All'inizio del 1516 Lutero affronta la seconda parte della Lettera ai romani. Il suo nome è ancora sconosciuto, ma solo per poco: appena qualche mese dopo il termine del corso, alla fine del 1517, l'interesse suscitato dalle Tesi di Wittenberg lo renderà noto ovunque.
In queste pagine - definite dall'Esnault, con una felice espressione: «Una prefazione involontaria della Riforma» - è dato cogliere dal vivo, soprattutto a partire dal cap. 8, i segni che preparano e motivano quella svolta storica. Fino a questo punto Lutero aveva seguito passo passo il testo di Paolo, cercando un accesso alla Lettera mediante l'interpretazione di Agostino e sciogliendo i nodi teologici che gli si presentavano; ora il discepolo ha impostato la sua esegesi e la sua teologia sugli scritti del maestro, può parlare con voce propria, scoprire il suo animo. Non a caso, nella cerniera tra i capp. 7 e 8, proprio là dove va allentandosi la tensione che pervade la lettera, l'andatura emotiva con cui Lutero segue il testo di Paolo è diversa: egli sta recuperando di suo la temperie che accendeva la parola dell'apostolo.
Molte sono le pagine di questa seconda parte del commento alla Lettera che dicono con chiarezza quale sia la direzione in cui Lutero si sta orientando: sono perlopiù pagine intense, segnate da approfondimenti esegetici o vere innovazioni teologiche (si veda la «theologia crucis»), che soprattutto rispecchiano episodi e vicende della vita della Chiesa nel primo Cinquecento.
L'incontro di un giovane professore di Wittenberg con la Lettera ai romani ha aperto una nuova pagina di storia della Germania e dell'Europa. La Riforma nasce proprio qui: sotto la spinta dei paradossi di Agostino, e con la partecipazione al dramma che Paolo stesso aveva affrontato e vissuto quale apostolo dei gentili.
Questo volume contiene la seconda parte delle Lezioni sulla Lettera ai romani, quindi la versione del testo vulgato (capp.8-16) adottato da Lutero con le glosse interlineari entro il testo e quelle marginali, e gli scolii ai capp. 8-15. L'ultimo capitolo, che conclude lo scritto di Paolo con i saluti ai cristiani di Roma, non ha scholia.