Il raccordo tra Bibbia e archeologia è di fondamentale importanza per la ricerca toponomastica, ovvero il collegamento tra luoghi citati dalla Bibbia e la loro reale ubicazione con eventuale cambiamento del nome nella attuale località. È questo il gravoso compito dell'archeologia biblica.
Le scoperte degli ultimi cinquant'anni hanno portato alla luce un quadro molto più ricco rispetto all'immaginario della generazione precedente. Ricordiamo solo i ritrovamenti nelle grotte di Qgmran, i grandi palazzi dell'edilizia erodiana, le case di Gerusalemme, le sinagoghe, la casa di Maria, la casa di Pietro, fino ai recenti ritrovamenti a Sabastiya (Samaria) a cui abbiamo dedicato particolare attenzione in MdB 107.
Il presente numero della Rivista intende esporre l'apporto offerto dall'archeologia agli studi biblici, soffermandosi in particolare sui grandi personaggi della Storia della Salvezza, rivisitati nel contesto geografico della loro esistenza.
L'opera di delineazione storica di un personaggio passa inevitabilmente per i luoghi in cui egli è vissuto, le pietre stesse su cui ha camminato e le mura in cui ha abitato. L'archeologia ci aiuta a ricostruire questo tratto fondamentale dell'esperienza storica di un personaggio attraverso il rinvenimento della concretezza materiale che costituì la sua dimensione «terrena».
Alla semplicità dei reperti è affidata la responsabilità di rendere testimonianza viva e «parlante» del primo annuncio di salvezza rivolto all'umanità. Non sentiamo più la voce diretta dei profeti o dei discepoli di Gesù e non vediamo più le grandi gesta dei re o i «mirabilia Dei» ma ascoltiamo ancora il loro annuncio sulla garanzia dello stesso Maestro e nella certezza che «se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40).