un piano. E il suo piano è di mandare una seconda volta suo Figlio sulla terra per adempiere tutto il piano della redenzione divina. Perciò la prima venuta di Cristo duemila anni fa iniziò l’opera di redenzione che sarà finita con la sua seconda prossima venuta.
Le due venute di Gesù Cristo si completano, l’una sta nell’altra. Se Gesù non tornasse il mondo non solo sarebbe perduto, ma non vivrebbe mai in pace, perché la pace sulla terra la può portare solo il “Principe della pace” che è Gesù, il Cristo, il Messia. Il mondo senza di lui non può fare nulla, va sempre di male in peggio e questo lo vediamo, lo constatiamo con i nostri occhi. E per tornare una seconda volta sulla terra è necessario che la nazione d’Israele sia in possesso della terra di Palestina, perché è impossibile che il Cristo ebraico torni in una Palestina arabo-musulmana.
Perciò Dio, dopo aver dato la Terra Promessa ad Israele, ha parlato di nuovo ad Israele mediante il profeta Ezechiele dicendo: “Io vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi, e vi ricondurrò nel vostro paese” (Ezechiele 36:24).
Ancora: “E di’ loro: “Così parla Dio, il Signore: Ecco, io prenderò i figli d’Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese” (Ezechiele 37:21).
E tutto ciò perché, secondo la promessa di Dio, tutte le nazioni della terra fossero benedette in Cristo mediante la sua seconda venuta.
Ma con la ripresa del territorio palestinese da parte d’Israele, l’antica contesa territoriale tra arabi ed ebrei si è risvegliata, si è riaccesa e l’antico odio è tornato nei cuori degli arabi e degli israeliani.
“Il territorio della Palestina è nostro”, tornano a dire gli arabi!
“No, il territorio della Palestina è nostro”, rispondono gli Ebrei!
Da questa atmosfera contrastata di possesso è nata la nuova contesa territoriale della fine degli “ultimi giorni”.

LA CONTESA TERRITORIALE

Venuta alla ribalta del proscenio mondiale della seconda metà del ventesimo secolo, ha provocato quattro guerre tra arabi ed israeliani per ritornare in possesso dell’antica Terra Promessa.
La prima guerra scoppiò nel 1948 subito dopo la proclamazione del nuovo Stato d’Israele. Ma la vittoria d’Israele, con i suoi 650 mila abitanti contro i 32 milioni dei suoi nemici, fu un chiaro segno che Israele era tornato ad essere aiutato dall’Eterno Dio, il Dio che lo liberò dalla schiavitù d’Egitto.
La seconda guerra scoppiò nel 1956 quando in un nuovo accesso di rabbia e bruscamente il Libano, la Siria e l’Egitto di Nasser si unirono e di nuovo attaccarono lo Stato d’Israele dopo aver annunciato a tutto il mondo che avrebbero rigettato a mare i due milioni di Ebrei che vi abitavano. Ma quale fu il risultato? Gli Ebrei ancora una volta vinsero gli stati arabi, ingrandirono il loro territorio, e se non fossero stati fermati dall’intervento dell’ONU avrebbero conquistato l’intero Egitto.
La terza guerra scoppiò nel 1967, e si può definire uno dei più grandi interventi di Dio nella storia ebraica. Le principali direttive delle colonne di marcia sui tre fronti di guerra: egiziano, siriano e giordano e le loro fulminee e travolgenti avanzate lo dimostrano. Contemporaneamente allo sbandamento e allo stupore del mondo per la rapida vittoria israeliana, Gerusalemme cadeva dopo tre giorni di durissimi combattimenti.
Da duemila anni gli Ebrei di tutto il mondo aspettavano il grande avvenimento per ritornare alle rovine del Tempio non più come pellegrini, come gente tollerata ammessa solo a guardare l’antica città per concessione del dominatore o dello straniero. No, essi tornavano come gente consapevole del diritto di possesso della loro propria terra.
La quarta guerra scoppiò nel 1973, all’improvviso, in un estremo tentativo di rivincita da parte araba. Ma ancora una volta Israele ebbe la vittoria.
Nonostante le guerre perdute, gli arabi continuano a sostenere la contesa territoriale. Nascono così significative organizzazioni come l’OLP, ossia l’organizzazione per la liberazione della Palestina sotto la guida di Asser Arafat.
Arafat, nonostante abbia ricevuto il premio Nobel per la pace, in cuor suo ha sempre sostenuto la necessità di liberare la Palestina dall’occupazione – dice lui – d’Israele.
Infatti egli ha detto:

“L’anno 1989 deve apportare all’OLP una vittoria su tutto Israele” (Dal giornale arabo al-Anba del 14 dicembre 1988).
“Lo scopo della nostra lotta è quello di causare la fine d’Israele. E non vi sono compromessi possibili”. (Dal giornale Washington Post).
“Voi siete la generazione che raggiungerà il mare e isserà la bandiera palestinese su Tel Aviv” (Da un discorso in un campo d’allenamento di guerriglieri).
“La marcia vittoriosa continuerà, finché la bandiera palestinese sventoli su Gerusalemme e in tutta la Palestina, dal Giordano al Mar Mediterraneo, e da Rosh Hanikra a Eliat” (Da un discorso all’Università di Beirut).
“Non crediate che sia possibile riconquistare la Palestina con mezzi politici, per poter ritornare a Gerusalemme. Non andrete più in Palestina e non vedrete alzarsi su Gerusalemme la bandiera della rivoluzione, se non col ricorso alle armi. Non vogliamo una vittoria politica, finché non sia nostra la vittoria militare. Serrate fermamente i fucili in pugni di ferro, per giungere così alla vittoria” (Dalla Voce della Palestina).
Con queste affermazioni e dichiarazioni, non bisogna meravigliarsi se l’intifada diventa sempre più cruenta e aggressiva.

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