L'amore e i suoi frutti
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Secondo il professor Paul Ramsey, questo trattato composto da 15 sermoni predicati nel 1738, che espongono 1 Corinzi 13:1-10, costituisce un saggio sistematico di morale cristiana che può essere letto come una testimonianza diretta del tipo di spiritualità incoraggiata da Edwards nel vivo del successivo grande risveglio del 1740.

Nello sviluppo del suo discorso Edwards considera i vari frutti dell’amore, un amore che non è naturale per l’uomo e si spinge, seguendo il testo biblico, fino a contemplare l’eternità dell’amore, concludendo con uno tra i più celebri dei suoi discorsi intitolato Il cielo: un mondo d’amore.

"L’essenza della virtù salvifica che caratterizza i veri cristiani, distinguendoli dagli altri, è l’amore cristiano, ovvero quello divino. […] Che l’uomo abbia pure tutto ciò che desidera e faccia pure ciò che vuole: nulla vale se non c’è amore. L’implicazione è che l’amore è la realtà fondamentale e tutto ciò che, in qualche modo, non partecipa dell’amore è un nulla. Ciò significa che l’amore è la vita e l’essenza della vera religione e che senza l’amore tutto il resto, benché importante, è inutile e futile. Ad esempio, la fede senza amore, anche se dovesse essere così grande da smuovere i monti, non conta nulla ed è inutile e vana, proprio come un corpo senza lo spirito".
- Jonathan Edwards, dal primo sermone
ISBN: 9788888747064
Producer: Alfa e Omega
Product Code: 9788888747064
Weight: 0,450kg
Binding: Brossura
Language: Italian

Book contents

INDICE

Prefazione all’edizione italiana
Introduzione

Primo sermone
L’amore: somma di tutte le virtù

Secondo sermone
L’amore è più eccellente dei doni straordinari dello Spirito

Terzo sermone
Nulla può compensare la mancanza di un cuore sincero

Quarto sermone
Pazienza e benevolenza

Quinto sermone
L’amore è contrario ad uno spirito invidioso

Sesto sermone
Lo spirito cristiano è umile

Settimo sermone
L’amore è contrario ad uno spirito egoista

Ottavo sermone
L’amore è contrario ad uno spirito irascibile

Nono sermone
L’amore è contrario ad uno spirito ipercritico

Decimo sermone
La grazia tende alla pratica della santità

Undicesimo sermone
La sopportazione delle sofferenze è un dovere verso Cristo

Dodicesimo sermone
La concatenazione delle grazie cristiane

Tredicesimo sermone
La grazia non sarà mai sconfitta

Quattordicesimo sermone
Solo l’amore divino dura per l’eternità

Quindicesimo sermone
Il cielo è un mondo d’amore

Indice dei riferimenti biblici
Indice analitico

Sample chapter

Settimo sermone
L’amore è contrario ad uno spirito egoista

«L’amore […] non cerca il proprio interesse» (I Corinzi 13:5).
Nel versetto precedente l’apostolo mostra innanzitutto la natura dell’amore facendo riferimento al bene del prossimo manifestato in queste due cose: è gentile e sollecito a dare ad altri i beni che si possiedono; non invidia ad altri i beni che questi possiedono. Dopo di ciò egli mostra la natura dell’amore facendo riferimento al nostro stesso bene, in quanto contrario all’orgoglio e all’egoismo. In primo luogo, è contrario all’orgoglio. L’amore predispone le persone a non essere orgogliose dei beni posseduti, così come viene espresso dalle parole «l’amore non si vanta, non si gonfia». In secondo luogo, è contrario all’egoismo perché «non cerca il proprio interesse».
Dunque, la dottrina è la seguente:

lo spirito cristiano è l’opposto di uno spirito egoista.

La rovina che la caduta originale ha cagionato all’anima dell’uomo consiste soprattutto nel fatto che egli ha smarrito i suoi più nobili principî, per cadere interamente sotto il dominio dell’amore di sé. L’uomo è svilito nella propria natura e diviene meschino ed ignobile. Subito dopo la caduta originale la mente dell’uomo perse la sua originaria grandezza e vastità, chiudendosi in un’estrema ristrettezza e limitatezza. Come in altri aspetti, così in questo, il suo animo era dapprima sotto il governo del nobile principio dell’amore divino per mezzo del quale era, per così dire, proteso ad un tipo di comprensione estesa a tutti i suoi simili. Inoltre, non era confinato entro limiti tanto angusti come i vincoli della creazione, bensì guardava al Creatore ed aveva disperso se stesso in quell’infinito oceano di bene e ne era, per così dire, inghiottito e con esso diventava un tutt’uno. Ma non appena egli ebbe trasgredito, quei nobili principî andarono immediatamente persi e tutta la grandezza della sua anima svanì e da allora si ridusse a un puntino, circoscritto e chiuso fermamente in se stesso, escludendo gli altri. Dio venne dimenticato, i suoi simili vennero dimenticati e l’uomo si ritirò in se stesso lasciandosi dominare interamente da principî gretti ed egoistici.
I principî più nobili e spirituali, essendo stati avviliti, svanirono e l’amore di sé divenne l’assoluto padrone della sua anima. Ma Dio, per pietà dell’uomo miserabile, realizzò, mediante l’opera della redenzione e il glorioso Vangelo del Figlio, il modo di portare l’anima dell’uomo fuori dai suoi confini e di infondere nuovamente in essa quei principî nobili e divini da cui era in origine governata. In tal modo, il cristianesimo restituisce grandezza all’anima. Essa torna a possedere l’amore divino, ossia quell’amore cristiano di cui leggiamo nel nostro testo, tramite il quale si riabbracciano i propri simili e si è devoti al Creatore essendo uniti intimamente a lui. Così, l’amore, che è l’essenza dello spirito cristiano, non cerca il proprio interesse ed è l’opposto di uno spirito egoista. Trattando tale argomento vorrei:

I. mostrare cos’è quell’egoismo al quale lo spirito cristiano è contrario;
II. il modo in cui gli è contrario;
III. mostrare l’evidenza della dottrina e, quindi, fare un’applicazione pratica.

I. Cos’è quell’egoismo al quale lo spirito cristiano è contrario?
A tal proposito, osserverei quanto segue.
Primo.In senso negativo, lo spirito cristiano non è contrario ad ogni tipo di amore verso se stessi. Non è contrario al cristianesimo che un uomo ami se stesso o, ed è la medesima cosa, che ami la propria felicità. Il cristianesimo non tende a distruggere l’amore dell’uomo per la propria felicità; tenderebbe altrimenti a distruggere l’umanità. Il cristianesimo non è distruttivo nei confronti dell’umanità. Che un uomo debba amare la propria felicità è necessario per natura, in quanto si tratta di un’attitudine della sua volontà, ed è impossibile che l’attitudine venga distrutta a meno che non si distrugga altresì l’essere umano. Anche i santi amano la propria felicità; sì, anche loro che sono perfetti in santità! I santi e gli angeli del paradiso amano la propria felicità, altrimenti la felicità che Dio ha donato loro non sarebbe tale, perché ciò che non si ama non può apportare alcuna felicità.
Che amare se stessi non sia illegittimo è evidente proprio dal fatto che la legge di Dio ne fa una norma e una misura che dovrebbe regolare il nostro amore per gli altri. Così Dio ordina: «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Matteo 19:19). Il comandamento presuppone evidentemente che si possa e si debba amare se stessi. Ciò è chiaro anche per il fatto che la sacra Scrittura, da un capo all’altro, è piena zeppa di verità la cui ragion d’essere presuppone il principio dell’amore di sé. Tali sono le promesse e le minacce della Parola di Dio; tutti i suoi richiami e i suoi inviti; i suoi consigli a perseguire il nostro stesso bene e i suoi ammonimenti a guardarci dall’infelicità. Queste verità possono influenzarci solo perché tendono ad agire sulla nostra speranza o sulla nostra paura. A che scopo fare promesse di felicità o intimare una qualche minaccia di sofferenza a colui che né ha amato la propria felicità né ha odiato la propria sofferenza? E a che pro incoraggiarlo e consigliarlo a ricercare l’una, oppure ammonirlo ad evitare l’altra?
Secondo. In senso positivo, quell’amore di sé, che è l’egoismo al quale si oppone lo spirito cristiano, è semplicemente un amore di sé disordinato. Ma qui si pone una domanda, vale a dire in che cosa consista tale disordine. Questo è un punto che necessita di essere ben formulato, poiché da esso dipende la risoluzione di molti scrupoli e dubbi che affliggono gli uomini.
1. Tale disordine non consiste nel nostro amore per la felicità considerato assolutamente e nel suo massimo grado. Se si considera l’amore per la propria felicità in senso assoluto e non relativo, non credo si possa affermare che tale amore sia qualcosa soggetto a diminuzione o incremento, come lo sono molti altri principî. Tuttavia, ritengo che l’amore di sé in questo senso non sia il frutto della caduta originale; anzi esso è necessario e appartiene a quella natura di tutti gli esseri intelligenti creati dal Creatore, ed è uguale in tutti. Inoltre, stimo che santi, peccatori e tutti coloro che amano la felicità allo stesso modo, possiedono la stessa inalterabile propensione a ricercare e a desiderare la felicità. Il cambiamento operato in un uomo quando questi è convertito e santificato non avviene diminuendo il suo amore per la sua felicità, ma regolandolo in relazione alle sue espressioni, alla sua influenza e agli oggetti verso cui conduce. Chi mai potrà dire che le anime felici lassù non amino la felicità allo stesso modo delle anime miserabili all’inferno? Se il loro amore per la felicità fosse diminuito dall’essere resi santi, ciò diminuirebbe la loro stessa felicità; poiché meno si ama la felicità, meno la si apprezza e, conseguentemente, si è meno felici. Quando Dio porta un’anima da una condizione d’infelicità a uno stato di felicità tramite la sua conversione, dà felicità a chi prima non ne aveva. Ma, allo stesso tempo, egli non annulla il suo amore per la felicità. In questo modo, quando un santo cresce nella grazia diviene ancor più felice, anche se il suo amore e il suo piacere per la felicità non diminuiscono nella misura in cui aumenta la sua stessa felicità, poiché da un lato vi sarebbe un progresso mentre dall’altro un regresso. Tuttavia, quando Dio rende felice un individuo che prima era infelice, oppure ne rende un altro più felice di quanto non fosse, questi mantengono lo stesso amore per la felicità. E così, indubbiamente, i santi e gli angeli possiedono il medesimo amore degli empi per la propria felicità o per se stessi (che è la stessa cosa). Pertanto, se consideriamo l’amore degli uomini per se stessi o per la loro felicità in senso assoluto, il disordine dell’amore di sé non consiste nel fatto che sia troppo grande, poiché esso è simile in tutti.
2. Tuttavia, in senso positivo il disordine dell’amore di sé che caratterizza un egoismo corrotto si manifesta in due circostanze.
(1) Il grado di amore di sé potrebbe essere relativamente troppo grande e, di conseguenza, il suo grado d’influenza disordinato. Anche se il grado dell’amore degli uomini per la propria felicità, considerato in senso assoluto, è simile in tutti, tuttavia la proporzione tra l’amore di sé e l’amore per gli altri potrebbe non esserlo. Se confrontiamo l’amore che un uomo nutre per sé con il suo amore per gli altri e se si può dire che egli ama troppo se stesso, ossia se la proporzione è eccessiva, sebbene questo sia dovuto più a una mancanza di amore verso gli altri piuttosto che a un eccesso di amore di sé, allora l’amore di sé, a causa di questo eccesso nella proporzione, diventa disordinato in questo senso, vale a dire che diventa disordinato nell’influenza e nel governo che esercita su quella persona. Poiché, quantunque l’amore di sé considerato in senso assoluto non possa essere affatto maggiore nel caso ci fosse una dovuta proporzione dell’amore nei confronti di Dio e dei propri simili, essendo maggiore la proporzione, la sua influenza e il suo governo sull’uomo diventano maggiori. In tal modo, la sua influenza diventa disordinata a causa della debolezza o della mancanza di amore per il prossimo, il quale dovrebbe contenere e regolare quest’influenza.
Ad esempio, pensiamo ad un servo di una famiglia che è considerato solo un servo e la cui influenza nelle faccende familiari non è eccessiva in quanto l’autorità del suo padrone è maggiore della sua. Se, in seguito, il padrone diventa più debole e perde la sua forza, e il potere del resto della famiglia inizia a scemare, sebbene il servo non si sia ingrandito per nulla, si è tuttavia ingrandita la proporzione della sua forza, per cui la sua influenza potrebbe diventare eccessiva e da semplice servo potrebbe diventare il padrone di quella casa. In questo modo l’amore di sé diventa eccessivo. L’uomo, prima della caduta originale, amava se stesso e la sua felicità, credo tanto quanto dopo la sua caduta. Allora egli era governato dal principio superiore dell’amore divino, che era così forte da regolare e indirizzare interamente l’amore di sé. Tuttavia, dalla caduta originale il principio dell’amore divino ha perso la sua forza, anzi è completamente morto. Perciò, l’amore di sé, seppur continuando a possedere la forza che aveva in precedenza, non avendo nessun principio superiore atto a regolarlo, divenne disordinato nella sua influenza e prese a governare laddove avrebbe dovuto servire. L’amore di sé diventa così un’influenza disordinata in quanto, in senso relativo, è troppo grande: o perché l’amore per Dio e per i propri simili non è sufficiente, come avviene nei santi in questo mondo nei quali dimora ancora un grande residuo di corruzione, oppure perché non ce n’è affatto e non esiste alcun amore divino nel cuore, come avviene nel caso degli uomini naturali. In questo modo, il disordine dell’amore di sé con riferimento al suo grado non deve essere considerato in senso assoluto, ma in senso relativo e in relazione alla misura della sua influenza. Per certi versi gli empi non si amano a sufficienza, nel senso che non si amano allo stesso modo di coloro che hanno la fede. Essi non amano ciò che rappresenta realmente la loro felicità, quindi si dice che gli empi odiano se stessi, anche se per altri versi essi si amano troppo.
(2) L’amore di un uomo per la propria felicità è disordinato quando considera quella felicità in relazione a ciò che è limitato a se stesso. Da questo punto di vista l’errore non sta tanto nel grado del suo amore per sé, ma nel canale in cui fluisce; non sta nel grado con cui egli ama la propria felicità, ma nel modo in cui la colloca. In questo senso l’essere umano è limitato e confinato. Alcuni, sebbene amino la propria felicità, non la collocano nei limiti del proprio bene o nel bene che è limitato a loro; costoro mirano piuttosto al bene comune, a ciò che è bene anche per gli altri, al bene che deve essere goduto negli altri e dagli altri. L’amore di un uomo per la propria felicità, inteso in questo senso, non è ciò che viene definito egoismo, bensì l’opposto. Ma ci sono altri che, nel loro amore per la propria felicità, collocano la propria felicità in ciò che è un bene limitato e confinato a loro stessi, ad esclusione degli altri. Questo è egoismo! Questo è ciò che più direttamente s’intende per quell’amore di sé che le Scritture condannano. Quando si dice che l’amore non cerca il proprio interesse, bisogna intendere gli interessi privati e quei beni limitati a se stessi. L’espressione «proprio» è una frase di appropriazione e il suo significato comporta una limitazione determinata dall’individuo. L’espressione può essere compresa alla luce di Filippesi 2:21: «Tutti cercano i loro propri interessi». Per “propri interessi” s’intende un bene limitato a se stessi, oppure quel bene di cui l’uomo dispone da solo e che non condivide con l’altro, ciò che l’individuo ha tanto circoscritto a sé da escludere gli altri. L’espressione deve essere intesa in questo modo: «Perché gli uomini saranno egoisti» (II Timoteo 3:2). Il significato della frase indica quest’azione del confinare, del limitare qualcosa esclusivamente a se stessi escludendo gli altri.
Orbene, un individuo può amare la propria felicità come chiunque altro, amando molto la propria felicità e desiderandola ardentemente; tuttavia, egli può, al tempo stesso, collocare tale felicità secondo una modalità che gli permetta di operare un grande amore per Dio. Ciò accade, ad esempio, quando la felicità che si desidera è dilettarsi in Dio e contemplare la gloria di Dio, o godere la comunione con Dio. In altri termini, un uomo può collocare la sua felicità nel glorificare Dio, nel glorificare Dio come si conviene: a costui glorificare Dio appare come la più grande felicità concepibile e perciò anela questa felicità. Nel desiderare tale felicità egli ama ciò che considera come sua felicità, e se non amasse ciò che considera sua felicità non la desidererebbe e, per lui, amare la sua felicità vuol dire amare se stesso. Tuttavia, nello stesso atto, egli ama Dio poiché pone la sua felicità in Dio. In cos’altro consiste l’amore verso un essere o una cosa se non nel porre la felicità in quell’essere?
Allo stesso modo è possibile porre la propria felicità in modo considerevole nel bene degli altri, nel bene del prossimo, desiderando quella felicità che consiste nel cercare il loro bene. è possibile amare se stessi e la propria felicità, ma questo non è egoismo; infatti, non si tratta di un amore confinato al proprio io, ma fluisce attraverso un canale che coinvolge gli altri con sé. L’io che una persona ama viene così ampliato e moltiplicato, cosicché in quegli stessi atti in cui ama se stessa ama gli altri. Questo è lo spirito cristiano, lo spirito nobile ed eccellente del Vangelo di Gesù Cristo; questa è la natura di quell’amore divino o amore cristiano di cui si parla nel testo. Uno spirito cristiano è contrario a uno spirito egoista. Quest’ultimo, infatti, ricerca la propria felicità limitando e confinando tutto a se stesso, come, ad esempio, la ricchezza terrena o l’onore conferito dagli uomini che è reputato più importante degli stessi uomini, oppure i propri agi e la propria tranquillità o il piacere e la gratificazione dei sensi. Quindi, una volta affermato questo punto, ossia cos’è quell’egoismo al quale lo spirito cristiano è contrario, passo alla seconda considerazione generale.

II. Proseguo col mostrarvi il modo in cui lo spirito cristiano è contrario all’egoismo e ciò può essere espresso in questi due concetti. Primo: coloro che hanno uno spirito cristiano non ricercano solo il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Secondo: uno spirito cristiano, in molti casi, dispone gli uomini a dare la precedenza agli altri, oppure a rinunciare ai propri beni per gli altri.
Primo. Coloro che hanno uno spirito cristiano non ricercano solo i propri interessi, ma anche quelli degli altri.
1. Uno spirito cristiano cerca di piacere a Dio e di glorificarlo. Le cose gradite a Dio e a Cristo, le quali tendono alla gloria di Cristo, sono definite le cose di Gesù Cristo in opposizione ai nostri interessi: «Poiché tutti cercano i loro propri interessi, e non quelli di Cristo Gesù» (Filippesi 2:21). Il cristianesimo richiede di rendere Dio e Cristo il nostro fine ultimo. I cristiani, finché vivono da cristiani, vivono in modo tale che, per loro, «il vivere è Cristo» (Filippesi 1:21). Ai cristiani viene richiesto di vivere in modo da piacere a Dio: «Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà» (Romani 12:2). Dovremmo essere dei servi di Cristo così fedeli da fare tutto per piacere al nostro Maestro: «Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo» (Efesini 6:6). è così che ci viene richiesto di cercare la gloria di Dio: «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio» (I Corinzi 10:31). Questo è lo spirito cristiano.
2. Coloro che hanno uno spirito cristiano hanno uno spirito che li spinge a cercare il bene dei propri simili. L’apostolo afferma: «Cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri» (Filippesi 2:4). Noi dovremmo cercare il bene spirituale degli altri. Uno spirito cristiano ci predisporrà a cercare la felicità spirituale degli altri; ci predisporrà a cercare la loro salvezza dall’inferno affinché ottengano la gloria eterna, come fece il grande apostolo. Esso spinge dunque gli uomini ad impegnarsi per edificarsi a vicenda in santità e serenità: «Edificatevi gli uni gli altri» (I Tessalonicesi 5:11). Uno spirito cristiano, inoltre, disporrà gli uomini a cercare il vantaggio della condizione esteriore degli altri: «Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello degli altri» (I Corinzi 10:24). Noi dovremmo ricercare quel tipo di piacere per gli altri che, allo stesso tempo, reca loro un qualche beneficio: «Così come anch’io compiaccio a tutti in ogni cosa, cercando non l’utile mio ma quello dei molti, perché siano salvati» (I Corinzi 10:33); «Ciascuno di noi compiaccia al prossimo, nel bene, a scopo di edificazione» (Romani 15:2).
Per essere più dettagliati su questo punto si devono specificare altre ragioni per cui lo spirito cristiano, manifestato verso il prossimo, è l’opposto di uno spirito egoista.
(1) Poiché uno spirito cristiano è pieno di misericordia esso dispone gli uomini a considerare non solo le proprie difficoltà, ma anche i fardelli e le afflizioni altrui. Lo spirito cristiano dispone gli uomini a pensare ai travagli delle circostanze altrui, facendo proprie le situazioni di coloro che si trovano nella pena e nel bisogno. Un individuo egoista è pronto a considerare maggiormente le afflizioni a cui lui è sottoposto, come se si trovasse in una condizione di necessità superiore a quella di tutti gli altri. Quindi, egli ritiene di non essere chiamato a fare a meno di ciò che è in suo possesso e che potrebbe utilizzare per aiutare gli altri. Una persona egoista non è in grado di comprendere i desideri altrui, ma li tralascia e difficilmente è in grado di vederli. Invece, un vero cristiano è capace di scorgere le difficoltà altrui, di capire la gravità delle varie situazioni, di dimostrarsi pieno di interesse sia per tali circostanze sia per coloro che le devono affrontare, ed è pronto ad aiutare il prossimo rallegrandosi di soddisfare i bisogni altrui e di poter sollevare gli altri dalle difficoltà. «Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia» (Colossesi 3:12); «La saggezza che viene dall’alto, anzitutto è pura» (Giacomo 3:17); «Tutti i giorni è pietoso e dà in prestito» (Salmi 37:26).
(2) Uno spirito cristiano è uno spirito generoso. Non ricerca soltanto il bene di coloro che sono afflitti, sebbene nutra nei loro confronti un interesse particolare in quanto il loro bisogno è maggiore, ma è pronto a donare a tutti ed a promuovere il bene di tutti, quando se ne presenta l’opportunità. «Finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti» (Galati 6:10). Ma non mi dilungherò, avendo già insistito sull’argomento della benevolenza del vero amore.
(3) Uno spirito cristiano si oppone ad uno spirito egoista in quanto dispone gli uomini ad essere di spirito aperto. Colui che ha un atteggiamento amorevole non è chiuso e ristretto, ma è molto interessato al bene della comunità a cui appartiene e, in particolare, della città in cui dimora. Dio ordinò agli Ebrei che furono condotti in cattività a ricercare il bene della città di Babilonia, sebbene non fosse la loro città ma quella che li aveva resi prigionieri: «Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene» (Geremia 29:7). Un uomo pervaso da spirito cristiano sarà inoltre interessato al bene della sua nazione, che lo disporrà ad adoperarsi per essa. Un uomo fu raccomandato a Cristo dagli Ebrei per il fatto che amava la loro nazione: «Ama la nostra nazione ed è lui che ci ha costruito la sinagoga» (Luca 7:5). La Scrittura spiega che Israele, non essendo addolorato per le calamità che affliggevano la nazione, era una forte provocazione per Dio: «Bevono il vino in ampie coppe e si ungono con gli oli più pregiati, ma non si addolorano per la rovina di Giuseppe» (Amos 6:6). L’apostolo Paolo esprime grande interesse per i suoi concittadini (cfr. Romani 9:1-3).
Coloro che possiedono uno spirito cristiano sono magnanimi; si interessano al bene della chiesa e del popolo di Dio in generale. Di tale spirito era Mosè, l’uomo di Dio; perciò egli intercedette sinceramente per il popolo visibile di Dio e si dichiarò pronto a morire affinché essi potessero essere risparmiati. «Il Signore disse ancora a Mosè: “Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Dunque, lascia che la mia ira s’infiammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione”. Allora Mosè supplicò il Signore, il suo Dio, e disse: “Perché, o Signore, la tua ira s’infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché gli Egiziani direbbero: Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra! Calma l’ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo” […] “Nondimeno, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”» (Esodo 32:9-12, 32). Sì, questo tipo di persone s’interessano al bene dell’umanità. Tale era lo spirito dell’apostolo Paolo, il quale dedicò tutto se stesso a ricercare il bene degli Ebrei e dei Gentili: «Con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge» (I Corinzi 9:20-21). In particolare uno spirito cristiano disporrà coloro che esercitano una carica pubblica, ad esempio i ministri, i magistrati e tutti i pubblici ufficiali, a ricercare il bene della società. Disporrà i magistrati ad agire come padri della comunità, con quella cura e quell’interesse per il bene pubblico che un padre ha per la famiglia; saranno attenti ai pericoli, protesi a migliorare il loro potere per promuovere l’utile di tutti, non si lasceranno sopraffare dal proprio egoismo nelle loro amministrazioni cercando di arricchirsi o esaltando la propria figura ascendendo al potere a danno degli altri, come molto spesso fanno i governanti malvagi. Uno spirito cristiano disporrà i ministri del Vangelo non a ricercare il proprio interesse, non semplicemente a cercare un sostentamento economico, mirando a ricavare ciò che possono dalla loro gente per arricchire se stessi e le proprie famiglie abbigliandosi con la lana del proprio gregge. Uno spirito davvero cristiano li disporrà, soprattutto, a ricercare il bene della chiesa nutrendo le anime, come un buon pastore che nutre il suo gregge, che lo sorveglia attentamente per condurlo ad un buon pascolo e che lo difende dai lupi e da altre bestie da preda.
Secondo. Uno spirito cristiano dispone, in molti casi, a rinunciare a ciò che si possiede separandosene per amore degli altri. L’amore cristiano dispone le persone a separarsi dai loro interessi temporali e privati, rinunciando totalmente e definitivamente ad essi per onorare Dio e per il progresso del regno di Cristo. Tale era lo spirito dell’apostolo: «Io sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (Atti 21:13). Inoltre, in molte circostanze si ha la forza di rinunciare al proprio interesse privato separandosene per il bene del prossimo: si è pronti ad aiutare a sopportare il fardello degli altri, a separarsi per amore da un piccolo bene per recare un grande bene al prossimo e a dare la vita per i fratelli (cfr. I Giovanni 3:16). Tuttavia, poiché avrò occasione di parlare ancora di quest’argomento, non aggiungerò altro.

III. A questo punto, mi resta da mostrare l’evidenza della dottrina, che potremo vedere chiaramente considerando la natura dell’amore cristiano, o ciò che in tale natura è contrario all’egoismo.
Primo: consideriamo la natura dell’amore in generale; secondo: consideriamo qual è la natura peculiare dell’amore cristiano e dell’amore divino; terzo: consideriamo la natura dell’amore cristiano verso Dio e Cristo e, in particolare, dell’amore verso il nostro prossimo.
Primo. Se consideriamo la natura dell’amore in generale, reale e moralmente sincero, essa è generosa e sposa l’interesse degli altri. Avviene così nel caso dell’affetto naturale e dell’amicizia nella società: finché esiste una vera amicizia, le parti tra cui questa sussiste non solo ricercano il loro interesse particolare, ma sposano l’interesse l’uno dell’altro. Si cerca non solo il proprio interesse, ma l’interesse degli amici. L’egoismo è un principio che confina il cuore di un uomo entro i limiti di se stesso. L’amore allarga il cuore e lo fa volgere verso il prossimo. è come se l’io di un uomo venisse esteso e ampliato mediante l’amore; così, fintanto che ama gli altri, gli altri diventano, per così dire, parte di lui e laddove il loro interesse è favorito, costui considera il suo interesse favorito e laddove è soddisfatto il loro bisogno, ritiene che sia soddisfatto anche il suo.
Secondo. Ciò sarà ulteriormente evidente se consideriamo qual è la natura peculiare dell’amore cristiano e dell’amore divino, che è al di sopra di ogni egoismo. Sebbene ogni vera espressione d’amore per gli altri cerchi il loro bene e miri all’interesse di colui che s’ama, tuttavia ogni tipo d’amore, eccetto questo, ha il suo fondamento soprattutto in un principio egoistico. Tale è l’affetto naturale che i genitori hanno per i propri figli, o l’amore che i parenti stretti nutrono l’uno per l’altro. L’amore di sé è la molla principale di questo tipo d’amore. è perché gli uomini amano se stessi che amano quelle persone e quelle cose che appartengono loro, o alle quali sono intimamente legati, e anche il mondo le considera loro proprietà e, per la costituzione stessa del mondo, hanno i loro interessi e il loro onore legati al loro. Così avviene anche nel caso dell’amicizia tra gli uomini: l’amore di sé è l’impulso dal quale essa procede. A volte, un individuo è spinto all’amicizia con certe persone da una naturale gratitudine per qualche favore che ha ricevuto da loro e per i benefici che ne sono conseguiti. L’amore di sé dispone gli uomini a rispettare coloro che si mostrano gentili nei loro confronti e che promuovono in qualche modo i loro interessi. In certe occasioni l’uomo naturale è portato all’amicizia verso coloro che possiedono, o gli sembra che posseggano, delle qualifiche tali da farlo sperare che costoro promuovano il suo bene temporale. Se vede che gli altri sono disposti ad essere rispettosi verso di lui e ad onorarlo, allora l’amore per il proprio onore lo porterà a diventarne amico; oppure, se gli sembra che dimostrino una qualche generosità verso di lui, allora l’amore per il proprio profitto lo indurrà a promuovere tali amicizie. Ancora: se l’uomo naturale riscontra in qualcuno una certa concordanza con le sue disposizioni e i suoi modi, l’amore di sé lo predisporrà ad essere amico di costoro, perché l’accordo con chi gli assomiglia nel carattere e nei modi implica un’approvazione del suo carattere e dei suoi modi. Gran parte dell’amore umano scaturisce da questo principio e, quindi, è meramente naturale. La natura non può andare al di là dell’amore di sé, perciò tutto quello che gli uomini fanno deriva, in un modo o nell’altro, da questa radice.
Tuttavia, l’amore divino, ossia la carità cristiana di cui si parla nel testo, è qualcosa che trascende l’amore di sé e, poiché è soprannaturale, supera e oltrepassa tutto ciò che è naturale. Non è un ramo che spunta dalla radice dell’amore di sé come lo sono invece gli affetti naturali, l’amicizia e la solidarietà che gli uomini malvagi possono nutrire l’uno nei confronti dell’altro. è qualcosa di più nobile ed elevato: l’amore di sé è la somma di ciò che è naturale proprio come l’amore cristiano è la somma di ciò che è soprannaturale. Quest’amore divino non è una pianta che cresce naturalmente in un suolo quale il cuore dell’uomo; è piuttosto un arbusto trapiantato nell’anima dal paradiso. è qualcosa di divino, qualcosa che proviene dal benedetto Spirito Santo di Dio, perciò il suo fondamento è in Dio e non nell’uomo. Quindi, non esiste amore per gli altri che si elevi così tanto al di sopra dell’egoismo come l’amore cristiano e non c’è nessun altro amore che sia tanto gratuito e disinteressato. Si ama Dio per se stesso e per il suo amore e si amano gli uomini non per il legame che ci unisce a loro, ma per la loro relazione con Dio, o perché sono figli di Dio o perché sono creature che recano in sé l’immagine spirituale di Dio.
Dunque, l’amore divino e cristiano, che è superiore ad ogni altro amore, è contrario ad ogni egoismo. Sebbene l’amore per gli altri, che è un amore morale, può, per certi versi, essere contrario all’egoismo in quanto spinge l’uomo ad una generosità e a una liberalità morali, per altri versi si dimostra uno spirito egoista. Infatti, se lo esaminiamo giungendo alle sue origini, scopriremo che nasce dalla stessa radice, vale a dire dal principio dell’amore di sé. Viceversa, l’amore cristiano nasce altrove: la sua radice è in Gesù Cristo, quindi divina e celeste. Non appartiene a questo mondo e tende là da dove viene: poiché non nasce dall’io, non tende all’io! Si compiace dell’onore e della gloria di Dio per amore di Dio e non per amore di ciò che da essi potrebbe ricavare. Ricerca e si compiace del bene degli uomini per amor loro e per amore di Dio. L’amore cristiano rivela in modo peculiare la propria superiorità e contrarietà a uno spirito egoista in quanto raggiunge perfino i nemici. Ciò fa parte della sua natura: giunge all’ingrato, al cattivo, a coloro che ci offendono e ci odiano. Quindi è direttamente contrario alla tendenza di un principio egoistico e di gran lunga superiore di ciò che è naturale per l’essere umano.
Terzo. Che l’amore cristiano sia contrario a uno spirito egoista apparirà da una riflessione attenta su ciò che la Scrittura insegna sulla natura dell’amore verso Dio e verso gli uomini.
1. Ciò sarà evidente se ponderiamo ciò che ci viene insegnato sulla natura dell’amore verso Dio e, in particolare, di ciò che la Scrittura insegna su coloro che hanno un amore sincero verso di lui, che li porta a consacrarsi interamente a lui. Questo è insegnato dai dieci comandamenti: «Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua» (Marco 12:30). In queste parole è contenuta una descrizione del giusto amore verso Dio: colui che ama Dio come si conviene dedica tutto a lui, tutto il suo cuore e tutta la sua anima, tutta la sua mente e tutta la sua forza, tutti i suoi poteri e tutte le sue facoltà. Di certo, un uomo che dona tutto a Dio non trattiene nulla per sé, ma si dedica totalmente e interamente a Dio. Colui che dona a Dio tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente, tutti i poteri e tutte le forze, non si aggrappa a nulla perché non si può avere alcuna riserva. Coloro che possiedono il vero amore per Dio hanno la forza per farlo, e ciò dimostra quanto l’amore per Dio sia superiore all’egoismo. Infatti, se l’io è completamente dedicato a Dio, ci sarà allora qualcosa al di sopra dell’io che influenza tutto l’uomo, qualcosa di superiore all’io che prende l’io per offrirlo a Dio. Un principio egoistico non offrirà mai l’io a un altro; la sua natura è quella di sacrificare gli altri sull’altare del proprio io. Coloro che hanno vero amore per Dio, amano Dio semplicemente perché è Dio e perché egli è il “sommo bene”, laddove la natura dell’egoismo è quella di porre l’io quale suo Dio, facendo del sé un idolo. Ciò che gli uomini considerano Dio, è ciò a cui essi dedicano tutto. Coloro che adorano se stessi, consacrano tutto a se stessi, mentre coloro che amano Dio perché è Dio, offrono tutto a lui.
2. Ciò sarà evidente se consideriamo quello che le Scritture insegnano a proposito della natura dell’amore cristiano verso gli uomini. Esistono due principali descrizioni degne di nota che le Scritture ci offrono sull’amore davvero misericordioso nei confronti del prossimo.
(1) La prima è amare il nostro prossimo come noi stessi, e la troviamo in Levitico 19:18: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso». Cristo cita questo precetto come la somma di tutti i doveri della seconda tavola della Legge: «Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”» (Matteo 22:39). Orbene, ciò è contrario all’egoismo, poiché non è di tale natura da confinare il cuore entro i limiti del sé, ma lo conduce verso gli altri oltre che verso il sé e ve lo conduce nello stesso modo in cui lo fa con il sé. La carità cristiana ci dispone a considerare il prossimo come se fosse una sola cosa con noi e a non pensare solo alle nostre vicissitudini e necessità, ma a tenere presenti anche le altrui come facciamo con le nostre e a non avere riguardo solo per i nostri desideri, ma anche per quelli degli altri, facendo del loro caso il nostro caso e facendo loro ciò che vorremmo fosse fatto a noi.
(2) Un’altra descrizione che le Scritture ci offrono dell’amore misericordioso verso gli altri, la quale mostra quanto esso sia contrario all’egoismo, è quella di amare il prossimo come Cristo ha amato noi: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Giovanni 13:34). Il comandamento è definito «nuovo» in contrapposizione a quello vecchio in Levitico 19:18. Non che il dovere di amare gli altri, che è l’oggetto di questo comandamento, sia nuovo, poiché lo stesso tipo di amore richiesto nell’Antico Testamento viene richiesto anche ora. Tuttavia, è definito «nuovo» comandamento nel senso che la regola e il motivo annessi, che in particolare il Vangelo richiede di osservare, sono nuovi. La regola e il motivo esposti nel vecchio comandamento erano basati sull’amore verso noi stessi, ovvero amare il nostro prossimo come noi stessi, mentre il motivo e la regola esposti nel Vangelo, da quando l’amore di Cristo si è manifestato così meravigliosamente, è l’amore di Cristo verso di noi. Dunque il comandamento del Vangelo, che è il nuovo comandamento, è che dovremmo amarci l’un l’altro come Cristo ha amato noi. Questo nuovo comandamento è chiamato enfaticamente da Cristo, in Giovanni 15:12, «mio comandamento». Egli afferma: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Che noi dovremmo amare il prossimo come amiamo noi stessi è il comandamento di Mosè, ma che noi dovremmo amare il prossimo come Cristo ha amato noi è il comandamento di Cristo. Nella sostanza è lo stesso comandamento di Mosè, ma con una nuova forza e una nuova luce, poiché il principio di amare gli altri come Cristo ha amato noi mostra molto più chiaramente il nostro dovere e il nostro obbligo nei confronti del nostro prossimo, rispetto a quanto rivelato da Mosè.
Dopo questa digressione, nei quattro punti elencati di seguito osserveremo come questa descrizione che Cristo fa dell’amore cristiano verso gli altri, mostri in che modo quest’amore sia contrario all’egoismo. Considereremo, in particolare, il modo in cui Cristo ha espresso il suo amore per noi e quanto ci sia nell’esempio del suo amore per stabilire ciò che è contrario ad uno spirito egoista.
1. Cristo rivolse il suo amore a coloro che gli erano nemici. Non solo coloro i quali egli amava non nutrivano amore nei suoi confronti, ma erano verso di lui pieni di inimicizia e di un principio di odio mortale.
2. Tale era l’amore di Cristo verso di noi che, in un certo senso, egli si è compiaciuto di considerarci come se stesso. Per il suo amore verso gli uomini, egli li ha sposati e ha unito il suo cuore al loro, compiacendosi di stimarli come se stesso. I suoi eletti gli erano cari dall’eternità, gli erano cari come la pupilla dei suoi occhi e li ritenne a tal punto come se stesso da reputare le loro preoccupazioni come sue preoccupazioni, il loro interesse come suo interesse, appropriandosi della loro colpa e prendendola misericordiosamente su di sé, affinché fosse considerata come sua per imputazione divina. Il suo amore ha cercato di unirli a tal punto a lui da renderli membra di sé, cosicché essi sono sua carne e sue ossa; infatti Cristo li considera come se stesso: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me» (Matteo 25:40).
3. Cristo ha speso la sua vita per noi. Sebbene noi fossimo nemici, egli ci ha amato così tanto che dall’amore per noi egli ebbe cuore non solo di considerare il nostro interesse ma di sacrificare i suoi interessi per noi, anteponendolo al proprio vantaggio, al proprio benessere e al proprio onore nel mondo, fino al punto di diventare povero per noi: «Infatti anche Cristo non compiacque a se stesso; ma come è scritto: “Gli insulti di quelli che ti oltraggiano sono caduti sopra di me”» (Romani 15:3). E non solo questo: egli spese se stesso per noi, spese il suo sangue per offrire se stesso alla giustizia di Dio per amor nostro.
4. Il Signore ci ha tanto amato senza aspettarsi di essere contraccambiato per il suo amore. Egli non necessitava di nulla che noi potessimo fare per lui e sapeva che non saremmo mai stati in grado di contraccambiare la grazia riversata su noi, facendo qualcosa per ripagarla. Sapeva bene che eravamo poveri, mutilati, storpi e ciechi, vagabondi, bisognosi, vuoti e che potevamo solo ricevere da lui senza rendergli nulla. Sapeva che non avevamo denaro o altre ricompense e che, invece di ricevere qualcosa da noi, avrebbe dovuto darci tutto ciò di cui avevamo bisogno altrimenti ne saremmo rimasti eternamente privati. Comprendiamo quanto saremmo lontani da uno spirito egoista se ci amassimo l’un l’altro in questo modo? o se lo stesso amore che nutriva Cristo verso di noi abbondasse in noi verso gli altri? Il nostro amore per gli altri non dipenderebbe dal loro amore per noi, però dovremmo fare come Cristo ha fatto con noi: amarli, sebbene nemici. Non dovremmo ricercare il nostro interesse ma dovremmo essere così uniti agli altri nei nostri cuori che dovremmo considerare il loro interesse come il nostro. Dovremmo essere interessati al loro bene come Cristo lo era al nostro. In molti casi dovremmo essere pronti a rinunciare al nostro interesse per l’interesse degli altri, come Cristo si è consumato e si è speso per noi. E, infine, dovremmo fare queste cose senza sperare di ricevere nessun contraccambio, come Cristo fece per noi grandi cose senza aspettarsi nessun contraccambio.

Applicazioni.
L’impiego che faccio di questa dottrina è quello di dissuadere tutti da uno spirito e da una pratica egoistica e di esortare la ricerca di quello spirito contrario. Fate in modo che attraverso l’amore cristiano il vostro cuore possa dedicarsi a Dio, alla sua gloria e ad amare il vostro prossimo come voi stessi e come Cristo ha amato voi, senza badare al vostro interesse ma a quello degli altri. E per incitarvi a tale scopo, oltre alle cose già menzionate, vi invito a riflettere su quanto segue.
Primo. Non dovete ricercare solo il vostro interesse, perché voi non appartenete a voi stessi. Voi non vi siete creati da soli, né siete stati fatti per voi stessi e non siete né gli autori né il fine del vostro essere. Inoltre, non siete voi a mantenervi in vita, né siete voi a provvedere a voi stessi perché non dipendete da voi stessi. C’è qualcun altro che vi ha creati, che vi preserva e che provvede per voi. E colui che vi ha creati, vi ha creati per se stesso e per il bene dei vostri simili, non solo per voi stessi. Inoltre vi professate cristiani e perciò, se siete davvero tali, non appartenete a voi stessi poiché qualcun altro vi ha riscattati: «Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Corinzi 6:19-20a). Questa verità è qui proposta come argomentazione del perché i cristiani non debbano ricercare se stessi ma la gloria di Dio, come si vede nelle parole che seguono: «Glorificate adunque Iddio col vostro corpo, e col vostro spirito, i quali sono di Dio» (I Corinzi 6:20b, Diodati). Voi eravate in una condizione triste, perduti, prigionieri nelle mani della giustizia di Dio e schiavi infelici nelle mani del Diavolo, un nemico crudele. Ma Cristo vi ha redenti e così gli appartenete a giusto titolo; appartenete a lui e non a voi stessi. Perciò, non dovete continuare a considerarvi di vostra proprietà e a ricercare solo o principalmente il vostro interesse, perché se agite così sarete colpevoli di aver derubato Cristo, poiché non appartenete a voi stessi, nulla vi appartiene. Le capacità della mente e del corpo e i possedimenti che avete, per la maggior parte, non sono vostri, né avete la libertà di migliorarli, come se li possedeste totalmente, come fareste se doveste migliorarli solo per il vostro interesse privato e non per l’onore di Cristo e il bene degli altri.
Secondo. Se ricercate la gloria di Dio e il bene dei vostri simili, allora state di sicuro spingendo Dio a ricercare il vostro interesse. Se dedicherete tutto l’intero essere vostro a Dio sacrificando a lui il vostro interesse, non sprecherete nulla! Infatti, sebbene possa sembrare che trascuriate e rinunciate a voi stessi, Dio si prenderà cura di voi e farà in modo che il vostro interesse sia soddisfatto. Non diventerete perdenti per ciò che avrete sacrificato per la sua gloria. Egli vi ripagherà probabilmente cento volte in questa vita, oltre alla ricompensa eterna che vi darà: «E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna» (Matteo 19:29); oppure come afferma l’evangelista: «Il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto […] e, nel secolo a venire, la vita eterna» (Marco 10:30). Cristo esprime la grandezza della ricompensa che costoro riceveranno in questa vita con un determinato numero, ma pretende che non si utilizzino cifre per esprimere la ricompensa che riceveranno dopo: dice soltanto che erediteranno una vita eterna, poiché la ricompensa è così grande che supera di molto tutti i sacrifici che un uomo deve sostenere per amore di Cristo, e che non può essere compresa in base a calcoli umani.
Se siete egoisti e se adorate voi stessi vivendo per i vostri interessi, Dio vi abbandonerà a voi stessi e lascerà che siate voi a badare al vostro bene meglio che potrete. Tuttavia, se non ricercate il vostro interesse per favorire quello di Gesù Cristo e degli altri, Dio si farà carico del vostro interesse e della vostra felicità. Pensate forse che egli non sia infinitamente più capace di voi nel provvedere e nel favorire il vostro bene? Dunque, il miglior modo di ricercare il proprio interesse è quello di non ricercare il proprio interesse, ossia quello di non ricercare il proprio interesse privato in questo mondo. Questo è il percorso più veloce per ottenere la felicità più vera! Quando vi si richiede di non essere egoisti, non vi si richiede di non amare e di non cercare la vostra felicità! Quello che vi si sta chiedendo è di non cercare soprattutto un tipo di interesse privato e limitato a voi stessi. Se riponete la vostra felicità in Dio, nel glorificarlo e nel servirlo facendo il bene, in questo modo favorirete la vostra ricchezza, il vostro onore, il vostro piacere e, soprattutto, le ricchezze durature e otterrete una corona di gloria e quella gioia che rimane in eterno. Se cercate l’interesse di Gesù Cristo e avete a cuore il bene degli altri, perfino Dio stesso sarà vostro! Cristo sarà vostro! Egli si donerà a voi in un patto eterno e tutte le cose vi apparterranno! Gli uomini egoisti cercano di accaparrarsi tutto e di possedere tutto; tuttavia, invece di possedere perderanno tutto, e saranno scacciati dal mondo nudi, in eterna miseria e povertà. Ma se avete uno spirito diverso dal loro, possederete tutte le cose: «Tutto vi appartiene. Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro!» (I Corinzi 3:21-22); «come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!» (II Corinzi 6:10).
Terzo. Considerate come per la vostra professione di fede siete uniti a Cristo e ai vostri fratelli. Siete un solo corpo: Cristo e i cristiani sono così uniti da formare un unico corpo, Cristo il capo e i cristiani le membra: «Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro» (Romani 12:4-5); «Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito» (I Corinzi 12:12-13), e al versetto 20: «Ci son dunque molte membra, ma c’è un unico corpo». Non è disdicevole quindi per i cristiani essere egoisti, o interessati esclusivamente ai propri interessi privati? Lo vediamo nel corpo umano, la mano è pronta a servire la testa e tutte le membra sono pronte a servirsi l’un l’altra. La mano opera solo per se stessa? Non vengono le mani continuamente impiegate tanto per le altre parti del corpo quanto per se stesse? Non è per questo che le mani lavorano giorno dopo giorno per il bene comune di tutto il corpo? Le stesse osservazioni si potrebbero fare per l’orecchio, per l’occhio, per il piede. Essi sono impiegati non per se stessi, per il loro benessere limitato e parziale, ma per il comune bene del corpo. Se il capo è disonorato, non cercano le membra del corpo di rimuovere immediatamente quel disonore affinché il capo torni ad essere onorato? E se una delle membra del corpo è ferita, langue ed è dolente, non sono tutte le membra del corpo impiegate a soccorrere quel membro malato? Non sono gli occhi impiegati a curarlo, le orecchie a dare ascolto alle indicazioni dei medici, il piede ad andare dove si spera ci sia conforto, le mani impegnate per recare tale conforto? «Perché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui» (I Corinzi 12:25-26).
Facciamo in modo che queste riflessioni ci inducano ad essere meno egoisti di quanto non siamo e ad avvicinarci all’eccellente spirito dell’amore cristiano. L’egoismo è un principio a noi naturale, anzi tutta la corruzione della natura umana consiste essenzialmente nell’egoismo. Considerando la nostra professione di cristiani, siamo troppo egoisti. Ognuno è pronto a prendersi cura di sé e solo di sé! Quanto c’è di questo spirito e quanto poco di quello spirito eccellente, nobile e generoso del quale abbiamo sentito parlare! Lo spirito egoista può in parte dipendere dalle nostre nozioni troppo limitate del cristianesimo o dal non aver appreso Cristo come avremmo dovuto. Su questa terra siamo addestrati, di generazione in generazione, ad uno spirito e a una pratica gretta ed egoista; nonostante tutte le nostre professioni di fede e sebbene si compiano molte cose buone e degne di lode, tuttavia, senza dubbio, ci avviciniamo molto poco a ciò che è richiesto ai cristiani nel Nuovo Testamento.

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Jonathan Edwards
Jonathan Edwards

Jonathan Edwards (1703-1758) è stato un teologo americano. Laureatosi a Yale, iniziò a curare la chiesa di Northampton, in Massachusetts, dopo due anni di apprendistato con suo nonno.
Nel frattempo, aveva sposato Sarah ed insieme ebbero 11 figli.

Nel 1734, in seguito ad una sua predica sulla giustificazione per grazia, ci fu un risveglio spirituale nella sua chiesa e iniziarono esserci decine di conversioni a settimana. Come notò un osservatore, tutto questo avvenne senza alcuna tecnica teatrale, in quanto lui gesticolava e addirittura si muoveva pochissimo, ma convinceva con il peso delle sue argomentazioni e l'intensità del suo sentimento.

Edwards tenne un accurato resoconto delle sue osservazioni annotandole in A Faithful Narrative of the Surprising Work of God, mentre i suoi sermoni più efficaci furono pubblicati come Justification by Faith, largamente diffusi in America e in Inghilterra, opere che contribuirono a supportare il grande risveglio degli anni successivi (1739–1741), durante i quali migliaia di persone furono compunte dalle predicazioni dell'inglese George Whitefield.
Durante il grande risveglio, Edwards predicò il sermone forse più famoso della storia d'America, Sinners in the Hands of an Angry God (disponibile in italiano come Peccatori nelle mani di un Dio adirato).

Nonostante il suo stile non emotivo, Edwards era convinto che la vera religione fosse radicata nei sentimenti e non nella ragione e per questo difese gli slanci emotivi del grande risveglio, soprattutto nel suo Treatise on Religious Affections (disponibile in italiano con il titolo I sentimenti religiosi), un'opera di discernimento spirituale e psicologico, e in Some Thoughts Concerning the Present Revival of Religion in New England (nel quale incluse un resoconto del risveglio spirituale di sua moglie).

In un'epoca in cui nelle chiese l'unica musica era il canto dei Salmi, Edwards incoraggiò il canto di nuovi inni cristiani.
Siccome egli dava molta importanza alla conversione personale, insistette che solo quanti avevano fatto professione di fede dando una descrizione della loro esperienza di conversione potevano prendere parte alla comunione. Questo rappresentava uno stravolgimento nella politica dei suoi predecessori e gli rese ostile la congregazione che lo espulse dopo 21 anni di pastorato.

Negli anni successivi fu pastore missionario presso i nativi Americani a Stockbridge, in Massachusetts, e scrisse, tra gli altri trattati teologici, Freedom of the Will, una difesa della sovranità divina nel quale affermava che l'uomo è libero di fare ciò che vuole, ma non vorrà mai fare la volontà di Dio senza una visione della sua natura divina impartita dallo Spirito.

Il College of New Jersey (che successivamente divenne Princeton) lo chiamò come preside nel 1758, ma subito dopo il suo arrivo Edwards morì all'età di 55 anni.
Per tutta la sua vita conservò l'abitudine di alzarsi alle 4 del mattino e studiare 13 ore. Per l'eredità lasciata è considerato uno dei più grandi teologi americani.


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