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Introduzione
Negli ultimi anni si è manifestato un forte interesse per i temi relativi alla spiritualità. Il crescente scetticismo sui valori materiali ha spinto a una maggiore attenzione alla dimensione spirituale della vita, mentre molte sono le testimonianze che indicano come la spiritualità personale abbia un effetto positivo e terapeutico, mettendone in luce l’importanza per l’autorealizzazione e il benessere degli esseri umani. Accanto al generale e graduale declino, nella cultura occidentale, del fascino esercitato dalle forme istituzionalizzate della religione, è cresciuto anche l’interesse popolare per la spiritualità, compresa la spiritualità cristiana nelle sue varie forme. Quest’opera si propone di servire da introduzione a queste forme di spiritualità tipicamente cristiane.
In questo breve capitolo introduttivo ci soffermiamo su ciò che s’intende per “spiritualità” in generale, per passare poi alla “spiritualità cristiana” in senso specifico. Chiariremo dunque alcuni dei termini usati in questo campo per poterci successivamente impegnare in un esame più ravvicinato. Per sottolineare il carattere introduttivo di questo capitolo, adotteremo un approccio tipico dei manuali che ha il merito di incoraggiare lo studio del materiale; un approccio di cui faremo più ampio uso nel capitolo finale.
1.1 Definire la “spiritualità”
Il termine “spiritualità” proviene dalla parola ebraica “ruach”, un termine ricco, tradotto solitamente con “spirito”, ma che comprende un’ampia gamma di altri significati; “spirito”, certamente, ma anche “respiro” e “vento”. Parlare di “spirito” significa parlare di ciò che dà vita e che anima qualcuno. La “spiritualità” ha attinenza dunque con la vita di fede, con ciò che la muove e la motiva e con ciò che le persone trovano utile per sostenerla e svilupparla. Riguarda ciò che anima la vita dei credenti e li spinge ad approfondire e a perfezionare ciò che concretamente è appena iniziato.
La spiritualità è il mettere in atto nella vita reale la fede religiosa di una persona, cioè quello che una persona fa di ciò in cui crede. Non riguarda soltanto le idee, benché le nozioni di base della fede cristiana siano comunque importanti, ma il modo in cui la vita cristiana viene concepita e vissuta. La spiritualità riguarda la piena comprensione della realtà di Dio. Riassumendo, la spiritualità cristiana è riflessione sul compito complessivo del cristiano per raggiungere e mantenere un rapporto con Dio, che comprende il culto pubblico e la meditazione privata e le loro conseguenze nella vita cristiana concreta.
Il termine “spiritualità” nel recente passato è stato largamente accolto come il modo migliore per riferirsi alle pratiche di una religione e, in particolare, alle singole esperienze interiori dei credenti. La spiritualità viene spesso contrapposta a un approccio puramente accademico, oggettivo o distaccato, che si limiti a riconoscere e descrivere le convinzioni e le pratiche centrali di una data religione, senza prendere in considerazione il modo in cui i suoi singoli aderenti vivano e pratichino la loro fede. Il termine non si presta a una definizione precisa, perché viene usato in una molteplicità di significati, e perché è oggetto di controversie all’interno della comunità degli studiosi in via di specializzazione nel campo dei modi corretti in cui il termine dovrebbe essere utilizzato. La nostra definizione di “spiritualità” vuole aiutare ad avere un’idea ampia della sua natura e portata, e non deve essere vista come l’unica definizione possibile.
1.2 Definire la “spiritualità cristiana”
Dopo la “spiritualità” in genere passiamo a considerare l’espressione specifica di “spiritualità cristiana” che è già stata utilizzata implicitamente. Per il cristianesimo l’oggetto della spiritualità è l’incontro vissuto con Gesù Cristo. L’espressione “spiritualità cristiana” si riferisce al modo in cui viene intesa la vita cristiana, e alle pratiche specificamente religiose che sono state elaborate per alimentare e sostenere il rapporto con Cristo. La spiritualità cristiana può essere dunque intesa come il modo in cui i cristiani, singolarmente o in gruppo, si propongono di approfondire la loro esperienza di Dio, o di “sperimentare la presenza di Dio”, per usare un’espressione associata in modo particolare a Frate Lorenzo (ca 1614-91).
Può essere utile pensare il cristianesimo come costituito da tre elementi principali.
1. Un insieme di convinzioni. Nonostante ci siano differenze tra cristiani su un certo numero di questioni dottrinali, non è difficile individuare dietro alle tante diversità un nucleo di convinzioni comuni, esposte nel Credo cristiano, accettato come professione di fede da tutte le principali chiese cristiane. Tali convinzioni hanno conseguenze importanti sul modo di vivere dei cristiani.
2. Un insieme di valori. Il cristianesimo è una fede fortemente etica. Questo non significa che esso sia costituito da un insieme di regole e prescrizioni alle quali i cristiani si conformino meccanicamente. Esiste invece un insieme di valori che nascono dalla realtà della redenzione, come l’amore per gli altri e la disponibilità al sacrificio. Tali valori sono fortemente legati alla persona di Gesù di Nazareth, che per i cristiani è il fondamento della vita nella fede e l’esempio supremo di una vita vissuta in stretta comunione con Dio. Una vita animata dallo spirito dovrà perciò riflettere e incarnare i valori cristiani.
3. Uno stile di vita. Essere cristiani non è solo questione di convinzioni e valori ma di vita reale, che esprima e realizzi quelle convinzioni e valori e le incarni in un preciso stile di vita. La vita quotidiana dei credenti nei suoi vari aspetti è influenzata dalla fede. Com’è ovvio, ciò si esprime nel frequentare una chiesa o altre forme di comunità cristiane che si riuniscono per la preghiera e di culto. Le varietà di espressione del cristianesimo sono tantissime e rispecchiano le differenze di clima, geografia, cultura, tradizione e teologia. Una parte di questo stile di vita è diventata nota come “spiritualità” e costituisce l’argomento del libro.
Sarà qui utile esaminare alcune definizioni operative proposte da diversi autorevoli teologi. Sarà anche utile leggere due volte ogni definizione, riflettendo sui punti principali sottolineati da ciascun autore, mettendo poi per iscritto i punti che vi sembrano più importanti nel definire la “spiritualità”. Potrete non condividere alcuni di questi punti, ma vi saranno comunque utili per chiarire la natura generale della spiritualità. Chiedetevi quale punto particolare sia enfatizzato da ciascun autore e come questo aiuti a maturare una comprensione della natura della spiritualità.
Ora prendete in esame ciascuno degli enunciati riportati qui sotto, ognuno dei quali indica un aspetto particolare e importante della spiritualità. In che modo essi vi aiutano a comprendere che cos’è la spiritualità e a chiarire la distinzione tra spiritualità e dottrina cristiana?
• Conoscere Dio, non solo conoscere a proposito di Dio.
• Sperimentare Dio pienamente.
• Una trasformazione dell’esistenza sulla base della fede cristiana.
• Raggiungere un’autenticità cristiana nella vita e nel pensiero.
Vi sarà utile confrontare queste definizioni con quelle citate sopra.
Soffermatevi ora su queste parole di un professore di teologia, protestante, americano, che spiega perché abbia scelto di passare tre mesi in un monastero trappista sulle Montagne Rocciose. Si considerava un ateo, uno che sapeva ciò che i teologi dicono, senza però avere nessuna esperienza personale di Dio. Leggete queste parole per poi soffermarvi sulle domande che seguono.
Sono un teologo: passo la mia vita a leggere, insegnare, pensare e scrivere a proposito di Dio; ma devo essere sincero: non ho mai sperimentato Dio, non in modo reale. La pietà m’imbarazza: mi trovo a disagio tra quelli che prosperano con i loro discorsi su Dio; non ho alcuna idea di che cosa si possa intendere con “presenza di Dio”.
Tornate ai punti indicati sopra. Quali di essi illustrano meglio queste affermazioni e come si pongono in relazione con le definizioni di spiritualità che abbiamo proposto?
Osservate che queste affermazioni partono dal presupposto che si può essere un teologo senza avere alcuna esperienza di Dio. Cosa ci dice questo sul rapporto tra teologia e spiritualità? E sul posto della spiritualità nella formazione teologica?
In seguito vedremo questi problemi più da vicino: in questa prima fase è sufficiente esserne consapevoli. Chiariamo ora meglio il vocabolario relativo alla spiritualità, prima di esaminarlo nel dettaglio nei capitoli successivi.
1.3 Definizione dei termini: misticismo e spiritualità
Esaminiamo anzitutto un termine largamente usato in passato per indicare la spiritualità e cioè “misticismo”; un termine ancora largamente utilizzato, specialmente in ambienti cattolici e ortodossi, anche se gradualmente sostituito da “spiritualità”. In questa sezione analizzeremo il modo in cui il termine “misticismo” entrò nell’uso in questo contesto e le ragioni per cui è stato gradualmente abbandonato nell’uso generale.
L’uso di “mistico” per riferirsi alla dimensione spirituale della teologia (opposta a una dimensione puramente accademica) può essere fatto risalire al trattato Della teologia mistica, scritto all’inizio del VI secolo da Dionigi l’Areopagita. I termini moderni, “spiritualità” e “misticismo” risalgono alla Francia del XVII secolo, in particolare agli ambienti alquanto elitari dei salotti letterari legati al personaggio di Madame de Guyon. I due termini francesi “spiritualité” e “mysticisme” erano entrambi usati per indicare la diretta conoscenza interiore del divino o del soprannaturale ed evidentemente a quel tempo venivano considerati più o meno sinonimi. Da allora entrambi i termini sono rimasti in uso.
è sorta una certa confusione riguardante il loro significato preciso; mentre per alcuni i due termini sono due modi diversi di parlare di un autentico rapporto personale con Dio, per altri il misticismo è considerato un genere di spiritualità particolare, che pone l’accento sulla diretta esperienza personale di Dio. Quanto a noi, eviteremo il termine “misticismo”, che ci sembra ormai inutile, anzi motivo di confusione, e parleremo piuttosto di “spiritualità”, preferendolo ad altri termini che si incontrano negli scritti più antichi, come “teologia mistica”, “teologia spirituale” e, appunto, “misticismo”.
Il termine “misticismo” (e quelli correlati, come “mistico”) ha significati diversi per persone diverse e questo può ingenerare confusione, specialmente a proposito della spiritualità cristiana. I tre significati della parola sono questi:
1. Il misticismo è un approccio alla fede cristiana che pone l’accento particolarmente sull’aspetto relazionale, spirituale o esperienziale della fede, in contrasto con gli aspetti cognitivi o intellettuali, che sono tradizionalmente assegnati alla teologia. Il riformatore protestante Giovanni Calvino (1509-64), ben noto per la sua precisione teologica, non ha avuto difficoltà a usare il termine “unio mystica” (“unione mistica”) per riferirsi al rapporto tra Cristo e il singolo credente, ma lo comprende come un’allusione all’essere uniti con Cristo, condividendone la vita e i benefici. Alcuni oppongono quindi la “teologia mistica” (che tratta degli aspetti esistenziali o relazionali del pensiero cristiano) a quella “dogmatica”, che pone al centro le idee distintive della fede cristiana. Di conseguenza un “mistico”, o un “autore mistico”, è un cristiano che si occupa in primo luogo dell’esperienza di Dio e della trasformazione della coscienza religiosa. Nel presente studio il termine “autore spirituale” sta per “mistico”, mentre “spiritualità” indica la “teologia mistica” nel senso indicato prima.
2. Nel linguaggio comune il misticismo è un approccio a problemi spirituali che, in contesti religiosi e non religiosi, sottolinea l’esperienza interiore e relega pertanto a un ruolo marginale o respinge l’uso di un approccio cognitivo alla spiritualità. In questo senso il misticismo indica un approccio potenzialmente irrazionale e anti-intellettuale all’esperienza, dove la contraddizione viene spesso considerata una virtù. “Misticismo” in questo senso significherebbe “interessamento a insegnamenti esoterici, alla crescita della coscienza o a esperienze sensoriali esotiche”.
3. Il termine misticismo viene usato per riferirsi a specifiche scuole di spiritualità cristiana, come i mistici inglesi del XIV secolo (come Richard Rolle e Walter Hilton) e i mistici tedeschi del tardo Medioevo (come Mastro Eckhart e Johannes Tauler [Giovanni Taulero]). Benché quest’uso si sia diffuso, esso è in qualche modo fuorviante: in primo luogo perché tali autori non usano quel termine per riferirsi a loro stessi; in secondo luogo perché esso implica che la loro visione sia definita dal “misticismo” nel secondo senso indicato prima, e questo significa travisarne le preoccupazioni e gli accenti. Data la diffusione dell’uso del termine in relazione a queste scuole medioevali di spiritualità, è probabilmente impossibile invertire la tendenza; se ne devono però tenere ben presenti gli inconvenienti.
Quando si parla di “misticismo” per indicare quella che oggi conosciamo come “spiritualità”, ci si scontra col fatto che il primo termine porta con sé tante associazioni inutili e accenti fuorvianti da renderne problematico l’uso. Per questa ragione, nel discorso cristiano sull’argomento, è meglio parlare oggi di “spiritualità” e di “autore spirituale”. Il presente lavoro adotta e appoggia tale convenzione.
Questa breve introduzione alla spiritualità cristiana ha sollevato il problema dell’esistenza di vari tipi di spiritualità che è possibile individuare. Nel capitolo che segue esamineremo più dettagliatamente tali diversità.
Una semplice definizione di “spiritualità”
La spiritualità è la ricerca di una vita religiosa compiuta e autentica, che coinvolge le concezioni essenziali di una data religione mettendole in relazione con l’intera esperienza di una vita vissuta sulle basi di quella religione e all’interno della sua prospettiva.
Una semplice definizione di “spiritualità cristiana”
La spiritualità è la ricerca di una vita cristiana compiuta e autentica, che coinvolge le concezioni essenziali del cristianesimo, mettendole in relazione con l’intera esperienza di una vita vissuta sulle basi della fede cristiana e all’interno della sua prospettiva.
Alcune definizioni operative di “spiritualità”
La spiritualità è un’esperienza vissuta, uno sforzo di applicare gli elementi rilevanti del deposito della fede cristiana per guidare uomini e donne verso la loro crescita spirituale e lo sviluppo progressivo della loro persona, che sbocchi in una visione e in una gioia proporzionatamente maggiori.
George Ganss, Introduzione a Ignatius of Loyola, p. 61.
La spiritualità ha a che fare con la nostra esperienza di Dio e con la trasformazione della nostra coscienza e della nostra vita come conseguenza di tale esperienza.
Richard O’Brien, Catholicism, p. 1058.
La spiritualità si riferisce a un’esperienza vissuta e a una vita disciplinata di preghiera e di azione, ma non può essere intesa separatamente dalle convinzioni teologiche che stanno alla base delle forme di vita nelle quali si manifesta una fede cristiana autentica.
Don E. Saliers, Spirituality, p. 460.
[La spiritualità] è un termine utile per descrivere come ci appropriamo, individualmente e collettivamente, delle tradizionali convinzioni cristiane su Dio, sull’umanità e sul mondo, e come le esprimiamo nelle nostre attitudini più elementari, nel nostro stile di vita e nelle nostre attività.
Philip Sheldrake, Images of Holiness, p. 2.
Qualunque cosa si possa affermare a proposito di una spiritualità che abbia un precedente e uno stile biblico, la maturità spirituale o la pienezza spirituale coinvolge necessariamente la persona nella sua interezza – corpo, mente e anima, ambiente, relazioni – congiuntamente a tutta la creazione, in ogni tempo. La spiritualità biblica coinvolge la persona intera nella totalità della sua esistenza nel mondo, non un suo frammento, un resto o un episodio.
William Stringfellow, The Politics of Spirituality, p. 22.
[La spiritualità] è la caratteristica autotrascendente di ogni persona umana e tutto ciò che vi attiene, inclusi, cosa estremamente importante, i modi in cui tale caratteristica, forse infinitamente duttile, viene realizzata concretamente nelle situazioni di ogni giorno.
Richard Woods, Christian Spirituality, p. 9.
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Tipi di spiritualità cristiana
Parlando di “spiritualità cristiana” si dà l’impressione di una realtà unica e ben definita, mentre occorre ricordare che il cristianesimo è una religione complessa e diversificata. Pur con un ampio accordo su un nucleo di dottrine e convinzioni, riassunte in testi largamente accettati come il Credo apostolico, sussistono divergenze significative sull’interpretazione di alcune dottrine fondamentali, in particolare quelle relative alle forme, all’ordinamento e alla vita della chiesa, oltre alle differenti espressioni e alle diverse preferenze spirituali prodotte dalle sensibilità individuali. Poiché dunque nella storia cristiana incontriamo forme di spiritualità diverse, non sarà inutile conoscerle e comprenderle.
Di centrale importanza sono le convinzioni o dottrine professate dal singolo o da una comunità, dal momento che la teologia incide profondamente sulla spiritualità. è una questione così centrale che vi dedicheremo i capitoli 3 e 4. Ma per definire la spiritualità occorre tener presenti anche questi tre importanti fattori.
1. I problemi personali. I singoli cristiani provengono da contesti diversi, hanno personalità diverse, sono sociologicamente collocati in modo diverso e hanno differenti approcci ai molteplici temi della fede cristiana. La personalità dei singoli svolge quindi un ruolo centrale nella spiritualità.
2. Le considerazioni denominazionali. Le diverse comunità o confessioni cristiane hanno comprensioni diverse della natura della vita cristiana, spesso in relazione ad accentuazioni o a dottrine che le distinguono da altri gruppi cristiani. è quindi importante conoscere almeno a grandi linee i vari tipi di cristianesimo presenti nel mondo moderno.
3. Gli atteggiamenti verso il mondo, la cultura e la storia. Alcune forme di spiritualità sottolineano con forza la rinuncia al mondo, persuase che l’autenticità cristiana richieda il distacco dal mondo del quotidiano; altre affermano che un cristianesimo autentico può essere vissuto soltanto impegnandosi nel mondo. Qui si deve sapere che le distinzioni sono trasversali rispetto ai confini denominazionali: vi sono, per esempio, forme di protestantesimo che sottolineano l’importanza del mondo, mentre altre tendono a rinunciarvi, specialmente per quanto attiene al potere e all’economia. Essere protestante (o appartenere a una qualsiasi altra denominazione) non implica un atteggiamento automaticamente positivo o negativo verso il mondo.
Il presente capitolo prende in esame questi tre fattori generali, dopodiché ci dedicheremo a un esame più approfondito dei fondamenti teologici della spiritualità in tutta la loro complessità e importanza.
2.1 Spiritualità, teologia e personalità
La spiritualità cristiana può essere intesa come un tentativo di mettere in contatto e in relazione un insieme di convinzioni teologiche con un insieme di fattori personali e istituzionali specifici. Non intendo con questo affermare la priorità della teologia o quella dell’esperienza, dal momento che alcuni partono dalla teologia per metterla in relazione con la propria esperienza personale, mentre altri sentono che la loro esperienza solleva domande e problemi che devono essere inquadrati in una riflessione teologica. Concettualmente questo processo di correlazione è centrale, perché la spiritualità non può essere del tutto dedotta da presupposti teologici, ma neppure dall’esperienza. Essa nasce invece da una sintesi creativa e dinamica tra fede e vita, che si forgia come in un crogiolo nell’aspirazione a una fede cristiana vissuta in modo autentico, responsabile, efficace e completo.
Forse si potrebbe indagare questo processo utilizzando il concetto di “fusione degli orizzonti”, proposto dall’illustre filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer (1900-2002) a proposito dell’interpretazione e dell’applicazione dei testi. Gadamer afferma che si devono correlare l’“orizzonte” del testo e quello della situazione individuale. Allo stesso modo, l’“orizzonte” della teologia cristiana dev’essere messo in relazione con quello dell’esperienza individuale. Sarà quindi chiaro che questo dà vita a una grande varietà di forme di “spiritualità”, che riflettono da un lato assunti teologici differenti (pur in palese relazione fra loro), e rispecchiano dall’altro la grande varietà di situazioni personali e istituzionali presenti nella storia cristiana. Illustreremo questo punto esaminando le diverse variabili di tale processo di correlazione dei suoi diversi aspetti.
2.1.1 Le variabili teologiche
Il termine “teologia cristiana” si riferisce a un insieme di idee fondate in modo riconoscibile nella tradizione cristiana, che hanno origine nella Bibbia e che si sono conservate e sviluppate nella comunità di fede in un processo di riflessione, interpretazione e trasmissione. Sebbene alcuni temi si ritrovino in tutte le teologie identificabili come cristiane (come l’idea che Gesù Cristo sia l’autorivelazione finale di Dio), vi sono sensibili variazioni tra i diversi tipi di teologia cristiana. Alcuni esempi lo possono illustrare.
1. Si constaterà che nelle differenti tradizioni cristiane vi sono atteggiamenti notevolmente diversi nei riguardi di Maria, “madre di Dio”. Semplificando, le tradizioni cattolica e ortodossa pongono un forte accento sul suo ruolo, mentre non è così per i protestanti. Di conseguenza è evidente che nel protestantesimo è praticamente assente qualsiasi forma di devozione mariana.
2. Si constaterà anche che esiste un ampio arco di opinioni diverse sulla natura e sul significato dei sacramenti. Per alcuni i sacramenti sono i segni della grazia di Dio, utili promemoria di qualcosa di cui si è già consapevoli. Per altri essi sono i segni della presenza reale di Dio nel mondo e una affermazione efficace della sua presenza nell’ordine creato. Ancora una volta, questa diversità ha potenziali conseguenze per la spiritualità: non soltanto per quanto riguarda il ruolo dei sacramenti nella devozione personale, ma anche per il modo di comprendere la presenza attiva di Dio nel mondo.
3. Una delle caratteristiche peculiari nella storia cristiana è che i diversi gruppi e individui, pur condividendo un comune fondamento teologico, pongono l’accento su aspetti diversi del comune patrimonio teologico. Alcuni sottolineano l’opera di salvezza di Cristo, mentre altri mettono piuttosto al centro la dottrina dell’incarnazione (ne parleremo più ampiamente in seguito, pp. 74 ss.). Si possono condividere molte premesse teologiche dando tuttavia diverse valutazioni e priorità. Vedremo in seguito altri aspetti di tale interazione tra teologia e spiritualità.
2.1.2 Le variabili storiche
Pur evitando in quest’opera quell’approccio puramente storico, tipico di molte introduzioni, riteniamo che la storia sia importante per intendere la spiritualità, in quanto essa definisce la collocazione personale di ogni soggetto e le opzioni a lui disponibili. Basti pensare, per chiarire questo punto, che alla maggior parte dei cristiani occidentali sembra ovvio che la Bibbia venga letta in un gruppo di studio, o in una meditazione personale, o seguendone la lettura nel culto, in chiesa. Ma questo dipende da due specifiche circostanze storiche, e cioè che vi siano:
1. un’ampia disponibilità di Bibbie;
2. gente che sappia leggere.
Ma nell’Europa occidentale di mille anni fa nessuna di queste due condizioni si verificava, semplicemente perché non c’era un’ampia disponibilità di Bibbie (le tecniche della stampa erano ancora lontane di secoli), e perché l’alfabetizzazione era a un livello molto basso. Non stupirà quindi constatare che una spiritualità biblica fosse largamente diffusa nei monasteri, dove i copisti fornivano i testi dei libri biblici (spesso splendidamente illustrati) e dove il livello di alfabetizzazione era notevolmente superiore a quello della società del tempo.
Per capire l’importanza della collocazione storica di un autore è necessario conoscerla. La storia definisce gli orizzonti di ciascuno, in quanto ne delimita le risorse disponibili. Questo libro non mette al centro la storia della spiritualità, ma per proseguire in questo studio è altamente consigliabile prenderla in considerazione. è essenziale comprendere che le situazioni storiche dell’autore e del lettore svolgono un ruolo primario nel definire i valori spirituali di un testo. Torneremo su questo punto nel capitolo finale, quando vedremo di comprendere come studiare i testi classici del passato.
2.1.3 Le variabili personali
Come già osservato, in rapporto alla spiritualità sono importanti anche le situazioni personali degli individui o dei gruppi. Tra i fattori che influenzano la tipologia di spiritualità che ognuno ritiene più utile ve ne sono di estetici, psicologici e sociologici. Eccone alcuni esempi.
1. Non c’è accordo su ciò che costituisce la bellezza nell’arte, nell’architettura, nella musica e nella parola parlata o scritta. Sono molti i cristiani convinti che la risposta più appropriata alla bellezza di Dio sia quella di adorarlo e lodarlo usando un linguaggio, una musica e un’architettura che siano il più possibile “belli”, anche se poi non vi è accordo su quali siano le forme più appropriate. Così, per alcuni la spiritualità è favorita dall’architettura barocca e dalla musica di ispirazione cristiana, mentre altri preferiscono la semplicità di un culto all’aperto accompagnato da semplici melodie popolari. Il gusto personale riveste un ruolo importante e non può essere predeterminato da considerazioni teologiche.
2. Alcuni individui hanno un modo di pensare “verbale” e preferiscono pensare Dio in modo concettuale. Altri (forse la maggioranza) ritengono che le immagini o le rappresentazioni mentali costituiscano per loro un supporto necessario del pensiero e della meditazione. Per i primi la spiritualità viene sostenuta al meglio da un buon sermone o da un buon libro, mentre per gli altri le buone immagini sono molto più importanti. Così le immagini miniate dei “Libri delle Ore”, o le opere d’arte religiosa esposte nelle chiese, non rispondono soltanto a una preoccupazione estetica, ma alla necessità evidente di molti di avere realmente bisogno di immagini o di “aiuti visivi” per la meditazione e la riflessione. Ancora una volta, è chiaro che un problema come questo, più psicologico che teologico, può potenzialmente avere un forte impatto nel campo della spiritualità.
3. Le situazioni personali in cui ci si può trovare sono estremamente varie. Diverse sono, per esempio, le situazioni di un monaco medievale in Francia, di una vedova della classe superiore nel XVIII secolo in Inghilterra o di un ricco finanziere di New York negli anni Ottanta del XX secolo. Ciascuna situazione ha limiti specifici e offre opportunità diverse per praticare la fede cristiana.
Oltre a queste considerazioni estetiche, o di altro tipo, vanno presi in considerazione i problemi del genere, della classe e della razza, che chiaramente si intrecciano, rendendo difficile separarli e misurarne l’importanza caso per caso. Di seguito ecco alcuni punti da tenere presenti.
1. Le questioni riguardanti il genere sono importanti, sebbene si continui a discutere sulla natura e portata delle differenze di genere. In certi casi tali differenze si rispecchiano nel linguaggio usato per pensare e per riferirsi a Dio: per esempio, Giuliana di Norwich (ca 1342 - dopo il 1416) quando parla di Cristo usa un linguaggio largamente ispirato alla maternità. In altri casi si riflettono in concezioni del peccato diverse, che si ritiene riflettano generi diversi: per esempio il peccato maschile per eccellenza sarebbe l’orgoglio e il suo equivalente femminile la scarsa stima di sé. Negli anni recenti uno dei risultati del movimento femminista è stato la riscoperta di molte figure spirituali femminili, in particolare quelle del Medioevo.
2. La razza costituisce un problema, soprattutto in contesti multiculturali come il Nord America, dove razza e identità personale sono spesso strettamente connesse. Nelle chiese nere di santità si sono manifestate forme di spiritualità nettamente distinte da quelle del resto del protestantesimo. Analogamente, avviene che i cristiani dell’Asia, e in particolare coloro che sono originari di Cina e Corea, inseriscano nella loro spiritualità elementi delle loro culture indigene.
3. Vanno tenute presenti le classi sociali, se non altro perché la classe sociale è spesso legata a questioni di gusto e di alfabetizzazione. Le spiritualità fortemente populiste adottano spesso i modelli culturali dei gruppi ai quali si rivolgono e questi si riflettono nelle forme musicali e letterarie, usate come mezzi per favorire la contemplazione, così come nelle forme artistiche usate per stimolare la meditazione e la riflessione. Il revivalismo americano del XIX secolo ha utilizzato ampiamente nel culto le tecniche legate al teatro popolare.
Da questa sia pur breve analisi apparirà evidente che le differenze dei temperamenti personali e dei contesti sociali hanno inevitabili conseguenze per la spiritualità. Anche là dove tutti condividessero le medesime premesse e accentuazioni teologiche, i diversi temperamenti personali e i differenti contesti sociali porterebbero comunque a forme molteplici di spiritualità, al punto che è possibile affermare fondatamente che esistono tante spiritualità quanti sono i cristiani, nelle quali ciascuno risponde alla fede cristiana secondo la propria situazione, specifica e unica.
è perciò evidente che vi sono ottime ragioni per parlare tanto di “spiritualità cristiana” quanto di “spiritualità cristiane”. Del resto la stessa situazione si riscontra nella teologia cristiana, dove un nucleo condiviso di convinzioni fondamentali non impedisce una grande varietà di “teologie” particolari. Quest’opera preferisce parlare di “spiritualità cristiana” dato che, in ultima analisi, tutte le forme di spiritualità derivano dalla vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Ma il singolare non vuole in alcun modo dire che la spiritualità cristiana sia monolitica.
2.2 Considerazioni denominazionali
Abbiamo prima definito la spiritualità cristiana in termini ampi per individuare alcuni suoi punti centrali, senza entrare nel dettaglio delle diverse interpretazioni possibili. La definizione operativa data era quella del riquadro qui sotto.
Questa semplice definizione consente di distinguere una “spiritualità” in generale dalle specifiche forme di spiritualità associate al cristianesimo, evocando tuttavia un altro tema fondamentale: esistono diversi tipi di cristianesimo, cui corrispondono tipi diversi di spiritualità. Non è difficile distinguere una “spiritualità cattolica” da una “ortodossa”, “luterana”, “evangelicale” o “carismatica”. Sono tutti tipi di spiritualità cristiana e le loro differenze corrispondono in parte alle diversità presenti nei diversi tipi di cristianesimo sia nel passato, sia nel presente. Sarà dunque necessario esaminarle, prendendo nota delle loro caratteristiche peculiari e delle differenze che intercorrono fra esse, fra chiesa e chiesa, fra denominazione e denominazione. Vedremo poi alcune differenze denominazionali interne al cristianesimo e analizzeremo la loro potenziale rilevanza per la spiritualità.
Un punto di particolare importanza è quello del linguaggio utilizzato per riferirsi all’ambito generale della spiritualità. Alla fine del XVII secolo, per esempio, in ambito cattolico è stata elaborata una raffinata terminologia che distingueva una “teologia mistica” da una “teologia ascetica”, senza che vi fosse alcuna corrispondenza in ambito protestante, dove gli antichi scrittori avevano la tendenza a utilizzare i termini “pietà” o “religiosità” per riferirsi a quello che oggi intendiamo per “spiritualità”. In effetti, in ambito protestante il termine “spiritualità” è entrato in uso solo nella seconda metà del XX secolo. Ma col tempo vi è stata una qualche convergenza terminologica che ha traversato le frontiere denominazionali, così che ora la terminologia di un dato autore non ne tradisce necessariamente la provenienza confessionale.
Entro i nostri limiti di spazio indicheremo alcuni dei modi in cui le diverse impostazioni confessionali hanno pesato sulla spiritualità, offrendo tuttavia poco più che un orientamento generico e non un elenco esaustivo o un’analisi completa. Sono comunque differenze non così rigide come sarebbe stato un secolo fa, segno evidente, nel cristianesimo occidentale, di un processo di erosione delle antiche differenziazioni confessionali: erosione che nasce in parte dai maggiori contatti interconfessionali e in parte dal comune compito di difendere i fondamenti cristiani da una società sempre più secolarizzata. Nella bibliografia suggeriamo altre letture che permettono, a chi lo desidera, di approfondire i temi relativi alle diversità confessionali.
Si tenga anche presente che scrivendo non è davvero possibile render conto compiutamente delle diverse caratteristiche di ogni stile o modo di essere cristiani. Il lettore che volesse comprendere realmente l’anglicanesimo, l’ortodossia, il cattolicesimo o qualsiasi altra forma di cristianesimo dovrà sperimentarne direttamente il culto e la vita di preghiera e conoscere di persona coloro che vivono quella particolare forma di cristianesimo. Una visione dall’esterno ha un valore limitato; per comprendere una qualsiasi forma di cristianesimo occorre esserne coinvolti.
2.2.1 Il cattolicesimo
Il cattolicesimo (o, come ancora alcuni preferiscono dire, il cattolicesimo “romano”) è la forma di cristianesimo attualmente più diffusa nel mondo. Ha una presenza particolarmente forte nell’Europa occidentale e centrale e in alcune nazioni europee, fra cui l’Irlanda, l’Italia e la Polonia, il cui senso d’identità nazionale è strettamente legato alla chiesa cattolica. Quale risultato dell’espansione coloniale della Spagna e del Portogallo nel XVI secolo, nonché del Belgio e della Francia nel XIX, esistono forti comunità cattoliche nel Nord e nel Sud America, nell’Africa meridionale e nelle Filippine. Anche in alcune parti dell’India, specialmente nella regione di Goa, esiste una forte presenza cattolica e l’ex colonia portoghese di Timor est, annessa dall’Indonesia negli anni Ottanta, rimane una roccaforte del cattolicesimo in una regione del sudest asiatico in larga misura islamica.
Per la sua complessità non è facile riassumere in breve le caratteristiche specifiche del cattolicesimo. I punti qui sotto indicati sono comunque importanti per la sua spiritualità.
• La chiesa è un’istituzione divina visibile, le cui strutture sono fondate nella realtà divina. Sebbene questa visione della chiesa sia stata leggermente modificata nel Concilio Vaticano II, essa rimane importante per il cattolicesimo moderno. Alla base di essa vi è una concezione fortemente esclusivistica della vita cristiana e dell’autorità all’interno della chiesa, in netto contrasto con l’individualismo caratteristico nella cultura occidentale del XX secolo.
• Il cattolicesimo ha una forte dimensione liturgica: le forme del culto sono definite e disposte a livello centrale, rispecchiando la convinzione che il modo di pregare della chiesa è strettamente legato a ciò che essa crede (cioè, in latino, lex orandi, lex credendi, ovvero: “Come preghi così credi”, la tua preghiera dice quello che credi). La liturgia è considerata un’affermazione pubblica delle convinzioni e dei valori della chiesa e un mezzo per mantenere la continuità con la tradizione apostolica. Fino al Concilio Vaticano II la lingua della liturgia era il latino; oggi è consentito l’uso delle lingue locali, pur verificando attentamente che le versioni nella lingua del popolo rispecchino esattamente il senso dei testi latini. Questa dimensione della spiritualità cattolica è particolarmente importante in quanto pone l’accento sull’importanza della comunione della chiesa in relazione alla crescita e allo sviluppo spirituale.
• Il cattolicesimo ha una forte dimensione sacramentale e accentua marcatamente l’“economia sacramentale” (vale a dire, l’idea che i benefici di Cristo, derivati dalla sua morte e resurrezione, vengano comunicati alla chiesa attraverso i sacramenti). La chiesa cattolica riconosce sette sacramenti, mentre i protestanti ne riconoscono soltanto due. Per la regolare vita liturgica il sacramento di maggiore importanza è la Messa, intesa come il mezzo che rende presente il corpo e il sangue di Cristo. Anche questo è molto importante per la spiritualità, in quanto insiste sull’importanza dei sacramenti. Si veda per esempio la seguente definizione di un autorevole scrittore cattolico.
Si noti come questo modo d’intendere la spiritualità colleghi strettamente i sacramenti al processo di crescita e sviluppo spirituale.
• Il cattolicesimo pone l’accento sul ruolo dei santi in generale e della vergine Maria in particolare, insegnando che i santi e Maria “intercedono” per i vivi e per i morti. La dottrina della immacolata concezione di Maria afferma che ella è stata concepita senza condividere la comune condizione umana del peccato originale, formalizzando così sul piano teologico il posto importante che occupa nella vita e nella devozione cattolica, anche se i teologi cattolici richiamano l’attenzione sul fatto che la venerazione dovuta a Maria ha un carattere onorifico e che va distinta dall’adorazione, che è dovuta a Dio e a Gesù Cristo in quanto Figlio di Dio. Anche questo è molto importante per la spiritualità e distingue la spiritualità cattolica da quella protestante. Una delle manifestazioni più evidenti della spiritualità cattolica popolare è la pratica del rosario, una serie di 150 preghiere che comprendono l’“Ave Maria” e che vengono ripetute usando una corona di grani per aiutarsi a tenere il conto. La spiritualità cattolica popolare ha sviluppato un’ampia serie di devozioni e di culti destinati ai santi, come avviene nelle novene, celebrate con nove giorni di preghiere rivolte a uno specifico santo patrono, il cui aiuto viene invocato per un qualche scopo particolare; per i cattolici è frequente ricorrere a particolari santi patroni cui rivolgersi nelle proprie devozioni personali.
Per una piena comprensione delle dottrine e pratiche del cattolicesimo consigliamo fortemente di studiare il Catechismo della chiesa cattolica del 1994, che espone in modo chiaro e ampio i fondamenti della fede cattolica. Vedremo in seguito altri aspetti di quella spiritualità; adesso ci rivolgiamo all’ortodossia.
2.2.2 L’ortodossia
L’Ortodossia, nelle sue espressioni greca e russa, è una forma di cristianesimo che si situa su una linea di continuità con l’antica chiesa greca e fa risalire liturgia e dottrine direttamente alla chiesa delle origini. L’ortodossia è numericamente la chiesa più forte nell’Europa orientale, specialmente in Russia e in Grecia, dove ha dato un forte contributo nel definire le rispettive identità nazionali. Essa è anche ben presente nel Nord America e in Australia, a seguito dell’emigrazione; a Melbourne in Australia esiste, per esempio, una delle più grandi comunità greco-ortodosse del mondo.
Ogni descrizione dell’ethos ortodosso deve tener conto dei seguenti elementi.
• Un forte senso di continuità storica con la chiesa delle origini, con uno stretto richiamo alla paradosis, o “tradizione”, consegnata in particolare negli scritti dei Padri greci. Autori come Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore e l’autore ignoto che va sotto il nome di “Dionigi l’Areopagita” sono a questo proposito particolarmente importanti. La tradizione è considerata un’entità vivente, essenzialmente immutata e immutabile, che è tuttavia in grado di affrontare nuove sfide in ogni epoca. La spiritualità ortodossa vede nella tradizione una forte risorsa per il presente, e riconosce un valore particolare agli scritti degli autori patristici come Gregorio di Nissa, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Damasceno.
• Teologicamente, fra le dottrine che hanno uno specifico rilievo per la spiritualità vi è l’insistenza sul fatto che lo Spirito santo procede dal Padre soltanto (e non, come per le chiese occidentali, dal Padre e dal Figlio) e che, in particolare, la salvezza deve essere intesa come una “deificazione”. “Dio divenne uomo affinché gli esseri umani potessero diventare Dio”. Risuonano in questa affermazione teologica le riflessioni soteriologiche della tradizione cristiana orientale del periodo patristico e delle loro trascrizioni moderne greco-ortodossa e russo-ortodossa. Come suggerisce la citazione, c’è un legame particolarmente stretto tra la dottrina dell’incarnazione e questo modo di comprendere la salvezza. Per Atanasio la salvezza sta nella partecipazione umana all’essere di Dio; il Logos divino viene comunicato all’umanità per mezzo dell’incarnazione. Partendo dal presupposto che vi sia una natura umana universale, Atanasio arrivava alla conclusione che il Logos non ha solamente assunto l’esistenza umana particolare di Gesù Cristo, ma la natura umana in toto; di conseguenza, tutti gli esseri umani possono condividere la deificazione che nasce dall’incarnazione. La natura umana è stata creata perché condividesse l’essere di Dio; con la discesa dello Spirito santo si realizza infine una siffatta potenzialità. Da questo modo d’intendere la salvezza scaturiscono conseguenze importanti per la spiritualità, come vedremo in seguito.
• L’uso ortodosso delle icone, che sono raffigurazioni di Gesù Cristo, di Maria o di altri personaggi religiosi, è di particolare importanza per il nostro studio. Il forte accento posto sull’incarnazione del Figlio di Dio incide fortemente sulla preghiera e sulla spiritualità. Le icone sono delle specie di “finestre di percezione” attraverso le quali il credente può afferrare un barlume della realtà divina (pp. 82 ss.).
• La tradizione ortodossa dà grande importanza all’uso ripetitivo della “preghiera di Gesù”, ovvero quella formula che dice: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”. Questa era in origine la preghiera degli esichiasti, ma ha trovato ampia accoglienza fuori da questo movimento.
• I monasteri continuano a svolgere un ruolo estremamente importante come luoghi di espressione e di difesa dell’ethos ortodosso e specialmente delle sue peculiari forme di spiritualità. Il centro monastico più importante rimane probabilmente il Monte Athos, in una penisola che si protende nel mare Egeo. La maggior parte dei vescovi proviene dai monasteri.
2.2.3 Il protestantesimo
Il termine “protestantesimo” definisce le chiese che hanno avuto origine storica dalla Riforma europea del XVI secolo. Il termine può essere fuorviante, dal momento che la maggior parte delle chiese protestanti insiste sulla propria continuità storica e teologica con la chiesa delle origini. Alcune tradizioni che provengono dalla Riforma, e in modo particolare l’anglicanesimo, vanno considerate “chiese ampie” (“broad churches”), in quanto comprendono settori orientati verso il cattolicesimo (anglocattolicesimo) e altri orientati in senso riformato (evangelicalismo).
Per indicare le singole chiese protestanti si usa il termine “denominazione”, come per esempio il luteranesimo o il metodismo. In tempi recenti, si sono sviluppate al loro interno alcune nuove correnti, due delle quali paiono particolarmente importanti. La prima è l’evangelicalismo che ha al momento attuale un forte impatto sulla maggior parte delle chiese protestanti storiche occidentali e di lingua inglese, con una minore presenza, fino a tempi relativamente recenti, sulle chiese dell’Europa continentale. Numerose sono le nuove chiese con un ethos specificamente evangelicale, specialmente nel Sud America e nell’Africa meridionale. L’altra nuova corrente è quella del movimento carismatico, che esercita non poca influenza su molte chiese protestanti storiche e anche in campo cattolico. Alcune denominazioni nettamente carismatiche, come le Assemblee di Dio, hanno oggi acquistato maggiore importanza.
• Il protestantesimo è stato spesso definito come la “religione della Bibbia”: è una definizione che contiene molta verità, anche se non è esatta come si ritiene in genere. In effetti, uno dei più importanti tratti della Riforma è proprio il rilievo dato alla Bibbia e alla sua lettura, pubblica e privata, come emerge con grande evidenza nella predicazione protestante tradizionale, in forma di sermoni fondati sulla Bibbia, o nei tradizionali “momenti di raccoglimento”, in cui si legge la Bibbia e ci si raccoglie in preghiere ispirate dalla lettura.
• Il protestantesimo rifiuta una serie di dottrine tipicamente cattoliche, che possono al massimo essere considerate credenze opzionali e strettamente private e non una dottrina ufficiale della denominazione, come l’intercessione dei santi e la devozione per la vergine Maria. Tale rifiuto incide ovviamente anche sulla spiritualità.
• Fino al Concilio Vaticano II (1962-65), il fatto che la chiesa cattolica mantenesse l’uso del latino nella sua liturgia era motivo di contrasto con l’impostazione della Riforma protestante per la quale il culto pubblico andava celebrato in una lingua che tutti potessero comprendere.
Ai lettori interessati ad approfondire alcuni di questi punti storici e teologici raccomandiamo la lettura di opere sulla storia e sulla teologia della Riforma, che forniranno spiegazioni molto più dettagliate e che svilupperanno i temi trattati.
In tempi recenti l’evangelicalismo, o evangelismo, è cresciuto d’importanza in ambito protestante ed è perciò importante comprenderne la natura e il particolare approccio alla spiritualità. Pur comprendendo alcune nuove denominazioni, il movimento evangelicale si afferma generalmente all’interno delle denominazioni storiche, nelle quali di solito i settori evangelicali conservano molti aspetti dell’ethos delle rispettive chiese e denominazioni, comprese le rispettive strutture ecclesiastiche, aggiungendovi le caratteristiche specifiche, qui sotto indicate. Per esempio, in ambito anglicano, gli evangelicali adottano molte caratteristiche di queste chiese, come il sistema di governo episcopale e la liturgia tradizionale, pur mantenendo la loro propria specificità evangelicale.
Le quattro caratteristiche principali dell’ethos evangelicale sono le seguenti.
• Un forte accento biblico. Questo è particolarmente evidente nel suo stile di predicazione; un tratto che si estende ad altri aspetti della realtà evangelicale, come l’importanza dei piccoli gruppi di studio biblico e la lettura regolare della Bibbia nella devozione personale (p. 107). L’accento sulla lettura della Bibbia ha segnato profondamente la spiritualità evangelicale per l’importanza appunto che viene attribuita allo studio biblico, personale e collettivo. è interessante notare che tratti simili si riscontrano negli scritti e nelle pratiche di francescani e benedettini del Medioevo.
• La croce di Gesù. Certo, Gesù ha un’importanza centrale, ma l’accento viene posto in modo particolare sulla sua morte salvifica sulla croce, come si riscontra nei loro inni e canti, con l’evidente conseguenza che, spesso, la spiritualità evangelicale assume l’aspetto di un’approfondita meditazione sulla morte di Gesù sulla croce.
• La conversione personale. L’evangelicalismo denuncia i pericoli del “nominalismo”, ovvero di una “accettazione puramente formale o esteriore degli insegnamenti cristiani, senza alcuna conseguenza sulla trasformazione personale”. La predicazione richiama spesso alla necessità che il cristiano sia “nato di nuovo” (Giovanni 3,1-16).
• L’evangelizzazione. Sia le chiese, sia i singoli si impegnano a fondo allo scopo di convertire i non credenti alla fede cristiana. Billy Graham (nato nel 1918), noto per un impegno evangelistico di proporzioni mondiali, ne è un tipico rappresentante del XX secolo, divenuto famoso proprio per questa sua insistenza. Si osservi che in inglese si confonde spesso “evangelicalism” (evangelicalismo) con “evangelism” (evangelizzazione), per la loro somiglianza fonetica. Ma mentre il primo indica un movimento, il secondo indica un’attività, sia pure strettamente associata al movimento.
Fin qui abbiamo esaminato alcuni elementi che distinguono le diverse confessioni e denominazioni cristiane e il conseguente impatto sulle diverse forme di spiritualità. Esistono però altri fattori di diversità, più generali, che non possono essere messi in relazione con questa o con quella confessione cristiana e che pure influenzano la spiritualità e le sue forme. Prenderemo dunque in esame i modi e gli atteggiamenti con cui i cristiani delle diverse culture vivono nelle differenti società umane, osservando che si tratta di fattori che operano all’interno di ogni chiesa e confessione, in una complessa interazione tra i fattori generali e quelli più specifici, denominazionali o teologici.
2.3 Gli atteggiamenti verso il mondo,
la cultura e la storia
Abbiamo già osservato come la spiritualità coinvolga l’insieme della vita e dell’esperienza cristiana, di conseguenza riguarda inevitabilmente anche il modo di rapportarsi al mondo, alla cultura, alla storia. Lo scrittore metodista Geoffrey Wainwright ha sviluppato una maniera utile di comprendere i diversi tipi di spiritualità che si possono incontrare nella cristianità. Nel 1951, il teologo di Harvard H. Richard Niebuhr pubblicò un importante studio dal titolo Cristo e la cultura in cui identificava cinque tipi principali di rapporto tra il cristianesimo e la cultura in generale. Le cinque categorie proposte riscossero ampio consenso e influenzarono marcatamente la discussione interna al cristianesimo sull’etica sociale. Nel suo saggio principale, “Tipi di spiritualità”, Wainwright suggerisce che le cinque categorie identificate da Niebuhr potrebbero essere altrettanto ben sfruttate per le tipologie di spiritualità presenti all’interno del cristianesimo. Seguendo l’analisi di Wainwright, di seguito riportiamo i cinque tipi principali.
2.3.1 Cristo contro la cultura
Secondo questo primo tipo di spiritualità il mondo è visto come una realtà ostile alla fede e alla prassi cristiana, e i valori del regno di Dio in contrasto con quelli del mondo. Questo tipo di spiritualità è stato molto importante nei primi cinque secoli di storia cristiana, quando i cristiani erano oggetto di rifiuto e sospetto da parte della società secolare, e non di rado erano attivamente perseguitati. La situazione cambiò tuttavia radicalmente con la conversione dell’imperatore Costantino: in breve tempo il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’impero romano e questo parve a molti un compromesso con i valori profani e secolari. I vescovi assunsero abiti e atteggiamenti simili a quelli delle autorità pubbliche, indossando, fra l’altro, vesti di porpora, simbolo di ricchezza e potere.
Molti allora ritennero che ideali autenticamente cristiani fossero stati compromessi, e la nascita del movimento monastico fu interpretata come una rivolta contro i troppo facili accomodamenti che iniziavano a svilupparsi tra la chiesa e lo stato, rendendo sempre più difficile distinguere le due realtà. I monasteri furono visti come centri di un cristianesimo autentico, lontani dalle tentazioni del potere e della ricchezza, dove si poteva ancora restare fedeli a una visione autenticamente cristiana. Gli scritti di spiritualità monastica parlano spesso di coltivare il “disprezzo del mondo”, ovvero un rifiuto meditato delle tentazioni del mondo, che erano di ostacolo alla salvezza e alla crescita spirituale. Ritirarsi dal mondo restava il solo mezzo sicuro per assicurarsi la salvezza.
Anche se la Riforma protestante respinse l’ideale monastico, il duplice tema della rinuncia al mondo e dell’ostilità del mondo verso un cristianesimo autentico fu ripreso e sviluppato dalla sua ala più radicale. Gli autori anabattisti evidenziarono la necessità di fondare comunità cristiane alternative, spesso in zone rurali, rifiutando ogni rapporto con i poteri e le autorità secolari e rifiutando l’uso della forza. Su questo punto gli autori più radicali sono in disaccordo con i riformatori storici (come Lutero e Calvino), che invece incoraggiavano un approccio più positivo e interattivo con la società e la cultura. Atteggiamenti simili si ritrovano anche negli ambienti fondamentalisti nordamericani ai giorni nostri.
L’approccio “Cristo contro la cultura” anche oggi rimane significativo. E lo stesso si può dire di quello diametralmente opposto, che Niebuhr definisce “il Cristo della cultura”.
2.3.2 Il Cristo della cultura
Quando l’impero romano accettò il cristianesimo come religione ufficiale, divenne possibile comprendere in chiave fortemente positiva il rapporto tra la fede cristiana e la cultura secolare: cosa che sarebbe stata impossibile alle origini della storia cristiana, quando le autorità secolari si opponevano alla chiesa. Diventando religione ufficiale dell’impero, la chiesa ottenne non pochi privilegi: i suoi vescovi erano ormai personaggi importanti, che indossavano i simboli romani del potere quale segno della loro nuova posizione sociale. Ne nacque quella che fu definita la “teologia imperiale”, un’impostazione teologica e spirituale che vedeva in Roma la nuova Gerusalemme, chiamata a svolgere un ruolo stabilito da Dio nel governo del mondo.
La “teologia imperiale” è stata formulata in modo esplicito da Eusebio di Cesarea: l’impero romano era per questa teologia il punto culminante del piano divino di redenzione. Era così sorta, nel IV secolo, una nuova era della storia cristiana. Alcuni autori (in modo particolare, appunto, Eusebio di Cesarea, ca 260-ca 340) videro in Costantino lo strumento scelto da Dio per la conversione dell’impero. La “teologia di Roma” di Eusebio ha avuto un impatto profondo sul pensiero di quel periodo cruciale, rendendo fra l’altro Roma praticamente immune alla critica, per altro severa, degli autori cristiani.
Il nesso tra impero ed evangelo fu così stretto che il sacco di Roma del 410 mise in forse il futuro stesso del cristianesimo occidentale, sollevando una quantità di domande tali da mettere in difficoltà la teologia imperiale. Perché Roma era stata saccheggiata? Agostino d’Ippona (354-430) affronta il problema nella sua opera La Città di Dio, in parte screditando quella “teologia della storia” che tanta influenza aveva guadagnato negli ambienti cristiani e in parte cercando di liberare il cristianesimo da quella camicia di forza che gli era stata imposta. La Città di Dio fece scendere Roma dal piedistallo su cui era stata posta dalla teologia della storia di Eusebio: non è più lo strumento scelto da Dio per la salvezza del mondo e per la preservazione dell’evangelo.
Analoghe visioni acriticamente positive del rapporto tra cristianesimo e cultura sono state presenti in altri periodi della storia cristiana. Un esempio interessante è quello che proviene dal Medioevo, dove il “clero secolare”, ovvero il clero che viveva nel mondo e non in un monastero, reagisce alla spiritualità monastica della fuga dal mondo. Filippo di Harvengt (morto nel 1183), reagendo contro tale rifiuto del mondo (chiamato qui “Babilonia”), scriveva così.
è tanto sicuro quanto facile fuggire da Babilonia; è molto più importante (e difficile) essere incoronato vincitore nel centro di Babilonia. La perfezione monastica, pur lodevole per il suo merito, va considerata molto inferiore e molto più facile del suo equivalente clericale.
Un altro esempio di una valutazione positiva del mondo è quella del protestantesimo liberale tedesco del XIX secolo, che aveva la tendenza a fondere la cultura tedesca e gli ideali cristiani. Il protestantesimo liberale s’ispirava alla visione di un’umanità in ascesa, verso nuovi ambiti di progresso e prosperità, stimolata dalla dottrina dell’evoluzione, alimentata a sua volta, alla fine del XIX secolo, dalla forte stabilità culturale raggiunta nell’Europa occidentale. La religione era sempre più intesa come risposta ai bisogni spirituali dell’umanità moderna e come una guida etica per la società. Tale dimensione marcatamente etica del protestantesimo liberale emerge con forza negli scritti di Albrecht Benjamin Ritschl (1822-89).
Fondamentale per Ritschl era il concetto di “regno di Dio”, concepito come un campo statico di valori etici, che avrebbe agito da supporto alla società tedesca in quel momento storico. La storia, affermava, era divinamente guidata verso la perfezione, e la civiltà faceva parte di tale processo evolutivo. Nel corso della storia umana sono apparse personalità che si sono fatte portatrici di speciali intuizioni divine, una delle quali è Gesù: gli esseri umani possono progredire spiritualmente seguendone l’esempio ed entrando nella sua interiorità. Il movimento palesava uno smisurato e sconfinato ottimismo nei confronti della capacità e delle potenzialità umane. Religione e cultura, si affermava, erano praticamente la medesima cosa. Più tardi i suoi critici, tra cui lo stesso Niebuhr, lo definirono “protestantesimo culturale” in relazione al fatto che lo ritenevano eccessivamente dipendente dalle opinioni culturali accettate. è stato anche affermato da molti che questo modello avrebbe aperto la strada al nazismo negli anni Trenta, in quanto incoraggiava un’identificazione tra cultura tedesca e fede cristiana.
Mentre per il modello “Cristo contro la cultura” la vita cristiana è vissuta in una prospettiva di costante ostilità verso il mondo, ed evidenzia il costo della fede e il senso del martirio, per il modello “Cristo della cultura” l’autenticità cristiana riconosce un valore positivo alla cultura del tempo, nella quale arriva a immergersi. Wainwright scarta questi due approcci come “monchi e inadeguati” e invita piuttosto ad adottare uno di questi tre che seguono.
2.3.3 Cristo al di sopra della cultura
Il terzo modello ha qualche punto di contatto con il precedente, ma ritiene che nessuna cultura sia in sé perfetta: nessuna cultura è in sé perfetta o malvagia, ma la fede cristiana può elevarla e trasformarla. Per Wainwright questo modello “pone l’accento sugli elementi positivi della natura e della cultura umana, pur riconoscendo che anche questi hanno bisogno di essere purificati ed elevati”. Alla base di questo approccio si può vedere la celebre massima di san Tommaso d’Aquino (ca 1225-74): “La grazia non abolisce la natura ma la perfeziona”.
Wainwright collega questo modello con la centralità dell’incarnazione (p. 74), espressa da Atanasio con l’affermazione seguente: “Dio divenne uomo affinché gli esseri umani potessero divenire Dio”. Tale affermazione ne illustra bene l’impostazione quando per esempio dichiara che Cristo, assumendo la natura umana, innalza ciò che è già buono a un livello superiore. Si afferma dunque la bontà del mondo, senza illusioni di perfezione. La creazione è buona, ma ha ancora bisogno di essere migliorata. La natura umana è buona, ma è aperta a un’ulteriore elevazione. La cultura umana è buona, ma può essere trasformata dall’evangelo, con un innalzamento che avviene nel presente, così che la natura umana è già stata elevata con l’incarnazione. Ciò ci permette di distinguere questo approccio dal quinto e ultimo modello che prenderemo in considerazione, nel quale la trasformazione in questione è vista in un’ottica rivolta al futura piuttosto che al presente.
2.3.4 Cristo e cultura in paradosso
Il quarto modello può essere considerato più “centrale” rispetto al “Cristo contro la cultura” e al “Cristo della cultura”. Proprio come il precedente “Cristo al di sopra della cultura” può essere visto come tendenzialmente orientato verso il “Cristo della cultura”, questo quarto modello può essere visto come orientato sul “Cristo contro la cultura”. Per questo modello il mondo e la cultura umana non sono fondamentalmente malvagi, ma al loro interno il cristiano deve aspettarsi di lottare per tentare di condurre una vita cristiana autentica.
Niebuhr ha visto in Martin Lutero, il riformatore tedesco del XVI secolo (1483-1546), un rappresentante tipico di questa visione dei rapporti tra cristianesimo e cultura; per Wainwright questo vale anche per la sua spiritualità. Per Lutero il posto dei cristiani è nel mondo, dove devono vivere e portare la loro testimonianza; ma egli sa anche che il mondo li può corrompere, e che devono quindi stare in guardia contro la sua influenza. La vita cristiana è così caratterizzata da quella che egli definisce Anfechtung, parola tedesca che potrebbe essere tradotta con “tentazione” ma che indica qualcosa di molto più forte. La preghiera è per Lutero una lotta con Dio, così come la fede è una lotta costante contro l’incredulità.
Per questo modello, la comunità cristiana sa di dover vivere col mondo in uno stato di tensione, che Lutero esprime in quella che viene definita la dottrina dei “due regni”: il “regno del mondo” e il “regno di Dio”. I due diversi ambiti di autorità coesistono e si sovrappongono, così che i cristiani vivono nella tensione tra il vivere in un regno cercando di obbedire all’autorità di un altro regno. Le esigenze di Dio sono raramente accolte dal mondo, che tende anzi a rifiutarle e a considerarle stoltezza e follia. Il modello di spiritualità del “paradosso” riconosce questa tensione e spinge i cristiani a convivere con essa; la tensione, infatti, non può essere eliminata in quanto è radicata nell’essenza stessa della fede cristiana.
Questo non significa che la chiesa sarà sempre in tensione col mondo, perché a volte sarà possibile condividerne idee e valori, mentre altre volte la tensione sarà inevitabile e ne risulterà un conflitto. Per Wainwright, Dietrich Bonhoeffer è un esempio tipico di questa spiritualità: egli visse concretamente la tensione tra la sua fede e la sua cultura, conservando la propria integrità pur nella complessità della sua situazione.
2.3.5 Il Cristo che trasforma la cultura
Il quinto modello di Wainwright somiglia in qualche modo al terzo. Esso parte da una visione positiva della creazione, che è vista come qualcosa di buono in sé, ma che richiede una trasformazione che però non appartiene alla realtà presente, ma costituisce una speranza futura. Wainwright mette in questa categoria i fondatori del metodismo, John e Charles Wesley (rispettivamente 1703-91 e 1707-88), poiché ponevano l’accento sulla conversione personale, sottolineando la necessità della trasformazione dell’individuo.
Per Wainwright il modello della spiritualità come trasformazione ha una dimensione fortemente sacramentale e illustra questo aspetto dell’argomento evidenziando che il sacramento del battesimo è legato alle immagini della morte e della rinascita, suggerendo in tal modo la necessità e la possibilità di una trasformazione radicale della natura umana.
I cinque modelli di Wainwright sono utili per tracciare un quadro d’insieme dei diversi tipi di spiritualità, ma non sono esaustivi e a tratti sembrano sovrapporsi.
Vediamo ora come si configura la relazione fra teologia e spiritualità. è un problema importante che dobbiamo prendere in esame nel dettaglio.