La croce e il bisturi - Prefazione di Nicky Cruz
La croce e il bisturi - Prefazione di Nicky Cruz

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Oltre 20 anni fa Gwen Wilkerson scrisse un libro intitolato Nella Sua forza. In quelle pagine raccontava con onestà la storia della potenza di Dio costantemente all'opera nella sua vita. Scrisse del terrore e della sofferenza delle sue battaglie contro il cancro e dischiuse i più intimi segreti del proprio cuore rivelando i conflitti che stavano minando il suo matrimonio. Dio guarì l'unione di Gwen e David con la Sua potenza e oggi i coniugi Wilkerson ne sono la testimonianza vivente.

In questa nuova edizione ampliata Gwen racconta gli anni successivi al 1977: nelle pagine di La croce e il bisturi conoscerete gli eventi più recenti che hanno plasmato il temperamento di Gwen facendo di lei un modello di cristiana devota, forte e compassionevole. 
La croce e il bisturi si ricollega idealmente a La croce e il pugnale, il best seller che ha fatto conoscere al mondo David Wilkerson, il marito di Gwen, come uno dei più fedeli servitori dell'Evangelo.

Gwen e David hanno quattro figli e undici nipoti. Abitano e continuano a servire il Signore nella città di New York.
ISBN: 9788880772712
Producer: Editrice Uomini Nuovi
Product Code: 9788880772712
Weight: 0,170kg
Binding: Brossura
Language: Italian

Book contents

Prefazione; Introduzione; Comincia il viaggio; David; Che cosa potevamo desiderare di più? I due velli; Sradicamento; Vita di città; La fornace ardenta; Un'altro miracolo, un'altra prova; Una guarigione personale; Guarigioni simultanee; Un passo alla volta; Il prossimo passo; La terra promessa? Perchè a me, Signore? Nella Sua forza; La storia continua; Un salto di fede; I tempi migliori - i tempi peggiori; La storia di Bonnie - Raccontata da lei stessa; Dimorare nella Sua forza.

Sample chapter

Capitolo 1

Comincia il viaggio

Quando il vecchio pianoforte incominciò a far vibrare gli accordi introduttivi, capii quale sarebbe stato il primo inno in quel mattino. Avevo solo sei anni, ma non occorreva che cercassi la pagina giusta nel libro dei canti per riconoscere “Lieta certezza”, uno dei miei preferiti.
In chiesa la mamma e io usavamo il medesimo libro, ma io ero sicura che anche per lei non sarebbe stato necessario leggere le parole di quel canto tanto amato. La mamma veramente amava Gesù e a me piaceva osservare il suo volto quando cantava di lui. “Quando sarò grande, sarò proprio come lei - pensavo - e allora saprò con certezza che ‘Gesù è mio’ come lo sa la mamma”.
La musica raggiunse i suoi toni più alti mentre noi ci univamo al coro: “Questo è la mia storia, questo è il mio canto, lodando il mio Signore tutto il giorno”. Cantando quei versetti e ascoltando la voce profonda di contralto della mamma armonizzarsi con la mia di soprano infantile, io mi sentivo pervasa da un calore. Tutt’e due amavamo la musica sacra. In questo senso ero già come lei...
All’inizio della seconda strofa guardai furtivamente dalla sua parte per vedere che cosa stessero facendo i miei fratelli maggiori. A David e a Ray le domeniche non piacevano come a me, forse perché detestavano giacche e cravattine. Impettiti tra mamma e papà, con il libro degli inni spiegato davanti a loro, avevano un’aria molto annoiata. Io non riuscivo a capire i ragazzi.
Proprio in quell’attimo incrociai lo sguardo di disapprovazione di mio padre. Girai rapidamente gli occhi per guardare davanti a me e mi misi a cantare ancora più forte di prima “Sottomissione perfetta, tutto è nella pace, nel mio Salvatore sono felice e benedetta”.
Se non riuscivo a capire David e Ray, tanto meno riuscivo a capire papà e il suo modo di fare così austero. La mamma diceva che la sua severità stava a dimostrare che egli si preoccupava moltissimo per noi e per la nostra educazione. Qualche volta, però, io stentavo a crederlo. Persino con mamma egli era rigoroso ed esigente. Non v’era dubbio: papà era il “padrone” e la sua parola, era legge. Alcune memorabili sculacciate mi avevano convinta una volta per tutte di questa realtà.
Quando l’inno terminò, ci sedemmo sulla dura panca e io mi rannicchiai vicino alla mamma per sentirmi più comoda. La natura non mi aveva ancora fornita di un cuscino naturale per potermi sedere senza problemi su quel piatto sedile di legno. Una volta terminato il canto, io incominciai a disinteressarmi alla funzione, ma continuai ugualmente a imitare la mamma, come poteva fare una bambina di sei anni. Quello che faceva lei, lo facevo anch’io. Se lei chinava il capo, io chinavo il mio. Se sospirava: “Grazie Gesù” io pensavo che la mia parte fosse quella di sussurrare un tenue “Amen”. Ero sicura di non sbagliare, seguendo il suo esempio.
Tuttavia, durante il sermone, faticavo a stare attenta come lei. Quel mattino il Pastore Casley andava per le lunghe e i miei pensieri cominciarono presto a divagare. Quando egli accennò alla vita di stenti che molti membri della nostra comunità conducevano a causa della recessione economica, io mi chiesi ancora una volta che cosa fosse esattamente tutta questa faccenda della “recessione”. Era il 1937 e, per quanto fosse dato a me di ricordare, eravamo sempre stati nella recessione. Spesso sentivo dire dagli adulti che la nostra cittadina di Forest Hill, situata nella regione montana delle miniere di carbone intorno a Pittsburgh, era stata colpita piuttosto duramente. Parecchi negozi avevano dovuto chiudere e la mamma mi raccontava che molta gente era rimasta senza lavoro. Lei ci diceva che avremmo dovuto ringraziare il Signore perché papà aveva un buon posto alla Westinghouse e che l’aveva così da tanto tempo, che non poteva essere licenziato. Era stato assunto all’età di quattordici anni; il suo primo lavoro fu quello di spazzare i pavimenti. Ora era un dirigente. “Vostro padre è un ottimo affarista!”, ci assicurava la mamma con orgoglio.
Così credo che non fossimo poveri, ma mi succedeva solo qualche rara volta di pensarlo, perché noi bambini dovevamo rendere conto di ogni soldo che spendevamo. Sebbene in casa avessimo bei mobili, non potevamo dire di vivere nel lusso o tra i fronzoli. Papà in persona faceva la spesa, e sarebbe andato in capo al mondo pur di risparmiare qualche soldo. E la mamma preparava cibi genuini e sostanziosi con le provviste che il papà aveva acquistato a buon mercato.
“Egli è troppo rigido in ogni cosa, - pensavo - non ci concede mai di divertirci come fanno gli altri ragazzi”.
A quell’epoca pensavo che “divertirsi” volesse dire andare su una pista di pattinaggio o al cinema. Questi svaghi frivoli non erano ammessi né dal babbo né dalla nostra chiesa. E fino a quando non andai a scuola e incontrai ragazzi di altra provenienza non potei scoprire che cosa stessi perdendo. Adesso incominciavo a capire che la vita offriva qualcosa di più che l’andare a scuola e l’aiutare la mamma in casa. Avevo abbastanza buon senso per ammettere che mi piacevano i “frutti proibiti”; mi sentivo defraudata quando ogni tanto i miei amici mi dicevano che erano dispiaciuti per me. Era anche peggio se coglievo di sfuggita qualche loro osservazione su Gwendolyn Carosso che era appunto diversa.
Il fatto di essere la sola ragazza in famiglia aveva alcuni svantaggi. In fondo non mi costava gran che aiutare la mamma, dato che eravamo così buone amiche, sebbene detestassi stirare le camicie di mio padre e dei miei fratelli; avevo, però, l’impressione che David e Ray si divertissero più di me. Papà era veramente pignolo quando si trattava di approvare le mie uscite e le persone che mi avrebbero accompagnato. Si può dire che la chiesa fosse il solo posto che mi concedeva di frequentare senza discussioni. Ero contenta che la nostra congregazione offrisse tante attività a noi ragazzi.
Essere la “piccolina” di papà aveva naturalmente qualche vantaggio. Per dirne una: se i miei fratelli cominciavano a stuzzicarmi - e lo facevano spesso - dovevo solo spargere qualche lacrimuccia “femminile” per metterli nei guai con papà. E poi, per andare alla scuola domenicale o ai culti, indossavo abitini sgargianti: le sole note di colore in quel luogo austero. I vestiti dei miei fratelli venivano acquistati in funzione della loro praticità; i miei, tenendo anche conto della figura che avrebbero fatto. “Essere ragazza, dopo tutto, non è così brutto”, stabilii.
“L’Amen”, pronunciato ad alta voce dalla mamma, mi fece trasalire e ricordare che eravamo in chiesa. Dopo l’inno di chiusura il Pastore Casley impartì la benedizione e la funzione terminò. Papà ci scortò il più rapidamente possibile oltre la porta e fin dentro la sua Ford 1935. Ci teneva ad arrivare da nonna Morgan per il pranzo della domenica. Questo era il programma al quale la nostra famiglia si era attenuta per tutto il tempo che mi era dato di ricordare: le domeniche erano sempre uguali.
Ma una domenica di qualche anno dopo, quando avevo appena compiuto i dieci anni, non fu come le altre. Fu la domenica del mio battesimo. Non ricordo bene dove, a quell’epoca, io avessi stabilito di seguire Gesù, senza aspettare di essere cresciuta del tutto. I miei insegnanti della scuola domenicale mi avevano convinta che io avrei potuto iniziare quella via quando mi fossi decisa a lasciar entrare Gesù nel mio cuore. Con l’incoraggiamento di mia madre e il parere del mio pastore, io dichiarai pubblicamente la mia fede e fui stimata pronta per il battesimo. Ricordo ancora con precisione che il vestito bianco mi sembrava strano, mentre in piedi, davanti alla congregazione, rispondevo alle domande che mi venivano rivolte. è vivido nella mia memoria il ricordo del pastore, quando m’immerse nell’acqua fresca della vasca battesimale. Ero troppo giovane per comprendere, ma ero certa che Gesù mi amasse, che fosse morto per salvarmi e che volesse vivere in me. E lo volevo anch’io.
Negli anni che seguirono, un po’ perché amavo veramente il Signore e un po’ perché le mie possibilità di divertimento autorizzato erano assai limitate, pian piano la chiesa venne a occupare un posto sempre più importante nella mia vita. La scuola domenicale, le funzioni religiose, i pranzi, i picnic con la congregazione e, più tardi, le prove di canto e le attività giovanili erano i miei soli sbocchi sociali. Non avevo il permesso di andare a ballare o di partecipare ai ricevimenti, ma mi si presentavano frequenti occasioni per incontrarmi con i miei amici nella comunità.
Giovanissima, con alcuni amici del gruppo giovanile, ebbi un’esperienza molto significativa. Una domenica sera, dopo il culto, in tre rimanemmo un po’ più a lungo per cercare il battesimo dello Spirito Santo. Gesù scelse tale momento per riempirci della potenza dall’alto, come da lui promesso ai discepoli poco prima della sua ascensione al cielo. Tramite gli insegnamenti della chiesa avevo appreso che il battesimo nello Spirito Santo è un’esperienza personale, ma non ero per nulla preparata alla gioia e all’amore sovrabbondanti che mi sommersero. Ora potevo meglio condividere con la mamma il canto “Lieta certezza”. Gesù mi appartiene e mi ha dato il suo Spirito Santo come caparra della gloria celeste: questa meravigliosa certezza mi ha sostenuto per tutta la vita.
Anche l’amore per la musica, che scoprii in me quando cantavo gli inni a fianco della mamma, trovava la sua espressione nella chiesa. Dopo alcuni anni di lezioni di pianoforte ero in grado di accompagnare il coro della scuola domenicale e quello del gruppo giovanile. Per papà suonare andava bene, purché si trattasse del tipo giusto di musica.
Nessuno mi aveva detto che la ribellione sembra essere parte integrante dell’esperienza di un’adolescente, e io crescevo in quegli anni senza dare ai miei genitori serie preoccupazioni. Talvolta mettevo un po’ il broncio perché ero sempre costretta a indossare le gonne lunghe al posto dei pantaloni e dei calzoncini, che invece le mie amiche portavano a scuola con disinvoltura; e mi ricordo che una volta, nello spogliatoio della scuola media, dove lo sguardo severo di papà non mi avrebbe potuto raggiungere, mi feci prestare il rossetto dalla mia migliore amica. Tuttavia dentro di me sentivo che le norme e i regolamenti imposti dalla mia famiglia e dalla nostra chiesa - norme che sembravano a volte così rigide e ingiuste - scaturivano da un sincero amore e dal desiderio di aiutarmi a seguire fedelmente il Signore. è piuttosto difficile ribellarsi a un amore di questo genere!
Rammento solo una occasione nella quale le convinzioni di mio padre, sul bene sul male per me, si scontrarono con le mie idee. Da quando frequentavo la scuola media avevo preso gusto ad aggiustarmi i capelli e a pettinare le vicine di casa e le amiche. Ero certa di poter diventare una brava pettinatrice seguendo un tirocinio adeguato alla fine della scuola media. Mio padre non voleva nemmeno prendere in considerazione un progetto del genere: sua figlia che faceva soldi per la vanità di altre donne! La sola idea era disgustosa per il suo temperamento austero. Egli pronunciò un definitivo no e in seguito si rifiutò di riparlarne.
Per qualche tempo io continuai a giocherellare con quel progetto, ma dubito davvero che avrei preso decisioni in netto contrasto con i suoi desideri. A ogni modo una carriera di pettinatrice era qualcosa che un giorno avrei voluto intraprendere. Quel giorno non arrivò mai. In quegli anni era nato un altro sogno che, alla fine, aveva soppiantato tutti gli altri. Avevo soltanto tredici anni quando incontrai per la prima volta David Wilkerson.
Capitolo 2

David

“Nonna, vieni qui un attimo. Voglio farti vedere una cosa”. Non osavo alzare troppo la voce. La casa della nonna era così vicina a quella di sua figlia che, se mi fossi messa a urlare, sarei stata udita da chi ci abitava, ne ero sicura. Dal punto in cui mi trovavo, appena fuori dalla loro vista, potevo scorgere buona parte della sala da pranzo della zia Marion. Fui colta da un brivido di eccitazione.
“Svelta, nonna! Non ce la farai a vederlo!”
“A vedere chi, bambina? Che cos’è tutta questa agitazione?” chiese la nonna, mentre si affrettava a raggiungermi alla finestra.
“Non stare là, nonna. Vieni qui vicino a me. Voglio che tu veda il ragazzo che è in casa di zia Marion”.
“Oh, quello! Quel pelle e ossa? Non è il figlio del Pastore Wilkerson? Il loro figlio maggiore. E allora?”
“Beh, nonna, - sospirai facendo del mio meglio per assumere un certo tono serio - un giorno io lo sposerò. Quello è il mio futuro marito!”
“Per carità, bambina! Hai delle belle idee, non è vero?” La nonna cercava di prendermi in giro, ma stava perdendo la sua battaglia. “Quanti anni ha? Non più di tredici, come te. E tutti e due bisogna ancora aiutarvi a soffiare il naso. Sarà meglio che non ti butti in questa faccenda proprio adesso. Tua madre e tuo padre potrebbero obiettare, sai”.
Mio malgrado incominciai a ridere insieme con lei. Sembrava una cosa ridicola. Non mi erano mai interessati i ragazzi e non mi era concesso andare agli appuntamenti; però una voce nascosta, una certa convinzione, nata in me quel giorno, mi diceva che il figlio del pastore Wilkerson sarebbe diventato mio marito. Era una convinzione che non mi avrebbe più abbandonato.
La famiglia Wilkerson era stata invitata al pranzo della domenica a casa di zia Marion, dopo che il Pastore Wilkerson aveva tenuto il sermone “di prova” nella chiesa di Turtle Creek, ossia la nostra chiesa. Fin dall’inizio io ero convinta che l’avrebbero scelto come nostro nuovo pastore, e ciò mi rallegrò molto. Entrambi i coniugi Wilkerson erano stati ordinati pastori e il culto del mattino era stato molto toccante. David aveva una sorella più grande, Juanita, e una più piccola, Ruth; inoltre due fratelli minori, Jerry e Donald. Io sentivo con certezza che ci sarebbe stato un futuro propizio per la nostra congregazione e per me, ne ero sicura.
David non era uno dei soliti adolescenti. Forse il fatto di avere non uno, ma bensì due genitori ministri del culto, lo rendeva un po’ diverso dagli altri. Qualunque fosse la ragione, non vi erano stati dubbi per me fin dal nostro primo incontro: egli era un giovane che aveva ricevuto una precisa chiamata da Dio. E lui sapeva già di essere stato scelto per diventare un predicatore del Vangelo. Di conseguenza, durante il suo tempo libero, leggeva la Bibbia, preparava schemi per studi biblici e prediche. A 14 anni iniziò a predicare nelle comunità vicine, in sostituzione del pastore assente. L’intensità della sua fede mi stupiva.
Dovevano essere state le qualità spirituali di David a farmelo sembrare irresistibile, non certo il suo aspetto fisico. Tanto per cominciare era troppo ossuto e i suoi capelli, color sabbia, troppo scarmigliati. A parte quegli occhi blu, che facevano trasalire, non vi era nulla, nel suo aspetto fisico, che io trovassi davvero attraente. Tuttavia, dopo averlo visto dalla finestra in casa della nonna, non guardai più gli altri ragazzi. Ero convinta che sarei diventata la moglie di un pastore.
Da allora in poi impiegai la maggior parte delle mie energie giovanili a immaginare il mio futuro. Non fu una cosa semplice diventare la ragazza di David. Io non ero per nulla un tipo intraprendente, e anche se lo fossi stata, non ci sarebbe stata nessuna possibilità. Mio padre non mi concesse di uscire con un ragazzo fino alla fine del liceo. Tuttavia, fino ad allora potei partecipare a tutte le attività di gruppo che facevano capo alla nostra chiesa. David e io avevamo occasione di stare insieme parecchie volte durante la settimana: non cercavamo di fare coppia fissa, ma io lo seguivo con occhio vigile. E, a partire dal tempo in cui frequentavamo le prime classi del liceo, a David fu concesso di offrirmi un passaggio fino a casa dopo le riunioni giovanili.
Un po’ alla volta tutti, David compreso, cominciarono a considerarci una coppia. Se fosse il risultato di una reciproca attrazione o della mia perseveranza, me lo chiedo ancora adesso; ma nel 1950, anno della maturità, egli era convinto che il suo futuro includesse me - come sua moglie. Sembravamo fatti l’uno per l’altra. E vedevamo il nostro rapporto come parte del piano di Dio nelle nostre vite.
Noi potevamo essere convinti che Dio ci volesse insieme, ma mio padre la pensava diversamente. Sebbene la manifesta sobrietà di David e la sua gran voglia di lavorare (durante tutto il periodo del liceo si impegnò in diversi lavori part-time), mio padre lo considerava una mediocre prospettiva matrimoniale. Papà si era creato una posizione venendo dalla gavetta e non credeva si potesse fare affidamento su un predicatore di campagna quanto di una persona che guadagna il pane per sé e per la sua famiglia, come aveva fatto lui. E non voleva che il mio tenore di vita subisse modifiche.
Stranamente mio padre non mi proibì mai di vedere David, rendendosi conto della evidente serietà delle mie intenzioni. Egli doveva aver capito che non avrebbe potuto cambiare le mie idee, sicura com’ero che David fosse l’uomo giusto per me. Ma ciò non gli impedì di fare dei tentativi. Avrebbe fatto notare che David non aveva mai il tempo di portarmi da nessuna parte e che il suo corteggiamento lasciava molto a desiderare. Ed era tutto vero.
Finito il liceo, David frequentò il Central Bible College di Springfield in Missouri, per nove mesi. Quando rientrava a casa per i fine-settimana o per le vacanze, occupava i pulpiti vacanti delle comunità vicine oppure si dava da fare in diverse maniere per guadagnarsi qualche soldo. Non era capace di trasformarsi nel più galante dei cavalieri: questo proprio no.
Senza dubbio le punzecchiature di mio padre e il suo aperto incoraggiamento a guardarmi intorno alla ricerca di altre prospettive mi spinsero ad accettare il solo altro appuntamento del quale mi ricordi. Era estate e David era appena tornato dalla scuola di teologia. Il suo rivale era un giovane dabbene, premuroso e benestante, il cui unico ovvio inconveniente consisteva nel non essere David. Tuttavia egli ebbe, senza saperlo, una virtù: quella di rendere Mr. Wilkerson improvvisamente attento. Ero giunta alla conclusione che David desse il nostro rapporto un po’ troppo per scontato. La sera dell’appuntamento con quel nuovo cavaliere vidi il vecchio macinino verde di David fare un’infinità di giri intorno al nostro isolato. Per la verità non è che fossi gran che soddisfatta della serata, ma mi ero perfidamente divertita a osservare la stizza di David.
Il Natale dopo, David e io ci fidanzammo ufficialmente. David, con quello che aveva guadagnato presso i magazzini Hawkins e come venditore di automobili usate, aveva racimolato abbastanza denaro per comprarmi un piccolo diamante solitario come strenna natalizia. Il mio sogno, iniziato quasi otto anni prima, si stava attuando. Sarei diventata la moglie di David. Decidemmo di sposarci in giugno.
Dopo aver terminato gli studi, io avevo cominciato a lavorare in fabbrica nella vicina Wilkinsburg; risparmiavo ogni centesimo per l’abito da sposa. David metteva da parte il denaro che racimolava con le sue predicazioni durante i fine-settimana e le vacanze e con i lavori part-time che riusciva a fare. Naturalmente non ci rimaneva molto tempo da passare insieme, perciò io incominciai ad accompagnare David alle funzioni della domenica per stargli vicina almeno durante i viaggi di andata e ritorno dalla città dove egli predicava. Si può dire che, prima del matrimonio, i soli momenti d’intimità siano stati quelli dei nostri viaggi domenicali.
Adesso mi chiedo se mi fosse mai passato per la mente che avrei dovuto imparare un mucchio di cose in vista del matrimonio. David e io eravamo praticamente cresciuti insieme e ci eravamo decisi a sposarci ancora liceali, ma i nostri appuntamenti avevano quasi sempre avuto luogo alla presenza di altre persone. Quantunque sapessi che David era un uomo tenero e affettuoso, durante il nostro fidanzamento non si era mai presentata l’occasione di andare oltre al tenersi per mano. Da mia madre avevo imparato molte cose importanti, tranne però l’educazione sessuale. Ero quindi una giovane donna ingenua e per niente informata, pur essendo nella seconda metà del ventesimo secolo. David ne sapeva solo poco di più. Eravamo innamorati, ma mantenemmo un rapporto rispettoso fino al giorno del nostro matrimonio.
Inoltre mi chiedo se avessi la pur minima idea di quanto avrei dovuto crescere nel futuro. La vita con un predicatore di campagna doveva sembrare sicura e senza imprevisti. Come potevo immaginarmi la chiamata che quest’uomo avrebbe ricevuto? Come potevo supporre fino a che punto sarei stata costretta ad assumere nuovi ruoli e a intravvedere nuove vie spirituali? Sapevo solo che stavo per sposare un pastore e che il mio compito consisteva nel condividere la vita di David.

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