Nel 1559 Giovanni Calvino iniziò una serie di predicazioni sui tre Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca. Cinque anni dopo, nel febbraio del 1564, fu costretto ad interromperla per motivi di salute, e non ebbe modo di riprenderla perché morì appena tre mesi dopo.
Ora, di questa che fu l’ultima serie di predicazioni che Calvino portò alla chiesa di Ginevra, il presente volume contiene quelle dedicate alle cosiddette “Beatitudini”, riportate nel Vangelo di Matteo (5:1-12) e nel Vangelo di Luca (6:20-26).
Come il lettore attento potrà constatare, esse colpiscono innanzitutto per l’ampiezza della loro prospettiva, la quale deriva dal fatto che Calvino coniugò l’aspetto “spirituale” enfatizzato nel testo di Matteo a quello “materiale” enfatizzato nel testo di Luca.
Ne scaturisce una visione totalizzante, nella quale ogni aspetto della vita – da quello più spirituale a quello più materiale, da quello più celeste a quello più terreno – viene sottoposto al vangelo per essere cambiato dalle sue esigenze di verità, giustizia e amore.
Questi sermoni, però, colpiscono anche per la loro intensità e drammaticità. Per capire quest’altro aspetto, è necessario comprendere il contesto in cui furono predicati, ovvero le terribili persecuzioni alle quali i credenti evangelici allora erano sottoposti in tutta Europa.
È solo conoscendo e tenendo presente questo terribile contesto che il lettore evangelico moderno potrà capire ed apprezzare i termini e l’animo con cui Calvino spiegò il significato delle Beatitudini di Cristo, lì dove egli definisce “beati” coloro che sono “poveri in spirito” e “piangono”, ovvero i mansueti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i portatori di pace, coloro che sono “perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli”.