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Cos’è il Pragmatismo
Il Pragmatismo è quella concezione secondo cui il significato o il valore di una cosa è determinato dalle sue conseguenze pratiche. è una prospettiva strettamente affine all’Utilitarismo, ossia all’idea che l’utilità sia il canone che determina ciò che è buono. Per un pragmatista/utilitarista, se una certa tecnica o una serie di azioni producono l’effetto desiderato, allora devono considerarsi come giuste. Se, invece, sembra che non funzionino significa che sono sbagliate.
La filosofia del Pragmatismo fu elaborata e resa celebre, alla fine del secolo scorso, dal filosofo William James e da altri illustri pensatori, come John Dewey e George Santayana. Fu soprattutto James a dare nome e corpo a questa nuova filosofia. Nel 1907, pubblicò un saggio intitolato Pragmatism: a new Name for Some Old Ways of Thinking (Pragmatismo: un nuovo nome per vecchi modi di pensare), con cui inaugurò un modo del tutto nuovo di rapportarsi alla verità ed alla vita.
Il Pragmatismo affonda le sue radici nel Darwinismo e nell’Umanesimo laico. è fondamentalmente relativistico, dal momento che rifiuta i concetti assoluti di bene e male, giusto e sbagliato, verità ed errore. Il Pragmatismo, in definitiva, fa coincidere il vero con l’utile e con il pertinente. Le idee che non possono essere sfruttate o che non sembrano avere una certa rilevanza pratica, vengono respinte come false.
Cosa c’è di sbagliato nel Pragmatismo? Dopo tutto, anche nel buon senso c’è una certa dose di legittimo Pragmatismo, non vi pare? Se, per esempio, un rubinetto perde e, dopo aver cambiato le guarnizioni, funziona di nuovo, è ragionevole dedurre che il problema stava proprio nelle guarnizioni guaste. Se il medico vi prescrive un farmaco che provoca dei dannosi effetti collaterali o che non produce alcun miglioramento, di sicuro cercherete un altro rimedio che possa funzionare. Questi semplici esempi di Pragmatismo sono piuttosto evidenti.
Ma quando si ricorre al Pragmatismo per formulare giudizi in merito a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, oppure quando ne facciamo una filosofia di vita superiore alla dottrina e che determina la natura del ministero pastorale, allora entrerà inevitabilmente in contrasto con la Scrittura. Non è possibile stabilire la verità spirituale e biblica in base a ciò che “funziona” e a ciò che “non funziona”. Ad esempio, sappiamo dalla Scrittura che spesso il Vangelo non produce una risposta positiva (I Corinzi 1:22-23; 2:14). Al contrario, le menzogne e gli inganni di Satana possono dimostrarsi alquanto efficaci (Matteo 24:23-24; II Corinzi 4:3-4). La reazione della maggioranza non prova il valore di qualcosa (Matteo 7:13-14) e la prosperità non è misura dell’integrità (Giobbe 12:6). Il Pragmatismo come filosofia nel ministero è estremamente dannoso. Il Pragmatismo come cartina al tornasole della verità è diabolico!
Ciononostante, il mondo Evangelico contemporaneo è attraversato da un’imponente ondata di acceso Pragmatismo. La metodologia tradizionale, in particolar modo la predicazione, viene accantonata o scartata del tutto, in favore di nuove tecniche come il teatro, la danza, la commedia, il varietà, la rivista, la psicologia di gruppo ed altre forme d’intrattenimento. I nuovi metodi sono considerati maggiormente “efficaci” perché riescono ad attirare più gente. Da quando il numero dei membri è diventato il criterio principale per stabilire il successo di una chiesa, tutto ciò che richiama un buon numero di persone è accettato senza alcuna analisi critica, come qualcosa di intrinsecamente buono. Questo è Pragmatismo!
Forse, la manifestazione più evidente del Pragmatismo consiste nei cambiamenti convulsivi che, nell’ultima decina d’anni, hanno stravolto il culto e l’adorazione nelle chiese. Oggi, alcune delle più grandi ed importanti chiese Evangeliche si vantano di culti domenicali appositamente ideati per risultare più gioviali che solenni. Ancor peggio, la teologia è stata rimpiazzata dalla metodologia. Un autore ha scritto: «In passato, una dichiarazione dottrinale era la causa scatenante della nascita di una denominazione. Oggi, la metodologia è il collante che tiene unite fra loro le chiese. Ciò che le caratterizza e rende peculiare la loro identità è il loro approccio metodologico al ministero»[3]. è incredibile, eppure molti sono convinti che questa sia una tendenza positiva, una spinta ulteriore per l’avanzamento della chiesa contemporanea.
Alcuni conduttori di chiesa, evidentemente, considerano le quattro priorità della chiesa neotestamentaria, ossia la dottrina apostolica, la comunione fraterna, la rottura del pane e la preghiera (Atti 2:42), un programma troppo scarno per la chiesa moderna. Le chiese corrono dietro al teatro, alla musica, ai divertimenti, all’intrattenimento, ai corsi di “fai da te” e ad altri svaghi simili, nel tentativo di eclissare il culto domenicale e la comunione fraterna tradizionali. Nella chiesa di oggi, infatti, tutto sembra essere di moda tranne la predicazione della Parola di Dio! I nuovi Pragmatisti considerano la predicazione, in particolar modo quella espositiva[4], come qualcosa di superato. La semplice proclamazione della verità biblica è ritenuta una cosa rozza, sgradevole e del tutto inefficace. Adesso c’insegnano che si possono ottenere risultati migliori facendo prima divertire le persone e poi dando loro dei suggerimenti per avere successo nella vita mediante l’ausilio della psicologia, al fine di riportare in questo modo i peccatori all’ovile. Quando, in un secondo tempo, si sentiranno a proprio agio, allora saranno pronti per ricevere la verità biblica in piccole pillole e dosi diluite.
I pastori si rivolgono ai manuali di marketing in cerca di nuove tecniche per favorire la crescita delle chiese. In molte Scuole Bibliche l’enfasi dei corsi di Teologia pastorale è stata spostata dalla preparazione biblica e dottrinale, all’uso di tecniche di consulenza e di teoremi per la crescita numerica delle chiese. Tutte queste tendenze dimostrano come le chiese abbiano demandato al Pragmatismo la responsabilità della loro crescita. Come ha fatto notare Martyn Lloyd-Jones:
… il suggerimento che riceviamo da alcuni di predicare meno per essere più attivi facendo altre cose è una tendenza che sembra nuova, ma non lo è affatto. Molti ritengono che svalutare e umiliare la predicazione enfatizzando altre iniziative, sia un segno della modernità. La semplice risposta a costoro è che tale tendenza non è per niente una novità. Il modo in cui si manifestano oggi queste convinzioni può anche essere nuovo, ma il principio che l’ha ispirato non lo è affatto. In realtà è stata proprio questa l’enfasi peculiare di tutto il nostro secolo[5]…
Il Pragmatismo rappresenta davvero un pericolo?
Sono convinto che il Pragmatismo rappresenti esattamente la medesima subdola minaccia per la chiesa oggi, come il Modernismo che la insidiò più di cento anni or sono. Il Movimento Modernista abbracciò la cosiddetta “alta critica” (un approccio alla Scrittura che nega che la Bibbia sia l’infallibile Parola di Dio) e la teologia Liberale, giungendo così a negare quasi tutti gli aspetti soprannaturali del cristianesimo storico. All’inizio, tuttavia, il Modernismo non si propose come un attacco aperto alla dottrina ortodossa. Piuttosto, i primi Modernisti sembravano soprattutto preoccupati di pervenire all’unità fra le varie denominazioni. Per conseguire questo risultato, considerando che nei tempi moderni una chiesa frammentata non sarebbe servita a niente, i Modernisti accantonarono la dottrina, ritenendo che essa fosse, per natura, sempre causa di divisione. Per favorire l’influenza del cristianesimo nel mondo, i Modernisti cercarono di conciliare i suoi insegnamenti con i nuovi contributi della scienza, della filosofia e della critica letteraria. Il Modernismo nacque come metodologia, ma ben presto assunse le caratteristiche di una vera e propria teologia.
I Modernisti attribuirono alla dottrina un’importanza secondaria. Insistendo soprattutto sul concetto di fratellanza e sull’esperienza, sorvolarono sulle differenze dottrinali. La dottrina, secondo loro, doveva essere fluida e malleabile, non certo una realtà per cui valesse la pena combattere. Nel 1935 John Murray così descrisse il tipico Modernista:
… molto spesso il Modernista si vanta del fatto che, a suo dire, egli si occupa della vita, dei princìpi della condotta e di mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo in ogni sfera dell’esistenza: individuale, sociale, ecclesiastica, economica e politica. Il suo motto è che il cristianesimo è vita, non dottrina e ritiene che il cristiano ortodosso o fondamentalista, come ama definirlo, si preoccupi solo di conservare e perpetuare gli antiquati dogmi di una fede confessionale. Questa preoccupazione, alla lunga, avrebbe reso l’ortodossia una fredda e morta fossilizzazione del vero cristianesimo[6]…
Quando i precursori del Modernismo fecero la loro comparsa, alla fine dell’Ottocento, furono pochi i credenti che se ne preoccuparono. In quegli anni, le più accese controversie consistevano in polemiche di poco conto contro uomini come Charles Spurgeon ed altri, i quali tentavano di mettere in guardia la chiesa proprio contro la minaccia del Modernismo. La maggior parte dei cristiani e in particolar modo i conduttori di chiesa, rimasero completamente sordi a questi ammonimenti. Dopo tutto, non si trattava di estranei che cercavano di imporre alla chiesa dei nuovi insegnamenti; anzi, quegli uomini appartenevano tutti a denominazioni Evangeliche ed erano, inoltre, degli studiosi eminenti. La loro intenzione non era certo quella di minare le basi della teologia ortodossa, né di colpire il cuore del cristianesimo. Per questo, le divisioni e gli scismi erano considerati mali peggiori dell’apostasia.
Tuttavia, la storia ha poi dimostrato che, quali che fossero le motivazioni originali dei Modernisti, le loro teorie rappresentarono, di fatto, una grave minaccia per l’ortodossia. Nella prima metà del XX secolo, gli insegnamenti scaturiti da quel Movimento decimarono tutte le principali denominazioni Evangeliche! Sminuendo il valore della dottrina, il Modernismo aprì la porta al Liberalismo teologico, al Relativismo etico ed allo Scetticismo! La maggior parte degli Evangelici, oggi, tende a far coincidere il termine “Modernismo” con il rinnegamento della fede tout-court. Spesso ci si dimentica che, invece, lo scopo che si prefissero i primi Modernisti era semplicemente quello di rendere la chiesa più “accessibile”, più unita, più influente e più accettabile per la scettica epoca in cui vissero. Proprio come i Pragmatisti d’oggi!
Anche noi, come la chiesa di cento anni fa, viviamo in un periodo di rapidi cambiamenti: assistiamo ai progressi della scienza, della tecnologia, della politica e dell’educazione. Come in quei tempi, i credenti d’oggi sono pronti ad accettare il cambiamento anche nella chiesa e, spesso, sono perfino ansiosi di farlo. Anche noi, come loro, bramiamo l’unità dei fedeli e, come loro, anche noi siamo sensibili all’ostilità di un mondo incredulo.
Purtroppo, c’è almeno un altro parallelismo fra la chiesa di oggi e quella della fine del XIX secolo. Oggi, come allora, molti cristiani sembrano completamente inconsapevoli del grave pericolo che minaccia la chiesa dal suo interno, quando non sono addirittura indifferenti. Eppure, se c’è qualcosa di certo che la storia della chiesa c’insegna, è che i più devastanti assalti alla fede sono sempre cominciati con sottili errori provenienti dal suo interno. In un’epoca incerta, la chiesa non può permettersi di tentennare! Noi siamo responsabili della cura spirituale di persone alla disperata ricerca di risposte e non possiamo assolutamente mascherare la verità o addolcire il Vangelo! Se diventiamo amici del mondo, diventiamo altresì nemici di Dio! Se ci affidiamo agli espedienti del mondo, rinunciamo automaticamente alla potenza dello Spirito Santo!
Queste verità sono ribadite in continuazione dalla Scrittura: «Non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Giacomo 4:4). «Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui» (I Giovanni 2:15). «Il re non è salvato da un grande esercito; il prode non scampa per la sua gran forza. Il cavallo è incapace di salvare, esso non può liberare nessuno con il suo gran vigore» (Salmi 33:16-17). «Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, hanno fiducia nei cavalli, confidano nei carri, perché sono numerosi, e nei cavalieri, perché sono molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano il Signore!» (Isaia 31:1). «Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio, dice il Signore degli eserciti» (Zaccaria 4:6).
Il motivo per cui il Signore descrisse il popolo d’Israele come la luce delle nazioni (Isaia 49:3, 6) era che esso avrebbe dovuto essere diverso dagli altri popoli. Agli Israeliti fu esplicitamente proibito di imitare le abitudini dei pagani in fatto di abbigliamento, corteggiamento, cibi, religione ed altri aspetti della cultura. Dio disse loro: «Non farete quello che si fa nel paese d’Egitto dove avete abitato, né quello che si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, e non seguirete i loro costumi» (Levitico 18:3). Inoltre, come fa notare Martyn Lloyd-Jones:
… Il nostro Signore attirava a sé i peccatori perché era differente dagli altri. Essi gli si accostavano perché sentivano che c’era qualcosa di speciale in lui... il mondo si aspetta che anche noi cristiani siamo differenti. Quest’idea che per riuscire a conquistare le persone alla fede cristiana sia necessario dimostrare che, dopo tutto, anche noi siamo come loro, è davvero un errore grossolano, sia a livello teologico che psicologico[7]...
La mondanità è ancora peccato?
Oggigiorno si parla poco di mondanità e ancor meno si comprende cosa sia veramente. Il termine stesso comincia a suonare antiquato. La mondanità è quel peccato per cui si lascia che i propri desideri, le proprie ambizioni o il proprio comportamento si conformino ai valori terreni: «Tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno» (I Giovanni 2:16-17). Oggi, invece, assistiamo all’incredibile spettacolo di programmi per le chiese, appositamente ideati per soddisfare i desideri della carne, gli appetiti sensuali e l’orgoglio umano, appagando “la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”! Spesso accade che, per rispondere al richiamo del mondo, le attività svolte nelle chiese vadano ben oltre il peccato della superficialità.
Un mio collega da diversi anni compila un “catalogo degli orrori”, composto da ritagli di giornale che mostrano come le chiese Evangeliche abbiano intrapreso nuove attività per evitare che i culti divengano troppo noiosi. Nell’ultimo decennio alcune delle più numerose chiese Evangeliche, per movimentare un po’ le loro riunioni, hanno iniziato ad impiegare stratagemmi mondani come scenette comiche, spettacoli di varietà, incontri di lotta libera e perfino finti spogliarelli per “condire” i loro culti! Ormai nessuna follia sembra troppo oltraggiosa, perfino dove si dovrebbe adorare Dio! La parodia sta rapidamente diventando la liturgia di quella chiesa che è figlia del Pragmatismo!
Oltretutto, molti nella chiesa credono che questo sia l’unico modo per raggiungere il mondo. Ci viene insegnato che se la moltitudine degli inconvertiti non tollera la predicazione biblica, allora dobbiamo offrire loro ciò che desiderano. Centinaia di chiese hanno seguito proprio questa teoria, svolgendo dei veri e propri sondaggi fra i non credenti per cercare di capire cosa fare per indurli a frequentare le loro riunioni. In modo subdolo, l’unico obiettivo da perseguire sta diventando quello di guadagnare “frequentatori” della chiesa e l’essere graditi al mondo, piuttosto che vivere in modo degno del Vangelo. Predicare la Parola ed affrontare il peccato faccia a faccia, sono considerati metodi antiquati ed inefficaci per vincere il mondo. Alla lunga, queste cose finiscono con il far allontanare la gente! Perché non provare a riportarli all’ovile allettandoli, offrendo loro ciò che vogliono, creando un ambiente amichevole e confortevole e appagando i desideri più impellenti del loro cuore? Come se potessimo indurre le persone ad “accettare Gesù” rendendolo in qualche modo più attraente o presentando il suo messaggio in modo meno scandaloso!
Questo modo di pensare distorce gravemente la vera missione della chiesa. Il cosiddetto “grande mandato” non è un manifesto di marketing! Per evangelizzare i perduti non c’è bisogno di venditori, ma di profeti! è la Parola di Dio, non una qualsiasi lusinga mondana, che getta il seme della nuova nascita (I Pietro 1:23). Se cercheremo di rimuovere lo scandalo della croce (Galati 5:11), riusciremo solo a disonorare il Signore.
Le innovazioni, sono tutte sbagliate?
Vi prego di non fraintendere quello che sto dicendo. Non condanno l’innovazione in sé, perché riconosco che l’ordine del culto non è rigidamente fissato. Mi rendo anche conto che se un tipico Puritano del XVII secolo facesse visita alla chiesa “Grace Community” (la chiesa di cui sono pastore), rimarrebbe turbato dal fatto che ci sia la musica, probabilmente scandalizzato dal fatto che gli uomini e le donne siedono insieme e, forse, dal fatto che utilizziamo un sistema d’amplificazione. Spurgeon stesso non apprezzerebbe il fatto che gli inni che cantiamo siano accompagnati dall’organo! Non difendo certo l’idea di una chiesa stagnante e non sono neanche legato ad una particolare forma liturgica. La Scrittura non si sofferma ad affrontare queste problematiche. Sono anche convinto che le mie preferenze personali non siano necessariamente migliori di quelle degli altri. Non ho alcuna intenzione di fissare delle regole arbitrarie che stabiliscano cosa sia accettabile o meno in una riunione di culto, perché significherebbe cadere nel legalismo. Ciò che intendo denunciare, piuttosto, è quella filosofia che relega Dio e la sua Parola ad una posizione secondaria nella chiesa. Credo che dare spazio all’intrattenimento nel culto a spese della predicazione biblica e della vera adorazione, sia contrario alla Parola di Dio.
L’apostolo Paolo affermava: «Non mi vergogno del Vangelo» (Romani 1:16). Purtroppo, invece, la “vergogna del Vangelo” sembra stia divenendo una delle caratteristiche principali di alcune tra le chiese più conosciute ed influenti di oggi! Mi sembra di scorgere delle chiare analogie fra ciò che sta accadendo oggi e quanto avvenne circa un centinaio d’anni fa. Più studio quel periodo, più mi convinco che la storia si stia ripetendo. Con questo libro, cercherò di mettere in luce proprio quegli aspetti del Movimento Evangelico di fine ’800 che maggiormente rispecchiano i problemi contemporanei. Mi concentrerò particolarmente su un periodo della vita di Spurgeon, divenuto noto come “Down-Grade Controversy” (Controversia sul declino della chiesa) e nell’affrontare questi argomenti, citerò spesso gli scritti di Spurgeon stesso.
Personalmente, ho almeno due cose in comune con Charles Spurgeon: siamo nati entrambi il 19 giugno e anche lui, come me, è stato pastore della medesima chiesa praticamente per tutta la durata del suo ministero. Più leggo i suoi scritti ed i suoi sermoni, più sento di avere un’affinità spirituale con lui. Tuttavia, non mi considero certo uguale a Spurgeon! Non c’è dubbio che nella storia non c’è stato un predicatore di lingua inglese di pari abilità oratoria, con la medesima capacità di trasmettere l’autorità del messaggio divino, con la stessa passione per la verità e la medesima maestria nel predicare, combinata con una tale conoscenza teologica. Fu anche un conduttore di chiesa esemplare, fornito di una predisposizione innata al governo. Spurgeon svolse il suo ministero in tempi difficili, eppure riusciva a riempire il suo uditorio da 5.500 posti più volte alla settimana. La stima che il suo stesso gregge nutriva nei suoi confronti, si mantenne immutata fino al giorno della sua morte. Io mi pongo ai suoi piedi, non certo al suo fianco!
La mia intenzione non è certo quella di riaccendere la polemica scatenata da Spurgeon in occasione della Controversia sul declino della chiesa. Spurgeon stesso attribuì a quel conflitto la causa del peggioramento della sua salute che, in seguito, lo avrebbe condotto alla morte. Nel 1891, in occasione di un viaggio di riposo in Costa Azzurra, ebbe a dire ad alcuni amici: «Questa battaglia mi sta uccidendo»[8]. Tre mesi dopo, dalla Francia giunse la notizia della sua morte. Egli non aveva cercato quella battaglia, ma, rifiutando il compromesso su ciò che credeva fermamente fossero convinzioni biblicamente fondate, non poté evitare la controversia che ne seguì. Per quanto mi riguarda, francamente non sopporto la polemica. Chi mi conosce di persona, può testimoniare che non amo nessun tipo di disputa. Tuttavia, c’è in me un fuoco che mi obbliga ad esporre con chiarezza le mie convinzioni bibliche. Non posso rimanere in silenzio quando è in gioco una posta tanto alta!
è con tale sentimento che vi offro questo libro. Spero che nessuno lo prenda come un attacco rivolto contro una persona o un ministero in particolare, perché non lo è. Si tratta, piuttosto, di una supplica che rivolgo a tutta la chiesa relativamente a dei princìpi. So che vi sarà un diffuso dissenso con quanto affermerò, ma devo dire di aver comunque cercato sinceramente di scrivere senza alcuna intenzione polemica. Questi sono argomenti verso i quali molta gente nutre delle convinzioni profonde. Quando si affrontano certi problemi, in particolar modo quando si esprimono con franchezza delle opinioni diverse, a volte la gente si stizzisce. Io non scrivo con rabbia e vorrei chiedere ai lettori di ricevere quello che ho scritto nello stesso spirito con cui viene loro offerto.
La mia preghiera è che questo libro riesca a stimolare la vostra riflessione tanto da spingervi ad esaminare le Scritture “per vedere se le cose stanno così” (Atti 17:11). Prego, inoltre, che il Signore voglia liberare la sua chiesa da quello stesso genere di declino verso la mondanità e l’incredulità che, esattamente cento anni fa, la devastarono e ne stremarono il vigore spirituale.