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Prima parte
Miracoli di guarigione
Terminale: la parola che più temevo
Per anni, in qualità di rappresentante di vendita di una nota casa editrice cristiana, ho lavorato duro e ho viaggiato molto. Nel 1998 ero all’apice della mia carriera. Il responsabile delle vendite mi informò che ero passato dal fondo alla vetta in quanto a vendite e volume totale d’affari. Sentirmi dire che tutti i miei sforzi erano stati ripagati mi faceva sentire al settimo cielo.
Il giorno successivo alla buona notizia incontrai mia figlia, l’adolescente Emma, che era stata sottoposta a terapia intensiva per abuso di sostanze stupefacenti. Quando Emma mi vide mi chiese che cosa mi fosse successo alla mascella. “è tutta gonfia, papà”. Mi guardai in uno specchio e fui scioccato di fronte a quell’enorme massa intorno alla mascella e al collo. Non l’avevo mai notata prima.
Sono diabetico, perciò andai immediatamente a farmi visitare dal mio endocrinologo. Ritenne che potessi avere una ghiandola infetta, una ciste o un tumore di qualche genere. Mi indirizzò verso uno specialista che riscontrò un tumore alla parotide, la più grande delle ghiandole salivari. Mi assicurò che il 90% di tumori di questo genere erano benigni e che dopo l’operazione e una breve convalescenza sarei potuto tornare al lavoro.
L’operazione sarebbe dovuta durare circa due ore e mia moglie attese pazientemente, ora dopo ora. Trascorse sei ore, comunque, andò a cercare qualcuno che le dicesse che cosa stava succedendo. Il chirurgo fece infine la sua comparsa e le disse che il tumore era grosso e complesso, ma era certo al 95% di averlo rimosso del tutto e che sarei stato benone. Lei gli disse che si sarebbe sentita meglio quando avrebbe ricevuto il rapporto del patologo e anche quel cinque per cento di dubbio residuo si sarebbe chiarito nella sua mente.
Il giorno successivo all’operazione il chirurgo entrò nella mia stanza con uno sguardo sconcertato. Mia moglie era seduta accanto al letto e notò immediatamente quella strana espressione. Il medico spiegò subito che la sezione congelata del tumore era stata inviata a un secondo laboratorio di patologia per una nuova diagnosi. Audrey è di bassa statura, ma si alzò di scatto in tutta la sua piccola corporatura, guardò il chirurgo negli occhi e gli chiese ragguagli. Il tumore era maligno o benigno? Era così complicato da valutare? Il chirurgo eluse la domanda e borbottò in modo pressoché incomprensibile che si trattava di un genere di tumore sul quale il patologo dell’ospedale non poteva esprimersi con certezza.
La sezione congelata era stata mandata a un importante istituto oncologico e gli esami patologici stabilirono che non soltanto il tumore era maligno, ma era del genere che poteva ripresentarsi nel giro di un anno o due. Iniziò dunque un prolungato periodo di trattamenti di radioterapia e di ipertermia direttamente sull’area dalla quale era stato asportato il tumore. La combinazione di trattamenti mi nocque estremamente, procurandomi infiammazioni alla bocca e la morte delle papille gustative. Non potendo mangiare gran che, sopravvivevo nutrendomi essenzialmente di frappé e di ghiaccioli.
Dopo la serie di trattamenti la mia vita tornò a una certa normalità e potevo mangiare e dormire meglio. Non avevo comunque alcuna energia e perciò me ne stavo sdraiato da qualche parte della casa a dormire o a guardare la televisione. Dopo un anno o poco più di questo “stile di vita” mia sorella mi chiamò da un altro stato per dirmi che nostra madre faceva cose strane ed era necessario che la raggiungessi per aiutarla. Si scoprì che mamma aveva un tumore maligno al cervello e le restava ben poco da vivere. Aiutai mia sorella a occuparsi degli affari di mamma, quindi feci ritorno a casa e attesi.
Nel frattempo stavo sperimentando alcuni fastidiosi sintomi nella zona della mascella e del collo dalla quale mi era stato asportato il tumore. Un esame rivelò la recrudescenza del tumore e fu suggerita la rimozione di un’ampia porzione della mia faccia per eliminarlo completamente. Prima che potessimo valutare appropriatamente la questione mia madre morì e dovetti concentrarmi su questo.
Dopo i funerali di mamma dicemmo al chirurgo che volevamo un secondo parere ed egli ci indirizzò al grosso centro oncologico distante poche ore da casa nostra. Lì operava il “massimo esperto di testa e collo d’America” e da lui ci aspettavamo il miglior consiglio possibile. La sua diagnosi fu breve e brusca: il tumore era senza dubbio di nuovo lì e si era esteso al sistema linfatico, al sistema nervoso e avrebbe infine invaso il cervello. Disse che nessuna operazione avrebbe impedito la crescita del tumore e non esistevano trattamenti utili. In altre parole ero terminale, la parola che più avevo paura di sentire.
Fui sopraffatto dalla disperazione e mi sentii tradito, incapace di guardare avanti e profondamente depresso. Vidi la mia vita scorrermi davanti agli occhi e sentii il peso della delusione, della solitudine e dell’impotenza spingermi nel pozzo oscuro dell’insensatezza. Sapevo che avrei potuto evitare ulteriori sofferenze con una dose eccessiva di insulina, una soluzione chiara e semplice. Provai diverse volte il desiderio di farla finita e “scendere dal treno” in anticipo, ma la grazia di Dio mi sostenne. Continuò a provvedermi dal cielo un barlume di speranza che mi impedì di nuocere a me stesso.
Poi accadde! La classe di scuola domenicale di cui facevo parte chiese di poter pregare per me e, prima che lo sapessi, fui quasi sopraffatto da un fiume di amore, di incoraggiamento e di sostegno. Una calda, rinnovata sensazione di speranza avviluppò Audrey e me mentre la nostra chiesa non soltanto pregava per noi, ma ci circondava di amore, di attenzioni e di compassione. Da togliere il respiro! Non avevo mai davvero pensato che nel mio corpo sarebbe potuta avvenire una guarigione miracolosa e non avevo pregato per riceverla. Stavo semplicemente preparandomi alla morte con calma, nella speranza di non dover soffrire troppo. Ah, ma la classe voleva qualcosa di più: voleva per noi un servizio di preghiera e di guarigione. Sembrava eccessivo, poiché eravamo una chiesa battista e i battisti non fanno servizi di guarigione. Alla fine Audrey e io acconsentimmo alla preghiera di guarigione e qualcuno mi unse persino con olio.
Non sentii accadere gran che, per dire la verità. Il giorno dopo la preghiera ricaddi nella depressione e nell’autocommiserazione, consapevole che i miei giorni sulla terra erano sempre di meno. Riunii persino la mia famiglia e mi assicurai che il mio testamento fosse aggiornato.
Passarono diversi mesi ed effettivamente cominciai a sentirmi meglio. Cartoline, lettere e telefonate continuavano a mostrare l’amore dei credenti che pregavano per me. Speravano che sarei stato meglio anche se il mio cinismo mi impediva di afferrare quel barlume di speranza. Ad ogni modo notai che non stavo morendo!
Decisi di chiamare il dottore per chiedergli di prescrivermi un nuovo esame per vedere se era cambiato qualcosa. Acconsentì e i risultati furono talmente strabilianti che volle confermarli con altri esami. La massa era scomparsa! Gli esperti stavano lì a grattarsi la testa chiedendosi che cosa fosse accaduto. Poi mi fu lampante che Dio aveva effettivamente fatto qualcosa alla massa tumorale nel mio corpo perché il popolo di Dio aveva pregato per me. Dio aveva effettivamente esaudito le preghiere!
Ora so per certo che Dio esaudisce davvero le preghiere di coloro che credono sinceramente nella sua potenza guaritrice quando tutto il resto sembra disperato e senza senso. Sia gloria a Dio per tutti coloro che continuarono a pregare per me quando non credevo che il Dio di tutto il creato potesse o volesse guarirmi e far sparire il cancro!
Non capisco perché oggi io sono vivo, quando tanti miei cari, amici e conoscenti hanno lasciato questa vita a causa del cancro. So soltanto che fin quando il Signore Gesù Cristo mi manterrà in vita, confiderò in lui, mi affiderò a lui completamente e lo loderò per la sua grazia che mi sostiene e la guarigione che mi concede. Alleluia!
La mia gloria, colui che mi rialza il capo
Un tumore si era mangiato la prima e la seconda vertebra del mio collo, che finì per spezzarsi. Sì, proprio così: il mio collo si spezzò! Subii quattro operazioni nel giro di una settimana e mezzo, a opera di due chirurghi: uno era un laureato, l’altro era Dio. Fui letteralmente ricostruita con placche di metallo, cemento, cavi, dadi, bulloni e viti, insieme con le mie stesse ossa per stabilizzare il mio collo. Stetti in ospedale per oltre un mese bloccata in una “aureola”, un apparato di metallo che serve a tenere tutto al proprio posto. Indossai l’aureola per oltre cinque mesi e per tutto il tempo venni nutrita a base di liquidi attraverso un tubicino che dal mio naso giungeva allo stomaco. Uscita dall’aureola indossai un collare rigido per altri quattro mesi. Fu un’esperienza molto umiliante.
Durante questa prova Dio mostrò a mio marito Ben e a me alcuni versetti biblici che ci aiutarono molto.
“Non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Isaia 41:10).
Ammetto che al tempo ero depressa, ma questo versetto mi rassicurò. Mio marito mi aiutava tanto leggendomi la Bibbia ogni giorno e comunicandomi le parole che riceveva dal Signore. Fui sollevata. Sapevo che Dio era con me in ogni momento.
Per quattro anni fui limitata in ciò che potevo fare, ma potei gioire delle meraviglie del nostro Padre celeste. Si impara ad apprezzare le piccole cose. Trascorsi i quattro anni fui sottoposta a un nuovo esame e fu trovato un altro grosso tumore. Il dottore disse che non avrei più potuto evitare la radioterapia. Uno specialista che consultai mi disse che la normale radioterapia non avrebbe funzionato e ce ne voleva una di un tipo particolare. Poiché c’erano soltanto due posti negli Stati Uniti che possedevano le apparecchiature per questo particolare tipo di terapia, dovevo scegliere dove andare. Optammo per l’ospedale sulla costa orientale, prendemmo un appuntamento e ci avviammo in automobile.
Il medico che doveva prendermi in cura visionò le radiografie e i referti che gli porgemmo. Quando gli dissi che potevo camminare, parlare e muovere il collo, fu stupito. Disse che non riusciva a comprendere come potessi addirittura essere viva, e tanto meno muovermi. Riteneva che il modo in cui il mio collo si era spezzato avrebbe dovuto uccidermi all’istante, ma io ero là che camminavo e parlavo con lui. Mi spiegò che per otto settimane sarei stata sottoposta a grosse dosi di radiazioni per cinque giorni alla settimana. Mi disse anche che per somministrare il trattamento erano necessari almeno tre centimetri tra il tumore e la spina dorsale e doveva verificare che tale spazio ci fosse ancora. In caso contrario avrei dovuto subire un’altra operazione chirurgica. In cima a tutto ciò c’era ancora un altro problema: sarebbero trascorsi almeno quattro mesi prima dell’inizio del trattamento.
Il dottore voleva esaminare tutte le biopsie, le analisi, le radiografie e i referti degli ultimi quattro anni, così Ben e io tornammo a casa, raccogliemmo tutto e glielo spedimmo. Chiamammo il nostro pastore e gli spiegammo come stavano andando le cose, quindi ci fermammo in attesa di notizie dal dottore. Non avevamo idea che avrebbe impiegato così tanto tempo a risponderci, ma adesso ci rendiamo conto che le cose si svolgevano secondo la tabella oraria di Dio e non secondo la nostra.
Quando sentimmo il dottore, diverse settimane dopo, non aveva buone notizie. Disse che lui e un altro specialista avevano esaminato tutto il materiale e avevano concordato che avrei dovuto iniziare il trattamento immediatamente. Disse che l’osso del collo era stato mangiato dal tumore e che la placca metallica che era stata sistemata lì vagava indisturbata. Espresse il suo stupore per il fatto che potevo tenere la testa alzata e poi mi esortò a indossare il collare rigido che avevo ricevuto dopo la prima operazione. Avevano fissato l’inizio dei trattamenti giusto per la vigilia di Natale.
Ben e io chiamammo il pastore e lo informammo di quel che aveva detto il dottore. Ammetto che ero alquanto nervosa, ma quella sera un’amica ci chiamò e ci disse di leggere un versetto che il Signore le aveva messo nel cuore:
“Ma tu, o Signore, sei uno scudo attorno a me, sei la mia gloria, colui che mi rialza il capo” (Salmo 3:3).
Questo versetto confermava a Ben e a me chi davvero mi teneva alzato il capo!
Il dottore chiamò di nuovo per chiedere di sottopormi a un mielogramma e di mandargli i risultati immediatamente, così avrebbe potuto verificare se c’era lo spazio necessario per effettuare la radioterapia. Il mio neurochirurgo fece il mielogramma lui stesso e scoprì qualcosa di insolito: una massa si stava sviluppando lì dove c’erano stati la placca metallica e l’osso. Sulle prime sembrava una cattiva notizia, ma in realtà era molto buona.
Le radiografie furono inviate al medico sulla costa orientale un venerdì. Il mercoledì successivo ci chiamò e queste furono le sue parole esatte: “Ho riesaminato il suo caso con diversi radiologi e la linea di fondo è che non vediamo alcuna progressione del tumore... Le cose sembrano effettivamente alquanto stabili. La fusione, nulla che sia scivolato, nessun osso scivolato, nessuna ulteriore erosione, il che è ottimo. è una cellula tumorale gigante e probabilmente necessiterà di radiazioni in futuro. Un paio di miei neurochirurghi hanno voluto esaminare il suo caso con molta attenzione e io stesso lo sto rivedendo insieme con il neurochirurgo spinale. Non c’è bisogno immediato di radiazioni”.
Un paio di giorni dopo il dottore chiamò di nuovo: “La linea di fondo è che attualmente lei non necessita di trattamenti. Niente lascia pensare che il tumore stia crescendo. Ho esaminato accuratamente le radiografie con i neurochirurghi e l’evidenza resta la stessa: tutto sembra alquanto stabile”.
Ben e io eravamo entusiasti di come il Signore aveva risposto alle nostre preghiere. Ci rendiamo conto che i neurochirurghi che avevano voluto esaminare il mio caso non avevano idea di quel che era successo, ma noi lo sappiamo e ne abbiamo la prova! Dio intervenne! Molti gruppi di preghiera intercedevano per me ed egli li esaudì. Sono così grata a tutte le amorevoli persone che hanno pregato per me e ringrazio in particolar modo il nostro Pastore per la sua gentilezza e la sua comprensione.
Nel corso della prova ho sempre avuto accanto a me il marito forte e amorevole che mi dava vigore. Con l’aiuto di Dio siamo usciti dalla crisi più forti e consapevoli che egli opera miracoli: io sono qui a dimostrarlo.