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MA PERCHÉ LUTERO NON TACQUE?
Dopo quasi cinque secoli, alcuni potrebbero chiedere: «Ma per quale ragione Lutero volle far sentire la sua voce e non tenne per sé le proprie convinzioni?» Lutero affrontò un problema della massima urgenza. La sua convinzione era che il peccato è una realtà da considerare molto seriamente e che la questione della salvezza è di primaria ed eterna rilevanza. Il modo in cui Lutero avvertì il peso di queste cose era stato conosciuto da pochi, o forse da nessuno, nella storia dell’umanità. Queste cose erano per lui talmente importanti da indurlo ad assumere delle posizioni che lo contrapposero all’autorità della chiesa e dello stato, fino a farlo rimanere solo e, spesso, a conoscere l’amarezza di sentirsi “Lutero contra mundum”.
Seguendo l’antico schema aristotelico forma/materia, gli storici hanno indicato la dottrina della giustificazione per sola fede (sola fide) come la “causa materiale” della Riforma protestante del XVI secolo. In effetti, fu questo l’argomento principale della disputa. Lutero lo considerò “l’articolo sul quale la chiesa resta in piedi o cade”. Egli ritenne che anche a livello personale era questo l’articolo sul quale egli stesso sarebbe rimasto in piedi o sarebbe caduto.
In tal modo, dal tempo della Riforma, la dottrina della sola fide ha caratterizzato il cristianesimo evangelico. Essa è divenuta una dottrina normativa, perché è stata considerata essenziale al Vangelo stesso. Senza la sola fide non si ha il Vangelo e senza il Vangelo non c’è la fede cristiana. Quando una comunità ecclesiastica rigetta il principio della sola fide, come fece la chiesa cattolica romana al Concilio di Trento, cessa di essere una vera chiesa. Tutta l’ortodossia possibile su altri soggetti non vale nulla se si condanna un punto così essenziale. Mentre a Worms Lutero rimase in piedi, al Concilio di Trento Roma cadde e, fino ad oggi, è rimasta a terra.
Il carattere di Dio
Il dilemma di Lutero e l’angoscia della sua anima dipesero principalmente dalla sua corretta comprensione del carattere di Dio. Uno degli attributi essenziali di Dio (essenziale in quanto, senza di esso, Dio non potrebbe essere Dio) è la sua giustizia. La Scrittura ci rivela in modo chiaro che il Dio del cielo e della terra è giusto. Questo non significa soltanto che i suoi giudizi sono equi. Le opere di Dio sono giuste, ma ciò che conta è che egli fa ciò che è giusto perché è giusto. Le sue giuste azioni scaturiscono dal suo carattere giusto.
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Coloro che si considerano sufficientemente giusti e buoni non tremano di fronte alla legge, e non reputano di avere bisogno del Vangelo. Per tali persone, tutta la questione e le problematiche relative alla “giustificazione” non hanno grande importanza. «In fondo - dicono - si tratta solamente di una “dottrina”», e nella chiesa contemporanea poche cose sono ritenute meno importanti della dottrina! Il ritornello che udiamo continuamente è: «La dottrina divide, ciò che conta è avere una relazione personale con Cristo. La dottrina della giustificazione non ci salva, è Cristo il Salvatore».
Le dottrine uniscono
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Cos’è la giustificazione?
Il termine “giustificazione” si riferisce ad un’azione legale da parte di Dio, il quale dichiara che una persona è giusta al suo cospetto. La concezione protestante è stata generalmente definita come “giustificazione forense”, vale a dire che la giustificazione è una “dichiarazione legale” fatta da Dio stesso.
Ciò che spesso si trascura, però, è che anche la chiesa cattolica romana ha una sua versione della “giustificazione forense”. In effetti anche i teologi cattolici ammettono che la giustificazione occorre quando Dio dichiara una persona giusta. Tuttavia, quando gli evangelici parlano di “giustificazione forense”, la frase è usata come una specie di sinonimo per intendere il principio della sola fide, e si intende tacitamente che Dio dichiara giuste quelle persone che, in se stesse, non lo sono affatto. La chiesa di Roma, invece, insegna che Dio dichiara giuste soltanto le persone che di fatto lo sono e che si è dichiarati giusti solo se e quando la giustizia diviene una virtù inerente. Come si può osservare, entrambe le concezioni considerano la giustificazione come una dichiarazione divina, ma il fondamento di tale dichiarazione differisce radicalmente.
La chiesa romana attribuisce al termine “giustificazione” il significato di “rendere o fare giusti”, basandosi sulla radice latina della parola justificare (justus e facio, facere), che nella giurisprudenza romana significava “fare giusto”. Quindi, secondo questa concezione, Dio dichiara giusti solo coloro che, prima, sono stati fatti giusti.
Il modo più semplice per giungere a comprendere la dottrina evangelica della giustificazione è quello di porla in contrasto alla concezione cattolico-romana.