Jonathan Edwards
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Questa splendida biografia si focalizza su Edwards come predicatore, revivalista e missionario. L’Autore fonde le ultime scoperte, offrendo al contempo le sue interpretazioni.
ISBN: 9788888747002
Producer: Alfa e Omega
Product Code: 9788888747002
Weight: 0,720kg
Binding: Brossura
Number of pages: 560
Language: Italian

Book contents

INDICE

Prefazione all'edizione italiana
Prefazione
Introduzione: per comprendere Edwards

1. Il Figlio di East Windsor
2. «Quella nuova percezione delle cose»
3. New York: la ricerca della santità
4. Precettore a Yale
5. Stoddard e Northampton
6. La valle verdeggiante dell’umiliazione
7. Viene fugato lo spirito di torpore
8. «Tredici ore, tutti i giorni»
9. Il Grande Risveglio
10. Ritratti individuali
11. Divisione e disordine
12. L’apologia della religione sperimentale
13. I sentimenti religiosi
14. Cambiamenti a Northampton e altrove
15. L’unione internazionale e la visione missionaria
16. La controversia sulla comunione
17. I retroscena della controversia
18. Il licenziamento
19. Difficoltà al villaggio di frontiera
20. Missionario tra gli indiani
21. Con gli occhi di Esther
22. «Il mio Dio vive»
23. Il ministero permanente

APPENDICI
Scritti editi di Edwards
I manoscritti di Edwards
Una lettera di Sarah Edwards
Un Aneddoto su Whitefield e “la Testimonianza dello Spirito Santo”

Indice analitico

Sample chapter

Introduzione:
Per comprendere Edwards

Che un biografo di Jonathan Edwards riveli o meno in abbrivio il suo personale punto di vista fa poca differenza, perché questo diverrà subito evidente. Durante la sua vita, Edwards divise gli uomini, ed in misura non certo inferiore continua ancora a dividere i suoi biografi. Certamente nei molti libri di cui egli è l’argomento principale non c’è unanimità di vedute. L’unica affermazione che forse troverà tutti abbastanza concordi è che fu un grand’uomo nato nel 1703 e morto, all’età di cinquantaquattro anni, nel 1758! La natura della sua grandezza, l’importanza della sua vita e del suo pensiero, una valutazione del suo carattere e dei suoi scritti: è su tutto questo, e su molt’altro ancora, che i pareri vengono a divergere.

Una scuola d’opinione ha reputato che Edwards meritasse d’essere ricordato come il primo filosofo sistematico d’America, ed il “maggior pensatore” americano del XVIII secolo. La Yale University Press rispecchiò questo punto di vista quando diede inizio alla pubblicazione delle Works (Opere) di Edwards nel 1957 con l’opera più filosofica di tutti i suoi scritti: Enquiry into the Modern prevailing Notions of that Freedom of Will which is supposed to be essential to Moral Agency (Studio sulle moderne nozioni predominanti di quella libertà del volere ritenuta essenziale all’impulso morale).

Ci sono delle forti motivazioni per cui respingiamo quest’immagine di Edwards. Una valutazione del genere non può armonizzarsi con l’impressione principale che Edwards fece sui suoi stessi contemporanei. L’immagine del “grande filosofo” non appartiene al XVIII secolo, ma è salita alla ribalta nel secolo successivo a quello in cui visse Edwards. Coloro che lo conoscevano meglio non misero mai l’immagine del “filosofo” per prima. Gilbert Tennent, un suo amico predicatore, annunciando il 28 marzo 1758 la morte di Edwards su di un quotidiano di Filadelfia, lo descrisse in questi termini: «Un grande teologo, la teologia era il suo studio prediletto ed il ministero la sua attività più dilettevole». Un altro amico di Edwards, probabilmente Samuel Finley, scrivendo anonimamente in quello stesso anno, credeva che egli fosse preminentemente un portavoce del «cristianesimo pratico e vitale» (1.144). Per Ezra Stiles, e per molti altri ancora, egli era in primo luogo «un grande teologo». Quest’opinione sovente ribadita non era ristretta alle colonie americane. John Newton di Londra (1725-1807), quando in un’occasione gli venne posta la domanda su chi fosse il maggior teologo della sua epoca, non ebbe esitazioni a rispondere: «Edwards»[1].

Tuttavia, molti abitanti della Nuova Inghilterra del secolo successivo la videro diversamente. Essi avevano la certezza che per apprezzare pienamente Edwards, non lo si sarebbe dovuto fare nei termini della sua teologia, perché teologia rima con “dottrina” e la dottrina di Edwards apparteneva – felicemente – al passato. Per dirla con le parole sovente citate di William Ellery Channing: «Il calvinismo ha oltrepassato il suo meridiano e sta tramontando per mai più risorgere». Oliver Wendell Holmes nutriva questa certezza riguardo ad Edwards: «Se egli fosse vissuto cent’anni dopo ed avesse respirato l’aria della libertà, non avrebbe potuto scrivere con tale barbarie vecchio stile che troviamo nei suoi sermoni vulcanici».

Verso fine ’800, quasi tutti coloro che scrivevano favorevolmente di Edwards sentivano la necessità di scusarsi per le sue dottrine. Sembrava che egli meritasse una qualche rispettabilità solo come “filosofo”. Ma ad un esame più attento realizzato alla luce delle vicende storiche, questa reinterpretazione era destinata a cadere. Il nostro secolo ha fornito rinnovati studi e nuove conclusioni. Fin dal 1904 – quando la maggioranza degli autori affermava ancora il contrario – F. J. E. Woodbridge concluse un articolo su Edwards apparso sulla «Philosophical Review» con queste parole: «Noi lo ricordiamo non come il maggior filosofo americano, ma come il maggior calvinista americano»[2]. La verità è che le esplorazioni filosofiche di Edwards furono soltanto occasionali e tangenziali al suo pensiero fondamentale. Fu la teologia, ossia lo “studio di Dio”, a tramare e ad intessere tutta la sua esistenza. Il posto di Edwards nella storia non è di fianco a Locke, Berkeley o Kant. La sua vita ed il suo impatto furono essenzialmente di natura religiosa.

Oggigiorno tutto questo viene comunemente riconosciuto, ma ancora senza uniformità di vedute. Gli interpreti più popolari di Edwards sostengono che, come personaggio religioso, egli rappresenti la grandezza della “tragedia” religiosa. Questa “tragedia”, persino per «la massima intelligenza che la storia del cristianesimo americano annoveri», altro non consisterebbe se non nell’impossibilità di liberarsi delle asfissianti dottrine calviniste ricevute in eredità, troppo forti per riuscire a superarle. Questo è quanto sostiene Henry B. Parkes, il primo dei suoi biografi moderni, nel suo Jonathan Edwards. The Fiery Puritan (Jonathan Edwards. Il puritano infuocato, 1930). Ad eccezione di Arthur McGiffert, che tende meno a criticare la dottrina di Edwards, qualunque altro biografo novecentesco di Edwards sembra concordare con Parkers. Secondo Ola Winslow, nel suo di fatto prezioso Jonathan Edwards, egli era prigioniero di un logoro e frusto sistema teologico: «La sua schiavitù pare un tragico peccato». Perry Miller, il più celebre autore interessatosi ad Edwards, lo dice senza mezzi termini: «La vita di Edwards è una tragedia […]. A causa della sua fede, Edwards provocò dei danni incalcolabili»[3].

Una schiera di autori meno noti ripete questo stanco ritornello. «Jonathan Edwards – afferma Peter Gay – fu il più grande eroe tragico [intento a] salvaguardare l’essenza della fede puritana, a chiarificarla, a difenderla e a predicarla ad un’epoca che non voleva saperne»[4]. Mentre Herbert W. Schneider lamenta: «Il suo acume filosofico venne sepolto sotto i ruderi della sua religione. Non riuscì a comprendere la futilità d’insistere sui principî puritani»[5].

Bisognerebbe dire che la maggioranza di questi autori sono sufficientemente generosi nel ritenere che Edwards resti apprezzabile, perché la sua vera grandezza è che sia riuscito a realizzare tutto quello che ha fatto nonostante l’handicap delle sue dottrine. Non dobbiamo, comunque, aspettarci che costoro intendano reintrodurre la dottrina insegnata da Edwards. In una parodia in versi nel suo The Theology of Jonathan Edwards (La teologia di Jonathan Edwards), Phyllis McGinley scrisse nel 1961:



Se son stati ben bene indottrinati

Con tremore e timore dormiranno

I pargoli al vespro coricati

Se l’Iddio di Edwards pregheranno.



Il Dio d’Abraamo che s’è adirato

Non tollera e punisce ogni errore.

Non è né il Padre né il Figliolo amato,

Bensì è l’Iddio del Santo Terrore[6].



In questa suddivisione delle prime opinioni generali su Edwards non c’è da stupirsi se, man mano che si procede, emergeranno ulteriori differenze. Sul suo carattere, ad esempio, esistono le più inconciliabili descrizioni. Gilbert Tennet, nel succitato necrologio del 1758, scrive che insieme alla fedeltà verso Dio, «nel suo comportamento nulla appariva con maggiore luminosità e fascino più sorprendente della sincerità con le persone», mentre Perry Miller afferma: «La gente scoprì che era un bugiardo». Oppure, sostiene sempre lo stesso Miller: «Era orgoglioso, arrogante e sconsiderato»[7], laddove invece Samuel Finley scrive nel 1758: «Possedeva una naturale fermezza di carattere […] l’umiltà, la modestia e la serenità del suo comportamento accattivavano le simpatie di chi lo conoscesse» (1.44).

C’è chiaramente un profonda divergenza tra i giudizi settecenteschi ed i novecenteschi, ma sarebbe troppo semplicistico spiegare la questione in questo modo. Le opinioni di Perry Miller avevano i loro interpreti già due secoli or sono. Lo stesso Edwards, due anni prima della sua morte, ci dice: «Ero accusato spesso d’agire solo in base ad opinioni malvagie, in maniera inflessibile, mosso da un animo orgoglioso, parziale e dispotico»[8].

Non c’è da meravigliarsi, dunque, se i libri di Edwards abbiano suscitato forti differenze d’opinione. Probabilmente il suo testo più celebre, ed il più ristampato, è Life of David Brainerd (Vita di David Brainerd). Nella sua Prefazione originaria a questo libro del 1749, Edwards dice di Brainerd: «In lui abbiamo un esempio straordinario della reale ed insigne pietà cristiana, nel cuore e nella pratica» (2.315). Molti ne convennero. John Wesley scrive dell’«assoluta abnegazione [di Brainerd], del totale disinteresse per il mondo e del fervido amore per Dio e per l’uomo». A far data dal 1904, in un’Introduzione alla nuova edizione del Diary and Journal of David Brainerd (Il diario ed il taccuino di David Brainerd), Alexander Smellie scrisse: «La consacrazione di David Brainerd si libra a quote eteree e si fa fatica a seguirlo con lo sguardo mentre s’invola verso Dio». Però i critici più recenti, del racconto fatto da Edwards su Brainerd, vedono le cose in modo assai diverso. Per dirla con Ola Winslow, essi sono certi che «la storia di Brainerd difficilmente [possa] essere letta senza spazientirsi, ancor meno con ammirazione»[9].

O ancora, mentre William Cunningham dice che il volume di Edwards sull’Original Sin (Il peccato originale) ha il diritto «di essere considerato come uno dei beni più preziosi e duraturi della chiesa cristiana»[10], al contrario lo storico W. E. H. Lecky è convinto che sia «uno dei libri più rivoltanti che siano mai proceduti da penna d’uomo»[11].

Date delle simili discrepanze, il lettore non avrà da sorprendersi quando scoprirà che le opinione stesse di Edwards furono suscettibili di controversia. Non facciamo riferimento qui alle sue opinioni teologiche, ma al suo modo di leggere gli avvenimenti e di rapportarsi alle persone. Il suo coevo Charles Chauncy affermava spesso e volentieri che Edwards era «un entusiasta visionario al quale non [bisognava] badare, qualunque cosa [dicesse]». Che sia per lo stesso motivo o per altri, autori successivi sono stati troppo sbrigativi nell’accantonare le valutazioni dello stesso Edwards. Il carattere e l’opera di George Whitefield costituiscono un esempio significativo. Edwards e Whitefield erano contemporanei e le loro vite s’intersecarono nell’anno cruciale del 1740. Essi trascorsero alcuni giorni assieme, ed in seguito Edwards scriverà – pensando all’evangelista – del suo «animo buono», del suo «zelo e [del suo] coraggio» e del suo amore pratico per gli atri (1.421, 424). Edwards non è stupito dell’«eccezionale benedizione che Dio ha concessa al Sig. Whitefield e [del] grande successo col quale l’ha coronato» (1.429). Ma il Prof. Perry Miller ritiene opportuno scrivere che quello stesso uomo fosse «uno degli individui più scostanti che abbiano mai influenzato la storia»[12].

Dire che gli studiosi di Edwards sono divisi sarebbe eufemistico. Come spiegare dunque queste molteplici divergenze d’opinione? Questi autori stanno davvero parlando della stessa persona, dei medesimi libri e degl’identici avvenimenti?

Certamente la spiegazione non sarà che, disponendo d’una quantità insufficiente d’informazioni, ci è impossibile pervenire ad una valutazione esatta. Edwards non è un personaggio poco noto, difficile da comprendere per la scarsità di materiale affidabile sul suo conto. Al contrario, la sua vita ed il suo pensiero sono tra i meglio documentati di tutti gli Americani del Settecento. Tanto per incominciare, ci sono più di 1.100 sermoni reperibili nella loro forma originaria manoscritta. Esistono i molti libri, alcuni dell’epoca, pubblicati da Edwards quand’era in vita. Abbiamo del materiale autobiografico, una porzione del diario e circa duecento delle sue lettere. C’è inoltre la testimonianza di molti testimoni oculari e di altri contemporanei, ed infine più di una mezza dozzina di biografie pubblicate a partire dalla sua morte.

Ci si aspetterebbe che tutti gli studiosi di Edwards succitati l’abbiano letto, eppure potrebbe sembrare strano affermare che la soluzione a tutti i loro disaccordi si trova proprio nei suoi scritti. Questa pertiene alla natura del cristianesimo. Secondo il metro di giudizio universalmente condiviso dal pensiero moderno, l’esperienza religiosa è meramente soggettiva e non dev’essere rapportata a delle realtà eterne e spirituali. Analogamente, la preghiera è un esercizio psicologico e la teologia una questione d’opinione umana cangiante. Se mai dovessero esistere l’infinito e l’eterno, questi non possono essere conosciuti, tantomeno possono esercitare una qualsivoglia influenza diretta sulle faccende del nostro mondo reale. Dio, il cielo e l’immortalità non sono concetti da considerare appartenenti all’ordine del reale, e la testimonianza biblica su tali problematiche non possiede maggiore autorità di qualunque altro libro. Il progresso dell’istruzione e l’illuminismo si sono sbarazzati del tipo d’universo morale nel quale Edwards si vedeva inserito. Pertanto, secondo questa prospettiva, non resta che valutare la vita ed il pensiero di Edwards da un punto di vista estraneo al suo.

C’è ad ogni modo una questione storica che dovrebbe far esitare tutti i sostenitori di questa tesi. Sta di fatto che la visione non biblica della vita e della religione, invece d’essere il risultato del recente progresso, era del tutto familiare allo stesso Edwards. Egli aveva solo trentatré anni allorquando, nel 1736, il vescovo Joseph Butler scriveva: «Siamo giunti ad un tempo in cui, non so come sia potuto accadere, molti danno per certo che il cristianesimo non sia nient’altro che un argomento di studio, che ora finalmente s’è rivelato essere fittizio. Di conseguenza, costoro ne discutono come se, oggigiorno, ciò fosse assodato tra tutte le persone di giudizio». Questo punto di vista apparentemente “moderno”, dopotutto moderno non è. Il nostro scetticismo contemporaneo non avrebbe stupito Edwards. Per di più, strano a dirsi (ammesso e non concesso che la tesi moderna corrisponda a verità), la rappresentazione novecentesca di Edwards nei termini di una «tragedia religiosa» era già nota ad Edwards stesso, dal momento che questa mutua esattamente il linguaggio impiegato dai miscredenti settecenteschi nei loro discorsi sui suoi precursori cristiani: «I primi riformatori, ed altri che seguirono a loro – ci dice Edwards – [nel] loro insegnamento e nell’affermazione di tali dottrine, definite comunemente calvinistiche, [vengono rappresentati] da molti autori recenti [come uomini dalla] mente stretta nei ceppi, che vive nelle tetre caverne della superstizione», e che, di conseguenza, insegnando delle «opinioni mostruose», meritano il disprezzo di quei «gentiluomini in possesso di quella nobile e magnanima libertà di pensiero che fortunatamente predomina in quest’epoca di lumi e di ricerca» (1.88-89). Eppure, sebbene Edwards riecheggi gli stessi giudizi che verranno espressi suo sul suo conto due secoli dopo, egli osserva che questi critici illuminati «hanno dato prova d’una liberalissima carità», perché hanno affermato che «quei vetusti ed eminenti teologi […] erano uomini onesti e ben intenzionati, come se provassero compiacenza e compassione per loro, per il fatto che per i tempi in cui erano vissuti avevano piuttosto fatto del bene, tenendo conto delle condizioni estremamente sfavorevoli in cui avevano operato».

In genere gli autori moderni hanno passato sotto silenzio quello che nel pensiero stesso di Edwards veniva prima d’ogni altra cosa. Anzitutto, egli era un cristiano ed un insegnante della fede cristiana. Il potere preponderante del peccato nel suo cuore, per colpa del quale era «incapace d’amare Dio, di credere in Cristo o di fare qualunque altra cosa che sia davvero buona e gradita agli occhi di Dio» era stato debellato dall’«intervento della grazia sovrana». Egli stesso può testimoniare che ciò non era stato vero per lui sin dalla nascita, ma che piuttosto Dio era intervenuto, portandolo ad un’esperienza profonda di un Salvatore per il quale, da quel momento in poi, vivrà per adorare, servire ed in lui gioire. Una tale conversione alla fede è esattamente ciò che insegna il Nuovo Testamento e che ci dovrebbe indurre a credere.

Secondo il Nuovo Testamento, e dunque anche secondo Edwards, la differenza tra il cristiano rigenerato ed il restante degli uomini costituisce la divisione più radicale di tutte[13]. Quanto è rivelato ai piccoli è nascosto ai superbi. Il motivo, dice Edwards, «per cui le cose del Vangelo paiono tutte così insipide e scipite agli uomini naturali [è che] esse sono una parte di quelle parole per le quali, nelle loro menti, non hanno idee corrispondenti». «è come una lettera straniera o desueta, che cioè suona ed è scritta in modo del tutto incomprensibile. è questo il motivo per cui essi reputano la religione come qualcosa d’assurdo e ritengono che i santi siano degli stolti. è questa la ragione per cui essi non trovano dolce la Scrittura ed apostrofano le persone pie definendole fanatiche e cose simili»[14].

Chi ritiene che il moderno illuminismo abbia soppiantato la possibilità del soprannaturale, rimpiazzando la Bibbia considerata come rivelazione d’un Dio vivente, dovrebbe almeno considerare quanto propone Edwards in alternativa per spiegare l’incredulità. Invece, come ai tempi di Butler, questi autori suppongono semplicemente che il cristianesimo «[si sia] rivelato essere fittizio». Essi continuano a scrivere su Edwards come se tutto ciò non fosse rilevante ai fini d’una comprensione genuina della sua vita e del suo pensiero, non ponendosi mai la domanda: cosa ne conseguirebbe se la religione di Edwards fosse in accordo con Cristo e con la Bibbia e se questa fosse vera? Qualunque riferimento essi facciano alla Bibbia è solitamente del tutto superficiale, come quello che fece Henry Churchill King il quale, in occasione del bicentenario di Edwards, si rammaricava che ad Edwards fosse mancata «la meravigliosa fede di Cristo negli uomini».

Nel presente volume noi offriamo la chiave stessa di Edwards per comprendere come mai il mondo sarà sempre in disaccordo con l’esperienza e la verità cristiane. è per questo motivo che nel corso dei secoli la conoscenza salvifica di Dio ha portato sempre ed inevitabilmente divisione: essa dischiude per alcuni un mondo di realtà che rimane chiuso per altri:



E nessuno può davvero adorare se non chi possiede

Il pegno della gloria Sua dall’alto,

La natura di Dio in se stesso […]



Cristo dice a Dio Padre, riguardo a coloro che hanno ricevuto la fede del Vangelo: «Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo» (Giovanni 17:14).

Ecco il motivo fondamentale per cui i pareri su Edwards sono talmente discordanti e perché i suoi biografi sono a tal punto divisi tra loro. La divisione risale direttamente alla Bibbia ed anche noi, a seconda della nostra posizione rispetto a Cristo, ci schiereremo con gli uni o con gli altri nell’interpretare quest’uomo che fu, anzitutto, un cristiano.



* * *



I primi tre biografi di Edwards erano tutti uomini che, come il loro “argomento” in questione, avevano un’esperienza pastorale nel ministero cristiano. Solo il primo, Samuel Hopkins (1721-1803), la cui biografia intitolata Life and Character of the Late Reverend Edwards (La vita ed il carattere del compianto Reverendo Jonathan Edwards) fu pubblicata nel 1765, conobbe Edwards di persona e poté scrivere da testimone oculare. Sebbene questa sia una raccolta di documenti imprescindibile, è davvero troppo breve per essere una “Vita” definitiva. La biografia che seguì, sebbene sia di gran lunga la più importante ad oggi pubblicata, tende all’estremo opposto. Sereno Edwards Dwight (1786-1850), pronipote di Edwards, impiegò «molti anni»[15] per approntare la sua Life of President Edwards (Vita del preside Edwards, 1829). Tutti i biografi successivi attingono a questa, che è ancora in stampa[16], ma la sua mole massiccia, per le molte lunghe lettere ed i documenti in versione integrale, le ha sempre impedito di essere un’introduzione popolare ad Edwards.

Fu probabilmente per questo motivo che, nel 1839, Jared Sparks chiese a Samuel Miller di Princeton di scrivere una nuova Life of Jonathan Edwards (Vita di Jonathan Edwards). L’opera di Miller, da molto tempo fuori stampa, è in buona parte un sunto di Dwight, con alcune utili osservazioni dello stesso Miller.

Hopkins, Dwight e Miller hanno tutti compreso Edwards, condividendo la sua visione fondamentale della chiesa cristiana. Tutti e tre furono, inoltre, testimoni di risvegli autentici. Difatti furono le fatiche sostenute nel periodo del risveglio degli anni ’20 dell’Ottocento a rovinare la salute di S. E. Dwight, facendogli rassegnare le dimissioni dal suo incarico pastorale nel 1826. Senza quell’avvenimento potremmo non aver mai avuto quella biografia, perché Dwight era sostanzialmente un predicatore e, se non si fosse ammalato, il pulpito avrebbe continuato ad assorbire la maggior parte del suo tempo.

A metà degli anni ’50 del XIX secolo, Alexander B. Grosart, un ministro scozzese, attraversò l’Atlantico per venire ad esaminare di persona la vasta collezione di manoscritti edwardsiani, allora tra le mani del Rev. Dr. Tryon Edwards di New London, nel Connecticut. In un’Introduzione a Selections from the Unpublished Writings of Jonathan Edwards (Brani scelti dagli scritti inediti di Jonathan Edwards, 1864), Grosart spiegava di non aver incluso le lettere, «[riservandosi] quelle che [erano] state recuperate, ed altre che [stava] aspettando, per la sua “Vita” che un giorno [sarebbe stata] scritta, di cui se ne [erano] salvate in confronto soltanto poche». E proseguiva: «Sono già in possesso di materiale d’incalcolabile valore, finora sconosciuto, per una dignitosa biografia».

Nessuno può sapere cosa davvero possedesse Grosart dal momento che la sua biografia di Edwards non fu mai pubblicata. Se l’avesse ultimata sarebbe stato per più d’un secolo l’ultimo biografo favorevole alla teologia di Edwards. Il successivo biografo più importante opererà la transizione alla moderna scuola d’interpreti. Costui fu Alexander V. G. Allen, professore presso la Episcopal Theological School di Cambridge, nel Massachusetts, la cui Life and Writings of Jonathan Edwards (La vita e gli scritti di Jonathan Edwards) venne pubblicata ad Edimburgo nel 1889. «Per quanto pregevole – dice Allen –, l’opera di Dwight non costituisce un’adeguata biografia. Molto di quanto getterebbe nuova luce sulla storia di Edwards è stato mantenuto inedito». Eppure, in confronto, Allen aggiunge poco e la prospettiva adottata è totalmente da un’angolatura umana. Edwards è visto come «l’iniziatore, il conduttore, il campione» del Grande Risveglio. In un numero speciale del 3 ottobre 1903 in occasione del bicentenario dalla nascita di Edwards, «The Congregationalist and the Christian World» di Boston poteva affermare con qualche giustezza che Edwards «[attendeva] un biografo».

Quando nel XX secolo si ravvivò l’interesse per la letteratura e la storia dell’America coloniale, era inevitabile che si sarebbe ravvivato lo studio su Edwards, il quale occupa un posto di rilievo internazionale come personaggio settecentesco. Ad indicare la strada fu Henry B. Parkes con Jonathan Edwards. The Fiery Puritan (Jonathan Edwards. Il puritano infuocato, 1930), seguito due anni dopo dal Jonathan Edwards di Arthur C. McGiffert. Parkes è un autore assai originale che sa muoversi con disinvoltura nel retroterra storico della Nuova Inghilterra. Ad ogni modo, questi autori vennero ampiamente soppiantati nel 1940 dalla pubblicazione di Jonathan Edwards (1703-1758) di Ola E. Winslow, un testo divenuto la fondamentale biografia edwardsiana moderna. Grazie all’utilizzo accurato dei manoscritti inediti e di altri documenti, la Winslow fece compiere allo studio della vita di Edwards, negli aspetti umani, un importante passo in avanti. Ma la caparbietà dell’autrice nel rigettarne la teologia non fa che rende il tutto assai più increscioso. Soltanto nella Prefazione, scritta a libro ultimato, la Winslow sfiora appena la verità di cui la sua biografia s’interessa poco o niente. Edwards, asserisce l’autrice, poté scrivere di dilettarsi in Dio in tutta sincerità: «Se aveva un segreto, in qualche modo questo riguardava la sua stessa capacità di provare un tale diletto, sebbene i suoi piedi fossero ancora ben piantati nel suolo della Nuova Inghilterra». Questo segreto deve restare tale per tutti coloro che ritengono che la fede da lui predicata sia “destinata a scomparire”.

Con il Jonathan Edwards del Prof. Perry Miller (1949), l’afflato anti-soprannaturalistico giunge alla sua più piena espressione. In una recensione al libro di Miller, pubblicata sul numero di novembre del 1950 del «Westminster Theological Journal» a firma William Young, viene dichiarato che «le argomentazioni e le conclusioni dell’autore sono suscettibili d’aspra critica». Ma una tale considerazione rimase letteralmente inascoltata, dal momento che molti allievi di Miller, ed altri, decantarono la «perspicacia» dimostrata dal professore della Harvard nel trattare questo tema. Patricia J. Tracy (Jonathan Edward. Pastor [Jonathan Edwards. Il pastore, 1980]) ritiene che la biografia di Miller sia la «più stimolante di tutte». Ralph J. Coffman riecheggia il parere del mondo universitario in riferimento a Miller, fregiandolo del titolo di «maestro del pensiero puritano» (Solomon Stoddard, 1978, p. 218), e S. S. Webb, scrivendo nel 1962, sostiene che la biografia di Miller sul genio di Edwards sia forse il solo volume d’eccezionale valore pubblicato a partire dalla rinascita dell’interesse accademico per Edwards iniziata circa venticinque anni prima. Comunque, Webb soggiunge che «l’opera di Miller è stata criticata per aver trascurato il rapporto di Edwards con la Bibbia e col cristianesimo in generale».

Le succitate parole di Webb sono estratte dalla sua Selected Biography (Biografia scelta) nell’edizione rivista (1962) di Jonathan Edwards. Representative Selections (Jonathan Edwards. Brani scelti significativi, 1935), con introduzione, bibliografia e note a cura di Clarence H. Faust e Thomas H. Johnson. Il lavoro di Faust e Johnson è di grande valore. La bibliografia di Webb, aggiunta all’edizione rivista, porta fino al 1962 i dati bibliografici completi delle opere di Edwards pubblicate dopo il 1940. Tutti gli scritti di Edwards pubblicati prima del 1940 sono elencati in T. H. Johnson, The Printed Writings of Jonathan Edwards (1703-1758), 1940. Queste due opere mostrano il meglio del moderno accademismo. La nostra biografia offre invece un racconto della vita Edwards a carattere divulgativo. Crediamo che il giorno in cui si scriverà una “Vita di Edwards” definitiva e teologicamente attendibile debba ancora giungere, augurandoci che giunga. A causa della collocazione delle fonti più importanti del materiale, una tale impresa probabilmente vedrà la luce sulle sponde americane dell’Atlantico. Ma nel frattempo, vista la condizione contemporanea della chiesa cristiana, c’è il bisogno urgente che si levi una nuova generazione di lettori di Edwards. La nostra speranza è raggiungere il traguardo in quella direzione, perché Edwards non dovrebbe essere appannaggio di accademici e studenti universitari. Sebbene egli abbia un valore particolare per tutti coloro che si preparano al ministero cristiano o ad entrare in altre branche del servizio cristiano, molti dei suoi scritti restano di primissima importanza per tutta la chiesa. Per quasi tutto il tempo in cui lavorò, Edwards fu un pastore che si rivolgeva al popolino che affollava le chiese, prima in una cittadina di campagna, poi in un avamposto di frontiera e, grazie ai talenti che Dio gli aveva concessi per esporre la Scrittura, egli resta ad oggi uno dei maggiori dottori della chiesa.

«Lo studente della Nuova Inghilterra del XVIII secolo – disse Bancroft – deve dedicare le sue giornate e le sue nottate allo studio di Jonathan Edwards». L’assunto della nostra biografia è che oggi ci siano molti più motivi perché Edwards debba essere letto.



* * *



Nel settembre del 1870, circa 200 discendenti di Edwards si riunirono per due giorni in un “Family Meeting” a Stockbridge, nel Massachusetts. Per l’occasione vennero rivolti dei gradevoli discordi, venne servito il tè sul prato all’inglese, si visitarono i luoghi storici, il tutto in un’atmosfera d’incanto e di buone maniere vittoriane. Ma, nel bel mezzo dei festeggiamenti commemorativi, un visitatore cominciò a spazientirsi alquanto. S. Irenaeus Prime non era tra gli oratori contemplati. Soltanto quando s’apprese che un rappresentante di Princeton, il quale avrebbe dovuto tenere il discorso conclusivo del primo giorno, non sarebbe potuto essere presente, Prime chiese «brevissimamente» l’attenzione per riempire quell’intervallo di tempo. Il suo “breve” discorso resterà il più memorabile di tutta la riunione. Egli fece trasalire il suo uditorio dichiarando che ricordare Edwards significava molto più d’un banale inchino al passato, perché il messaggio da lui predicato era adatto ad ogni epoca: «Esso ha la vita di Cristo in sé, subordina la ragione all’autorità divina ed adora lo Spirito Santo […]. La sua teologia possedeva in se stessa risveglio, ravvedimento e salvezza dall’inferno; ed è questo che operava, che opera e continuerà ad operare la teologia divina finché Cristo sia tutto in tutti». Uno studente che si avvia al suo corso di studi a Princeton, dichiarò Prime, ascolta quella stessa teologia e, mentre visita le tombe di Edwards e dei suoi compagni nella fatica appartenuti ad un’epoca precedente, «s’accende nella sua anima qualcosa del loro fuoco».

Non riusciremo a capire Edwards rettamente se il racconto della sua vita non ci farà lo stesso effetto.

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